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Gli americani chiudono e sono concorrenti di tipo sleale e i russi fanno i russi bloccati. Per cui resta solo la via verso il Sud che è molto difficile perché l’Africa è infiltrata dai russi con le loro armi e dalla Cina con i loro soldi e i quattro Mediterranei sono in mano a regimi autoritari focolai di guerre. Putin alimenta sotto di noi un altro fronte nel cuore dell’Africa “occupata” mentre la farneticante “operazione speciale” in Ucraina diventa “guerra di resistenza” e, quindi, non breve. Si può vincere solo con l’economia di pace che si costruisce pensando in lungo. Raccogliendo la proposta di Prodi sul capitale umano con i centri universitari misti nelle due sponde del Mediterraneo e investendo sulla lungimiranza politica di Fitto di restituire all’Italia la volontà di programmare e pianificare a medio e lungo periodo dentro un gioco di squadra europeo senza il quale la partita neppure comincia.

La sfida è difficile, ma non abbiamo alternative. Dobbiamo combatterla  per forza e vincerla per forza nell’interesse dell’Europa.  La quale Europa deve capirlo, impegnare tutte le energie migliori e dire pure grazie. La sfida è quella dell’Italia ponte obbligato dell’Europa con l’Africa. La sfida è quella di dimostrare la capacità di esserlo in modo adeguato portandoci dietro tutta l’Europa.

Se noi non riusciamo a stabilire rapporti di ascolto reciproco con tutto il Mediterraneo allargato e non riusciamo a farlo per noi e per tutti gli europei intuitivamente non abbiamo dove andare. Perché gli americani chiudono e sono concorrenti di tipo sleale e i russi continuano a essere russi bloccati. Per cui non è uno slogan quello che ripetiamo da qualche giorno come un mantra e, cioè, che il mondo si è capovolto, ma è piuttosto la semplice constatazione che essendo bloccate tutte le altre strade l’unica via ancora percorribile è quella di andare verso Sud.

Questa via verso il Sud è molto difficile perché l’Africa è infiltrata dai russi con le loro armi e dalla Cina con i suoi soldi e, in generale, i quattro Mediterraneo sono tutti chi più chi meno in mano a regimi autoritari a loro volta focolai di guerre. La sfida è veramente difficile perché la Russia non ha portato solo la guerra nel cuore dell’Europa in Ucraina ma alimenta anche sotto di noi un altro fronte di guerra nel cuore dell’Africa “occupata” mentre la sua guerra in Ucraina non è più nelle loro farneticanti parole una operazione speciale ma addirittura una guerra di resistenza contro l’invasore occidentale e, quindi, una guerra lunga. Che si aggiunge alla guerriglia perpetua in Africa infilandoci in mezzo a due guerre da cui diventa essenziale trovare un’uscita di sicurezza per noi certo ma ancora di più per tutta l’Europa condannata alternativamente a diventare un luogo di vecchi inessenziale. I quadri geopolitici illustratici da Tajani e Minniti sono stati di una forza espressiva illuminante.

Il Festival Euromediterraneo dell’economia ha chiarito a tutti che questa che si combatte sull’asse Sud-Nord e che ha come capitale indiscussa Napoli è la nuova sfida strategica  dell’Europa. Per tutti i Paesi europei, certo, ma un po’ di più per i Paesi del Nord Europa che sono i più bloccati di tutti perché sono i più piccoli di tutti. Perché sono quelli che perderebbero più di tutti. Perché sono tutti senza sfogo alcuno. Questo devono capirlo molto bene e molto in fretta Paesi come l’Olanda, il Belgio, l’Austria, la Polonia che ha dirittura già dentro casa il fronte di guerra gestito direttamente dagli americani.

Questi Paesi devono capire che se l’Italia non vince per conto dell’interesse europeo la sfida cruciale dell’economia di pace che si porta dietro la nuova energia, la nuova manifattura, il nuovo capitale umano, loro perdono totalmente l’autonomia, non esistono neppure più come Paesi. L’Europa non ha alternative a tornare a fare politica industriale europea e politica estera europea per davvero come hanno chiesto tutte le voci della grande industria competitiva e della finanza di questo Paese presenti al nostro Festival collocandosi nel solco energetico e della filiera industriale ad essa collegata e di tutti i primati della nostra manifattura esportatrice che non possono essere sacrificati sull’altare di ideologie sganciate dalla realtà. 

Questo filo è emerso evidentissimo in tutte le analisi dei capi delle  grandi aziende pubbliche, delle multinazionali, del capitalismo privato con la voce nettissima di Antonio D’Amato e in un ragionamento a 360 gradi del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha parlato di politica industriale per l’Italia e di politica industriale europea come non avveniva da un bel po’. Soprattutto è emerso dopo tanto tempo un comune sentire a pensare in lungo che ha avuto in Romano Prodi e in Raffaele Fitto una doppia forza propulsiva sui due temi strategici del nuovo capitale umano del nuovo Mediterraneo e della volontà di tornare a programmare e pianificare nel medio e lungo periodo.

Si vuole costruire da qui a quindici anni in centri universitari misti tra le due sponde del Mediterraneo la nuova classe dirigente del nuovo Mediterraneo che assuma la guida di questo obbligato motore della crescita europea. Questa proposta di Prodi è rimasta senza un ascolto organico da venti anni esatti perché la lanciò per la prima volta nel 2002 da presidente della Commissione europea. A volte i sonni della ragione sfidano le tavole della storia. Si è percepito altresì nelle parole e nelle azioni concludenti messe in atto dal ministro di tutte le deleghe europee, del Sud e della coesione, Raffaele Fitto, che cosa significa riportare nella politica la lungimiranza delle grandi stagioni di trasformazione del Paese e di efficacia della macchina esecutiva pubblica di questo Paese.

Non si va da nessuna parte continuando a dire che la colpa è degli altri perché ci perdono tutti e le sfide cruciali non consentono più questi giochetti. Si deve piuttosto, come è stato opportunamente sottolineato, mettere a frutto il capitale politico di un governo di legislatura partendo dalla verità incontestabile dei fatti. Che sono semplicemente questi: su 126 miliardi di fondi europei siamo riusciti a spenderne solo 35 pari al 30% del totale di cui del Fondo di sviluppo e coesione, aprite bene le orecchie, solo 5 miliardi in dieci anni.

Questo linguaggio della verità di Fitto appartiene alla grande politica e fa male a chi vive di polemiche strumentali. A noi ricorda la visione e la lucidità operativa della grande stagione del miracolo economico del Dopoguerra quando intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica camminarono insieme nell’interesse di un Paese che in due decenni diventò da Paese agricolo di secondo livello prima un’economia industrializzata poi una potenza economica mondiale. Che bisogna procedere in questa direzione semplificando, pianificando, coordinando e esercitando tutti i poteri di supplenza lo aveva capito benissimo Mario Draghi ma i partiti delle clientele e delle chiacchiere lo hanno prima rallentato, poi imbrigliato, infine costretto alle dimissioni. Oggi Fitto ha l’esperienza politica a livello centrale e territoriale e le conoscenze giuste in Europa per mettere a frutto quel capitale di stabilità politica di un governo di legislatura che è indispensabile per realizzare un disegno così ambizioso quanto necessario perché l’Italia faccia il tantissimo di suo nel gioco di squadra europeo. Che è l’unico che può consentire di vincere la sfida cruciale di un’economia di pace che regala al mondo il grande hub del Mediterraneo che è energia rinnovabile, grandi reti, industria del futuro e capitale umano. Lo deve fare il Mezzogiorno d’Italia nell’interesse di tutta l’Europa. Non lo può fare nessun altro e guai se ciò non avvenisse.


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