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Giorgia Meloni

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Vale per chi governa e per chi fa opposizione l’obbligo di consapevolezza che se viene meno quella fiducia ritorniamo sull’orlo del burrone dove ci porta la nostra storia di debito pubblico e di vizi privati che ci costringe a collocare sul mercato 510 miliardi di titoli pubblici. Il momento impone al governo Meloni di dialogare con le opposizioni su tutto. Anche quando si voteranno i membri laici del Csm. Serve un approccio che trasferisca fiducia alla gente come fece Draghi scegliendo Figliuolo che sbloccò la macchina inceppata della logistica dei vaccini per il Covid. L’errore commesso con la rimozione di Legnini che ha fatto ripartire la ricostruzione non può essere ripetuto. Questo tipo di scelte è la cosa che fa vedere ai cittadini che entriamo in una delle tante stagioni politiche segnate dall’occupazione partitocratica che ci ha condannato al declino. Se, poi, aggiungi che gli stessi cittadini quando vanno a fare il pieno scoprono che non hanno più lo sconto di Draghi perché si è preferito spendere i pochi soldi disponibili per onorare qualche cambiale elettorale, allora la fiducia si dilegua e il motore della ripresa italiana studiata nel mondo perde la sua benzina. Evitiamolo.

Non bisogna farsi trarre in inganno da un quadro macroeconomico dell’Eurozona che appare in contrazione in modo inferiore alle aspettative e da un’inflazione europea che resta alta ma scende aiutata dal ribasso del caro energia. Non bisogna farsi trarre in inganno per la semplice ragione che questo giornale da tempo segnala che c’è un approccio catastrofista deleterio in chiave italiana davanti a un quadro globale oggettivamente appesantito dai macigni non ancora rimossi della guerra di Putin in Ucraina e dalle difficoltà da Covid e altro del gigante cinese.

Non è più possibile ignorare il miracolo nascosto dell’Italia di Draghi, misurato da sette trimestri consecutivi di crescita, mezzo milione in più di occupati a tempo indeterminato e una crescita di esportazioni e del Sud senza precedenti, perché continua nonostante tutto e tutti, catastrofisti compresi, a produrre i suoi effetti benefici. Il fenomeno, altro che rimbalzo, che non ha riguardato nessun altro Paese europeo, era talmente strutturale da proseguire.

Quello di cui bisogna avere invece piena coscienza è che il miracolo nascosto da politici e media per attuare il Draghicidio che il mondo intero non ha capito, poggia su un meccanismo di fiducia e di reputazione che non può essere interrotto. Quello di cui bisogna avere piena coscienza è che il successo conseguito sui mercati dal governo Meloni con un spread che è salito meno di quanto sono saliti i tassi grazie alla continuità con Draghi, non può annullare il fatto che siamo il Paese europeo con più debiti sui mercati in rapporto al Pil e che l’anno prossimo tra titoli sovrani a lungo e breve termine dobbiamo collocare su quegli stessi mercati 510 miliardi di emissioni italiane. Così come non si può annullare il fatto che nel triennio 2023/2025 la spesa per interessi sarà di 270,2 miliardi contro i 186,1 calcolati nel Def di aprile.

Non ci voleva il Financial Times francamente per avere contezza che questa fragilità strutturale italiana è quella che espone il nostro Paese più degli altri ai rischi conseguenti alla politica di alti tassi e di mancati acquisti di titoli sovrani della Banca centrale europea. Abbiamo più volte criticato la guida malferma della Lagarde e la comunicazione maldestra sua e di altri membri del board che creano confusione sui mercati, ma vorremmo assicurare tutti gli esponenti della coalizione di centrodestra al governo che non saranno le loro sacrosante critiche alla Bce a metterli al riparo dalla fragilità strutturale italiana.

È bene piuttosto prendere coscienza che le incognite del contesto internazionale e soprattutto la nostra posizione come Paese con maggiore esposizione strutturale sui mercati cambiano tutto e fanno assumere un significato diverso a ogni tipo di discussione che continua ad alimentare il dibattito lunare della pubblica opinione italiana.

Tutto quello di cui si discute, polemizzando, dal presidenzialismo all’autonomia fino alle regionali, assume un significato diverso. Tutto va bruscamente ridimensionato dalla considerazione principe che il governo non può permettersi in queste condizioni di essere la palla al piede della ripresa italiana bruciando sull’altare delle bandierine ideologiche di politica interna il miracolo nascosto di Draghi ricevuto in eredità.

Bisogna capire fino in fondo che i tempi non consentono di fare un favore a chi da sempre paga meno tasse togliendo a tutti gli italiani lo sconto che Draghi aveva concesso e mai mollato riducendo le accise sulla benzina. Bisogna rendersi conto che è assolutamente obbligatorio trasferire alla gente la percezione che il governo è concentrato sul problema fondamentale del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, investendo sul modello Fitto che esprime scelte di competenza, e che va ricostruito un minimo di solidarietà nazionale in tutto ciò che attiene la politica economica, la gestione delle sue leve pubbliche, il rapporto con l’amministrazione dello Stato e dei territori e il mondo dell’impresa privata. Quello che proprio non è ammissibile è il “noi contro loro” perché è sbagliato in generale e perché è inammissibile nei tempi delle grandi crisi che oggi viviamo con il debito pubblico che ci ritroviamo sulle spalle.

Il governo Meloni deve adottare il modello Fitto a 360 gradi, deve aprirsi alle competenze, deve investire su un dialogo anche con la parte più ragionevole degli altri. Perché anche per gli altri partiti vale l’esigenza di capire che il miracolo italiano di Draghi è stato tutto costruito sulla fiducia e sulla reputazione attrattiva del turismo internazionale e di capitali del mondo e, allo stesso tempo, sulla capacità delle nostre imprese di fare innovazione e di sfruttare il vantaggio geopolitico determinato da un’impresa tedesca schiacciata dal doppio errore dell’alleanza industriale e energetica con Cina e Russia. Vale per chi governa e per chi sta all’opposizione l’obbligo di consapevolezza che se viene meno quella fiducia ritorniamo sull’orlo di quel burrone dove ci porta la nostra storia di debito pubblico e di vizi privati e corriamo il rischio serissimo di caderci dentro con tutte le gambe. A quel punto, visto che giù ci cadono tutti, non è che le opposizioni restano lì a fare le sentinelle e si salvano. Il momento storico che viviamo impone al governo Meloni non di fare l’inciucio, ma di dialogare con le opposizioni sempre.

Quando si voteranno i dieci membri laici del Csm bisognerà fare scelte di competenza, non di spartizione partitocratica sostituendo magari i loro con i nostri del governo. Serve un approccio complessivo diverso che trasferisca fiducia alla gente come fece Draghi scegliendo Figliuolo per fare partire la macchina inceppata della logistica delle vaccinazioni per il  Covid. Bisogna mettere ovunque personalità che diano fiducia al Paese. Servono messaggi ripetuti di fiducia al Paese perché senza di essi non usciamo dalla crisi storica del debito pubblico italiano da cui si viene fuori solo con la crescita e facendo i sacrifici giusti tagliando privilegi di vario tipo, non distribuendo inutili mance elettorali. Per fare un’operazione del genere devi avere un ampio consenso se no finisci vittima della lobby di turno, dai balneari ai tassisti, o di chi vuole l’autonomia differenziata per avere il triplo delle risorse che è dentro una cultura di egoismo miope che annulla in radice ogni principio di solidarietà.

Servono un clima e ragionamenti nuovi anche nel centrodestra. Non si può sentire il candidato alla guida della Regione Lazio che dice in sostanza “facciamo la differenziata, non l’inceneritore” perché se andiamo su questa strada possiamo salvarci solo se ci attrezziamo con i miracoli ma servono intercessioni divine di un certo peso. Il ragionamento assomiglia a quello di chi dice che non serve la polizia perché tutti dobbiamo essere più onesti e rispettosi delle regole. Fermiamoci un attimo e rendiamoci conto che il problema di oggi è avere in mente la solidarietà del Paese che non è la somma delle lobby ma la moltiplicazione virtuosa delle competenze riunite in un disegno di sviluppo e di lotta alle diseguaglianze.

Il Paese è una cosa  diversa dalla somma delle lobby e dalla scelta di una squadra di uomini in tutti gli apparati centrali e locali dello Stato che rispondono a noi perché sono dei nostri. L’errore di livello alto commesso con la rimozione di Giovanni Legnini, che è un uomo delle istituzioni ma soprattutto che aveva rimesso in moto la macchina della ricostruzione prima colpevolmente bloccata, è proprio il tipico errore che toglie fiducia nelle forze produttive sane del Paese, nello spirito vincente delle comunità dei territori, nel cuore pulsante della nostra piccola economia di mercato. Speriamo davvero che scelte simili non si ripetano con grandi servitori dello Stato, di cui non è assolutamente concepibile la inamovibilità, ma di cui bisogna sempre distinguere caso per caso valutando, questo sì, competenze e risultati conseguiti. Ci si ricordi sempre che l’interesse generale del Paese esige che ogni cambiamento deve almeno avere un sostituto  all’altezza e che come requisito in più non abbia sempre quello di essere uno di loro.  A furia di andare avanti con questa logica ciascuno nomina i suoi tra uno di loro e anche se il nominato è bravo diventa solo uno di loro e, quindi, non è più bravo perché manca automaticamente del requisito minimo di base di indipendenza e di competenza. Questo tipo di scelte è la cosa che fa vedere ai cittadini che siamo entrati in un’altra stagione che assomiglia alle tante stagioni politiche segnate dall’occupazione partitocratica di Stato e aziende pubbliche  che ci hanno condannato al declino. Se, poi, a tutto questo aggiungi che gli stessi cittadini quando vanno a fare il pieno scoprono che non hanno più lo sconto di Draghi perché si è preferito dare i pochi soldi disponibili per onorare questa o quell’altra cambiale elettorale, allora la fiducia se ne va, si dilegua in un istante, e il motore della ripresa italiana studiata nel mondo perde la sua benzina. Anche il ministro Calderoli si è accorto che “l’Italia è un treno dove ogni vagone deve trasportare con la stessa capacità i passeggeri, e se alcuni vagoni diventano un peso, deraglia. Se si rafforza solo il Nord e non si aiuta il Sud a crescere, è finita”. Se pensa davvero quello che ha dichiarato al Corriere della Sera, che noi condividiamo in pieno su questo passaggio, allora invece di minacciare querele reciti un mea culpa pubblico e ritiri la sua proposta. Per garantire i diritti civili e sociali a tutto il territorio bisogna prima attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza dando ancora di più al Sud per sanità e scuola e poi bisogna mettersi a ragionare liberando il campo da un elemento pericolosamente distorsivo qual è quello della spesa storica. È giusto che il Nord ci metta la faccia, ma su questo itinerario, non su altri. Perché lo spirito che serve al Paese oggi è proprio quello della solidarietà che supera la miopia degli egoismi condannati dalla storia.


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