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Una parte dei soldi dello Stato sono sulle contabilità speciali dei commissari-presidenti delle Regioni che sono l’equivalente di conti correnti e i costi delle catastrofi non immuni dagli effetti di quei saldi non spesi ora li deve ripagare lo stesso Stato. Le Regioni nate come enti di programmazione si credono finti governi di un finto Stato federale facendo tutti finta che l’Italia sia gli Stati Uniti o l’Emilia-Romagna il Texas. Servono programmazione nazionale di lungo termine e operatività tecnica che attua gli obiettivi. Torniamo alle strutture centrali tipo la prima Cassa e non facciamo finta di occuparci dell’emergenza mentre franano le fondamenta dello Stato. Partiamo da qui garantendo capitali e ingegneri, saremo più efficaci anche nell’emergenza. Altrimenti perdiamo tempo e soldi.

Non si tratta di fare polemiche, ma di prendere atto della realtà. Dal 2019 al 2033 contro il dissesto idrogeologico sono stati stanziati quasi 26 miliardi coinvolgendo tutti i soggetti interessati ministeriali e territoriali. Quindi, non c’è un problema di soldi. Una fetta rilevante (19%) tocca ai fondi di coesione e sviluppo che coinvolgono le Regioni e riguardano addirittura il programma 2014/2020. C’è di più. Sulle contabilità speciali dei presidenti commissari delle Regioni risulta a oggi un saldo di 1,5 miliardi.

Sono praticamente soldi che le Regioni italiane hanno avuto dallo Stato sui loro conti correnti per spenderli immediatamente contro il dissesto idrogeologico, ma sono rimasti lì. Sono saldi rimasti sulle loro contabilità speciali che sono l’equivalente dei nostri conti correnti. Preferiscono questi finti capi di governo regionali finanziare la festa del patrono piuttosto che pulire gli alberi o i letti dei fiumi perché la gente non ti dà credito per sventare catastrofi future che forse accadranno, ma ti dà il voto solo se riceve subito qualcosa, se può godere di una festa di paese o incassare qualche soldino pubblico per qualche suo progetto privato.

Peggio: quasi tutti i Presidenti di Regioni hanno preteso di essere nominati loro stessi commissari con annessi poteri per combattere il dissesto idrogeologico e hanno trasferito magari a loro medesimi e a chi collabora con loro nuove prebende. Bisogna prendere atto che un tema così strategico e delicato come è quello ambientale in un Paese serio non può essere affrontato con venti Regioni che fanno ognuna la loro politica ambientale e, quindi, bene o male che facciano, determinano confusione, moltiplicano i problemi, sono destinati statisticamente a produrre la catastrofe, anzi più catastrofi. Che paga tutte, una a una, lo Stato non avendo responsabilità dirette tranne quella di fondo di avere rinunciato a esistere per miopia o viltà della sua classe politica. Di fronte a un simile scempio Giorgia Meloni colga la palla al balzo della mezza disponibilità della leader del Pd, Elly Schlein, per ricostruire lo Stato smantellato dal federalismo all’italiana, che rappresenta in sé il primo problema competitivo del Paese, e faccia partire il processo di ricostruzione delle strutture centrali che tornano a occuparsi stabilmente delle cose fondamentali.

Approfitti la Presidente del Consiglio della legge di assestamento per vincolare con una scadenza almeno ventennale il 2/3% del Pil alla messa in sicurezza del territorio nazionale attraverso un decreto direttamente attuativo per evitare imboscate parlamentari future e i soliti giochetti demagogici dei talebani moralisti dell’ambientalismo che hanno il vizio di mettersi prima di traverso e poi di lamentarsi perché non si fa nulla.

Almeno su un tema così delicato che tocca la coscienza di tutti con l’orrore di questo impasto di fango e morti e con il suo carico di paesi devastati e di capannoni industriali e terreni agricoli rasi al suolo non può non scattare un sentimento di solidarietà nazionale. Il punto è che non basta il sentimento, serve proprio una stagione del fare di solidarietà nazionale che porti alla nascita di un ente apposito, noi l’abbiamo chiamata “Agenzia di controllo e gestione”.

Ovviamente non pensiamo all’ennesimo baraccone diviso tra i partiti che sostituisce alle mangiatoie regionali quella centrale, ma piuttosto a un centro moderno di raccolta delle migliori competenze che non ci mancano sostenute da fortissime semplificazioni e poteri speciali non discutibili destinati a diventare la nuova ordinarietà. Questo, non altri, è il punto. Abbiamo una bellissima occasione per dimostrare al mondo che la democrazia italiana è in grado di correggere i suoi errori e risolvere i problemi uscendo dalle distorsioni della trappola federalista che essa stessa ha costruito e impavidamente alimentato negli anni.

Ma possiamo davvero continuare con i consorzi di bonifica che non bonificano più niente? Sono cose fatte all’inizio del Novecento diventati in tempi “relativamente” più recenti carrozzoni burocratici che prendono soldi da tutti i cittadini che hanno proprietà nelle loro aree senza dare in cambio nulla di nulla. Ma perché si deve continuare a nominare commissario per combattere il dissesto idrogeologico uno che fa il presidente della Regione che di sicuro ha ben altro da fare? Che nel caso del presidente della Regione Emilia-Romagna fa anche il presidente di un partito e che, comunque, nella quasi totalità degli altri casi, non ha peraltro alcuna competenza specifica sulla materia? Perché accavallare sempre ruoli e responsabilità? Usciamo una volta per tutte anche da questa trappola dei commissari che sono poi sempre figure dedicate che implicano un altro meccanismo burocratico e, quindi, impongono tutto un iter che fa perdere altro tempo che non abbiamo più. Bisogna tornare allo Stato e alle sue strutture centrali queste sì dedicate perché competenti e organizzate in grado, cioè, di individuare le priorità e di guidare gli interventi sul territorio in base alle priorità reali, non quelle inventate.

Le Regioni sono nate come enti di programmazione e sono diventate finti governi regionali di un finto Stato federale facendo tutti finta che l’Italia sia gli Stati Uniti o l’Emilia-Romagna il Texas e teorizzandolo in pubblico senza nemmeno ridere, ma facendo in compenso ridere il mondo. È arrivato il momento di ritornare a una programmazione nazionale di lungo termine e a una operatività tecnica che garantisce l’immediata attuazione degli obiettivi individuati dalla programmazione. Pochi grandi interventi, ha ragione il ministro Fitto, non una miriade di micro progetti clientelari che rischiano di farci perdere anche i soldi europei. Se non vogliamo fidarci della burocrazia torniamo agli enti speciali tipo la prima grande Cassa delle opere del Dopoguerra, ma smettiamola di fare finta di occuparci dell’emergenza mentre a franare sono le fondamenta dello Stato. Se cominciamo da qui, se cominciamo dalle fondamenta garantendo capitali e ingegneri, siamo anche più credibili e efficaci nell’affrontare le emergenze che sono pesantissime e vanno affrontate. Solo così possiamo farcela per l’oggi e per il domani. Altrimenti perdiamo solo tempo e soldi.


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