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Giorgia Meloni con Emmanuel Macron

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La prima si impossessa con scorribande finanziarie dei nostri gioielli in casa e prova con mezzi militari e diplomatici a estrometterci dal continente africano fuori casa. Tutto questo è sbagliato per loro e per noi. La partita che Macron e Meloni devono vincere è quella di impegnarsi insieme nella costruzione di un’Europa che mette in comune bilancio, investimenti pubblici, politica estera e militare secondo il disegno compiuto e, a tratti, anticipatore di Draghi e Mattarella. La Francia capisca che l’approccio giusto in Africa è quello italiano alla pari e che richiede di avere dietro l’intera Europa. Nel frattempo Macron rinunci al seggio di membro permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la Francia occupa avendo fatto finta di avere vinto la  seconda guerra mondiale insieme agli inglesi e agli americani e lo restituisca all’Europa.

L’Europa che serve a se stessa e all’Italia che si ritroverebbe naturalmente al centro è proprio quella che fa fatica ad affermarsi. È l’Europa che decide di rispettare le regole della buona ingegneria residenziale e capisce finalmente che deve costruire il suo primo piano fatto di un po’ di unione fiscale messa in comune, di politica estera e di difesa anche esse finalmente europee con un capitale e una organizzazione che non sono più la somma di risorse e di disorganizzazioni nazionali ma l’espressione di un player globale che prova a dire la sua tra i giganti cinese e americano e l’emergente India.  Solo su un primo piano così fatto a regola d’arte si può costruire il secondo piano del fondo di garanzia dei depositi europeo e del mercato unico dei capitali. Perché le regole dell’ingegneria se si violano troppo a lungo, fanno cadere la casa. Se invece le si rispettano ponendo velocemente riparo agli errori commessi le cose si mettono a posto.

Dentro questa costruzione obbligata della nuova Europa della solidarietà ci sono due scelte ineludibili. La prima riguarda il coraggio di capire e essere conseguenti come Europa intera che la partita del futuro si gioca su una politica estera che esce definitivamente dai ricatti putiniani e dalle paure tedesche di perdere l’ancoraggio con  russi e cinesi per andare invece direttamente a misurarsi con loro investendo il peso dell’intera Europa sullo scacchiere dei quattro Mediterranei sostituendo l’economia della pace e il dialogo religioso e civile nel rapporto con Africa e Medio Oriente alle armi e ai soldi di russi e cinesi. Che perseguono invece lì un disegno di annessione colonialista del capitale energetico e di “terre rare” del nuovo mondo che si è capovolto e vede oggi in posizione di guida il Sud italiano al posto del Nord Europa.

La seconda scelta riguarda l’esigenza di una ricomposizione definitiva su basi nuove dei rapporti tra Francia e Italia che nonostante trattati del Quirinale e convergenze naturali di interessi su bilancio e debito comune della nuova Europa, cade a ripetizione sul nervo scoperto del rapporto con l’Africa e di un irrisolto contenzioso tra i due Paesi su presunte egemonie che sono fuori dalla realtà di oggi e sono il portato di una storia che ha nuociuto a entrambi.

Abbiamo proprio ieri sottolineato il realismo del vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, di un progetto europeo, non solo italiano,  che si rende conto  che l’Africa è un passaggio fondamentale. Perché può essere un grande polmone di sviluppo che produce la ricchezza che può servire al resto del mondo o il continente che andando alla deriva spinge la crescita abnorme dell’immigrazione illegale nel resto mondo.

Per questo l’approccio del governo Meloni e il portato dell’esperienza plurima ai massimi livelli europei di Tajani conducono l’Italia a farsi portabandiera di un’Europa che porta lo sviluppo lì e crea un nuovo hub che produce ricchezza per loro e per noi e che diventa gemello dell’unico altro grande hub energetico-manifatturiero del Mediterraneo che può avere l’Europa che siamo noi, il Mezzogiorno italiano.

È evidente che è solo con scelte e comportamenti di questo tipo che si può concorrere in modo decisivo alla costruzione nel medio termine di quel partito conservatore italiano saldamente ancorato alle istituzioni europee e alla nostra storia democratica che può così, solo così, candidarsi a guidare la grande alleanza tra conservatori e popolari europei dentro un percorso federale almeno concentrato sui punti strategici e non di Europa delle nazioni. Perché se si vince e accade questo, abbiamo scherzato e registreremo la dissoluzione del grande progetto europeo e del suo nucleo fondante.

Per questo il Piano Mattei che è il sogno anticipatore di La Pira di alcuni decenni fa ha oggi bisogno di un nuovo Mattei che questa volta si chiama Descalzi e che dovrà essere tutelato rispetto alle insidie moderne di quella storia antica che portò alla tragica fine del grande capo dell’Eni italiana. I francesi sono in una crisi bestiale e menano colpi per aria. Che la loro politica africana si è rivelata un disastro è un dato di fatto, ma non ne vogliono prendere atto. Anzi di più, hanno paura che l’Italia prenda il loro posto e questa è espressione di una tensione storica tra l’Italia e la Francia. Total arrivò a escludere Eni dalle sue tabelline per potere continuare a dire in Francia che era la prima nelle esplorazioni in Africa. Faremmo bene tutti ad avere memoria storica e ricordarci che Mattei fu fatto fuori perché era inaccettabile che un italiano si permettesse di fare politica estera e, tra l’altro, sostenendo sottobanco la Resistenza algerina in un territorio che era una colonia francese mentre la Francia era impegnata a distruggere quella Resistenza.

La nuova Europa deve fare i conti con questa lunga storia di amore-odio tra Italia e Francia che sono due Paesi latini che hanno tante cose in comune, ma litigano sulla gerarchia degli interessi. Nessuno riesce del tutto a togliere dalla testa dei francesi che l’Italia è un Paese che hanno inventato loro. Che senza Napoleone III Cavour non avrebbe mai potuto fare la sua politica di unificazione italiana e quindi la Francia pensava allora di acquisire l’Italia come Paese vassallo. Non è andata così e loro non lo hanno mai digerito. Hanno sempre provato e continuano a provare con scorribande finanziarie e la forza della cassa pubblica e privata di impossessarsi dei nostri gioielli in casa e con altri mezzi militari e diplomatici di estrometterci dal continente africano fuori casa.

Tutto questo è sbagliato per loro e per noi. La partita vera che Macron e Meloni dovrebbero vincere è quella dell’esatto contrario e, cioè, impegnarsi insieme nella costruzione di un’Europa che mette in comune bilancio fiscale, investimenti pubblici e politica estera e militare secondo il disegno compiuto e, a tratti, anticipatore di Draghi e Mattarella. La Francia deve capire che l’approccio giusto in Africa è quello italiano e potrebbe dare il buon esempio rinunciando al seggio che ha nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e restituendolo dopo mezzo secolo all’Europa per conto della quale lo occupa avendo fatto finta di avere vinto la seconda guerra mondiale insieme agli inglesi e agli americani.


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