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Sergio Mattarella dopo il suo discorso alla Camera

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Lo espone seguendo la complessità mentale di Moro che vuole tenere insieme il Paese, ma con un vocabolario meno felpato che supera Pertini perché dice alla gente le cose come oggi la gente vuole sentirsele dire. È un discorso impegnativo sulla seconda ricostruzione che andrà fatta, ma non è stata fatta. Che ha bisogno della dimensione internazionale che ben rappresenta il governo guidato da Mario Draghi, ma ha ancora di più bisogno di riforme effettive a partire dalla giustizia e qui sono chiamati in causa Governo e Parlamento. Esprime la differenza tra un discorso popolare che tiene insieme grande politica, coscienza nazionale e dignità delle persone e un discorso populista che fino a oggi ha dominato sul palcoscenico della politica e non fa altro che disgregare tutto parlando delle stesse cose

SERGIO Mattarella tocca tutte le ferite aperte della società.  Parla alle persone in carne e ossa e parla di loro. Lo fa seguendo la complessità mentale di Moro che vuole tenere insieme il Paese, ma con un vocabolario molto meno felpato che supera Pertini perché dice alla gente le cose come oggi la gente vuole sentirsele dire. Pane al pane. Vino al vino. Lo fa perfino con una puntigliosità eccessiva che rivela la preoccupazione di non dimenticarsi nessuno perché, questo è il punto, lui vuole dare la prova che non si è dimenticato nessuno di quelli che soffrono.

Scala le ingiustizie una a una e disvela le dignità da ritrovare. Si passa dai morti sul lavoro alla violenza sulle donne e nelle carceri, dal ricatto tra maternità e lavoro al razzismo e all’antisemitismo. Si passa dal rispetto per gli anziani al diritto allo studio, dalla lotta all’abbandono scolastico al divario digitale da colmare. Elenca le diseguaglianze territoriali e sociali da superare e scala a suo modo le ingiustizie.

Il Parlamento di lui si fida. Applaude ogni volta, lo farà 55 volte. L’applauso più lungo e ripetuto arriva quando il Presidente usa parole coraggiose sulla ingiustizia delle ingiustizie italiane che è proprio l’ingiustizia e il bisticcio delle parole è voluto.

Siamo davanti a un atto di grande coraggio di un Presidente della Repubblica che è anche Presidente del Consiglio superiore della magistratura che parla di autonomia e indipendenza che non trovano più riscontro nella coscienza dei cittadini, sì avete sentito bene, e che dice in sostanza che le appartenenze di parte non possono giocare un ruolo e che, quindi, lo hanno giocato. È un discorso impegnativo sulla seconda Ricostruzione che andrà fatta, ma non è stata fatta. Che bisogna vedere se sarà fatta. Che ha bisogno della dimensione internazionale che ben rappresenta il governo guidato da Mario Draghi, ma ha ancora di più bisogno di riforme effettive a partire proprio da quella della giustizia e qui sono chiamati in causa Governo e Parlamento.

È il discorso della seconda Ricostruzione, per capirci, che ha due pilastri. Il primo pilastro sono i cittadini verso i quali c’è l’impegno di rispondere alle loro esigenze ma che a loro volta devono essere soggetti attivi del cambiamento come nella pandemia lo sono stati medici e infermieri. Il secondo pilastro sono le istituzioni della Repubblica e qui si percepisce concretamente tutto il favore verso un governo che governa e un Parlamento che fa come una burocrazia e una magistratura che fanno. Ci vuole un sistema che si muove all’unisono per fare la seconda Ricostruzione.  

Diciamoci le cose come stanno. Il Parlamento ha voluto la rivolta dei parlamentari rispetto alla verticalizzazione dei partiti e ha ascoltato un discorso del “suo” Presidente della Repubblica che ha toccato tutte le corde di quei problemi di cui tutti si rendono conto e che allo stesso tempo indica che le cose si devono fare in un rapporto dialettico corretto tra Governo e Parlamento. Che vuol dire che c’è bisogno di un Parlamento che non può più essere un Parlamento che non fa quando si chiede di fare le riforme. Che non può più essere il Parlamento ricettacolo di partiti che vogliono   mettere le bandierine. Come successe con Napolitano al suo secondo mandato i parlamentari applaudono oggi Mattarella. La diagnosi sulla malattia del sistema politico italiano è identica, ma c’è qualcosa che rende le due situazioni non comparabili.

L’orizzonte del discorso di Mattarella a differenza di quello di Napolitano è l’orizzonte della Nuova Ricostruzione, ma ancora di più è  l’orizzonte di un palazzo non cieco di fronte al Paese. Questa, forse, è la differenza più rilevante. Perché è il discorso di un Capo dello Stato che non nega o ridimensiona i problemi che è esattamente l’atteggiamento che ha distrutto la fiducia nella politica.  Fa appello alla società che deve essere solidale e alle istituzioni che devono fare perché se no falliamo la Ricostruzione, non colmiamo i divari territoriali e sociali, perdiamo la lotta contro le povertà e le diseguaglianze.

Bisogna rimettere l’Italia sui binari giusti e bisogna farlo avendo coscienza della complessità dei problemi che si hanno davanti. Pensateci per un attimo, quello che avete sentito esprime la differenza tra un discorso popolare che tiene insieme Moro, Pertini, la coscienza nazionale e la dignità delle persone e un discorso populista che fino a oggi ha dominato sul palcoscenico della politica e non fa altro che disgregare tutto parlando delle stesse cose.

Chi si azzarda a banalizzare quello che è avvenuto ieri in Parlamento perché purtroppo accadrà, ricordatevi che è un lestofante. E quando quel lestofante o quei lestofanti, perché sono sempre più di uno, vorranno tornare al dibattito del rumore di prima cercando di cuocere a fuoco lento anche Mattarella e Draghi ribellatevi. Perché questo circolo politico-mediatico del nulla e delle sue miserie è incompatibile con la Nuova Ricostruzione e la riunificazione delle due Italie.


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