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Mario Draghi con Angela Merkel

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E’ inestimabile come valore il significato simbolico per il mondo di un’Italia che – con il governo di unità nazionale guidato da Draghi – fa da battistrada per tutti con il green pass, diventa la prima al mondo per crescita e per risultati nella campagna di vaccinazione. Non illudiamoci però, ora serve un grande patto su investimenti, capitale umano e produttività. E’ in gioco il futuro del Paese. Tutti possono, anzi debbono, dire la loro ma nessuno si può tirare indietro. Altrimenti il rimbalzone non diventerà crescita duratura.

SIAMO davanti alla più grande operazione di politica economica nei giorni terribili del nuovo ’29 mondiale. Si chiama green pass uno e green pass due. Significa ritorno al lavoro in presenza del privato e del pubblico con modalità di sicurezza. Vuol  dire riapertura totale delle attività con l’indice dei contagi che scende e il numero dei vaccinati che sale vertiginosamente. Vuol dire che riparte il terziario urbano che è il comparto che fatica ancora di più. Che si consolida il boom di consumi.  Che addirittura il rimbalzone del 6% del prodotto interno lordo (Pil) potrebbe risultare una previsione sbagliata per difetto. Significa tutto ciò fiducia contagiosa nelle vene di un Paese che resta profondamente diviso, ma sta cercando la sua strada per ripartire sotto gli occhi vigili di una comunità internazionale mai così disponibile nei nostri confronti.

Perché è inestimabile come valore il significato simbolico per il mondo di un’Italia che ritrova la sua stabilità nel segno del governo di unità nazionale guidato da Draghi, fa da battistrada per tutti sulla terra con il green pass, diventa la prima al mondo per crescita e per risultati nella campagna di vaccinazione.

Capite da soli che sta succedendo qualcosa di molto strano. Noi siamo stati da sempre il paziente malato dell’Europa e da domani il paziente malato potrebbe essere la Germania. La ritrovata stabilità italiana produce un rimbalzone che fa scuola e, a certe condizioni, può mettere le basi per una crescita sostenibile e duratura. In Germania la cosa più probabile che può produrre il risultato elettorale è uno stallo di vecchio tipo partitocratico italiano. Potrebbe esserci una vittoria di Pirro della socialdemocrazia perché è in crescita nei sondaggi anche la Cdu. Difficilmente dopo sedici anni nel segno della Merkel che, tranne quattro, sono stati tutti di governo della grande coalizione, si avrà voglia di ripetere l’esperimento.

Visto che tutti dicono di tenere a distanza l’estrema destra e la Merkel che noi raccontiamo come la signora dell’austerità è vista dai bavaresi come una socialdemocratica spinta, si può arrivare a ipotizzare un governo di coalizione a tre con Cdu, verdi e liberali che tornano ad essere come ai tempi di Kohl assolutamente determinanti. Può essere che i numeri facciano fare altro e anche i socialdemocratici siano della partita. Quello che, però, appare certo è che il dopo elezioni aprirà una stagione di instabilità e di grandi manovre per dare un governo alla Germania.

Tutto questo accresce le nostre responsabilità di riuscire a patrimonializzare in casa, oltre che nel mondo, un capitale reputazionale che è legato alla figura di Draghi salvatore dell’euro ma anche a quella che emerge sempre di più del capo del governo italiano che sta guidando con timone saldo la barca italiana fuori dalla tempesta e sta rilanciando la sua economia.

Attenzione, però, perché il rimbalzone diventi crescita duratura bisogna vincere la partita degli investimenti insieme a quella delle riforme contenute nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza,  e di questo parleremo bene domani perché la materia presenta molte delicatezze, nel frattempo però nessuno può tirarsi fuori dal dare il suo contributo perché il Paese sottoscriva il suo nuovo Patto sociale. Questo, a nostro avviso, significa patrimonializzare in casa il capitale di fiducia costruito in pochi mesi con scelte e comportamenti che hanno tirato una linea netta con il passato.

Il Paese ha bisogno di avviare una stagione di grande formazione a partire dal pubblico impiego, dove c’è un ministro che ha centrato tre su tre gli obiettivi fissati nel Pnrr,  e si deve sentire una ricarica contagiosa delle batterie dei suoi giovani. Servono nuovi  ammortizzatori che escano dai sofismi del passato. Serve un piano quinquennale di formazione che leghi talenti, imprese e territori di un Paese che torna a ragionare in grande con la sua manifattura e con i suoi primati nell’agricoltura, nel turismo, nel terziario e nei servizi.

Non si tratta di fare un patto come quello importantissimo di Ciampi del ’93 che era politica dei redditi, moderazione salariale. Questa volta bisogna fare un grande accordo per un grande patto su investimenti, capitale umano e produttività in modo da risolvere finalmente congiuntamente le grandi questioni salariale e territoriale che hanno condannato il Paese a venti anni di crescita zero. Trentin avrebbe capito al volo che si tratta dell’appuntamento con la storia e che non si può mancare. Speriamo lo comprenda bene anche Landini liberandosi da tentennamenti e condizionamenti.

È in gioco il futuro del Paese. Tutti possono, anzi debbono dire la loro, ma nessuno si può tirare indietro.


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