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Domenico Barbaro

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Calabria, terra d’amuri. Così recitava una vecchia canzone popolare, interpretando un sentimento che cova nell’animo di centinaia di migliaia di calabresi. Ma la Calabria è anche terra devastata da problemi endemici, che contribuiscono a un’emorragia di giovani che rischia di spopolare interi territori. Dinnanzi alla desolazione, la risposta più scontata sembra essere quella dell’abbandono.

Eppure la propria patria non è laddove si hanno più opportunità lavorative, la propria patria è nel luogo in cui affondano le proprie radici. Ed è qui che occorre impegnarsi perché le cose cambino in meglio. Sembra essere questo il messaggio di Domenico Barbaro, giovane nato e cresciuto a Catanzaro. «Vorrei evitare di abbandonare la mia terra per cercare un’occupazione altrove», spiega al Quotidiano del Sud.

«Ogni anno emigrano oltre 5mila giovani calabresi, lasciano gli affetti e offrono le loro competenze alle aziende del Nord Italia o di Paesi stranieri. È la cosiddetta “fuga dei cervelli”, alla quale vorrei evitare di contribuire». La storia di Domenico è simile a quella di tanti giovani del Sud: laureato in Giurisprudenza, sta studiando per un Master e per un concorso pubblico.

«Il titolo di studio non è più sufficiente – racconta -. Il mercato del lavoro è sempre più spietato e richiede una formazione specifica, come un master e un’ottima conoscenza di almeno una lingua straniera. Così è una continua corsa contro il tempo, con un curriculum costantemente da aggiornare». L’impressione, tuttavia, è che non basti nemmeno il bagaglio accademico ad aprire le porte del lavoro in Calabria.

«Posso affermare con cognizione di causa che le università del Sud hanno piani di studio che danno un’ottima formazione, ma c’è un gap dal colmare: il collegamento con il mondo del lavoro». Secondo Domenico, «dopo tanti anni passati sui libri e nei laboratori, ci si ritrova con un futuro incerto e bisogna battere più strade per poter arrivare ad una realizzazione professionale dignitosa». Trovare un’occupazione in Calabria appare talvolta un esercizio impervio. «Parola d’ordine: non abbattersi», afferma Domenico. Che aggiunge: «Non si chiedono miracoli, ma che almeno sia reso possibile crearsi un futuro nella propria terra, è troppo facile farci salire sul primo treno con la valigia in mano».

L’emigrazione, una piaga. Il giovane catanzarese punta l’indice verso la classe politica, sia nazionale sia locale. Il suo grido è chiaro: «Basta assistenzialismo, fondi erogati che finiscono in progetti mai partiti o ancor peggio, rischiano di finire nelle tasche di qualche malintenzionato». Piuttosto, Domenico crede che sia necessario un piano di investimenti per le infrastrutture, nonché valorizzare le bellezze storiche, artistiche, culturali. «Un esempio? Da appassionato di storia e ricercatore indipendente, faccio notare che la Calabria è terra di Magna Grecia, qui è nata la civiltà europea, eppure ci sono diversi siti archeologici non tutelati e abbandonati».

Puntare sulle attrattive del territorio, rileva Domenico, «creerebbe un indotto importante, con la nascita di strutture ricettive, bar e ristoranti, con benefici sull’occupazione. I giovani emigrati calabresi ritornerebbero investendo le loro conoscenze ed esperienze professionali nei propri paesi e nelle proprie città». Idee sul futuro della Calabria che Domenico prova a sviluppare da presidente dell’associazione culturale “Terra di Mezzo” insieme ad un pugno di amici. «Non ci piace il piagnisteo e vogliamo rimanere in Calabria per combattere per il suo e il nostro futuro».

In appendice, Domenico rivolge «una piccola proposta con il piglio della provocazione ai governatori e amministratori del Sud. Consiglio di parlare con i ragazzi, che essendo formati e dinamici, potrebbero mettere sul tavolo idee e proposte più interessanti di quelle di certi consiglieri comunali e regionali o di certi tecnici». Più della tecnica, del resto, poté il cuore. Quel cuore che batte per la Calabria, terra d’amuri.


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