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Un soldato francese in Mali

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Il ritiro francese, e degli europei, dal Mali è un’altra sconfitta per Parigi e per l’Occidente sulla quale le potenze europee e anche il nostro governo, grazie alla crisi ucraina, sono passati sopra come se niente fosse. Certo non è l’Afghanistan, ma è una bella batosta perché il posto di francesi ed europei viene preso dai contractor russi della Compagnia Wagner. La dichiarazione di un ufficiale francese riportata da Le Monde è esplicita: «Alle riunioni gli ufficiali venivano ai nostri briefing con nervosismo e impazienza perché avevano meeting urgenti con i russi».

COSA È ANDATO STORTO

La sconfitta – perché di questo si tratta, infatti in Mali i jihadisti controllano sempre maggiori territori – arriva dopo tante altre, a partire dal caos libico, che continua a far seguito all’intervento ai tempi di Sarkozy contro Gheddafi.

La partenza delle truppe francesi dal Mali, annunciata il 17 febbraio, segna la fine di un’epoca, oltre che un salto nel buio. Basti pensare che l’intervento in Mali è stato il più lungo e impegnativo delle forze francesi dopo la guerra d’Algeria: era cominciato con successo nel 2013 quando fermò una colonna jihadista diretta a Bamako e si è concluso con un senso di fallimento e di missione non compiuta. Ma è anche quello, in senso più ampio, dei grandi interventi militari occidentali.

Lo stesso tono del comunicato ufficiale è lugubre e dà la misura del fallimento: «A causa di molteplici ostruzioni delle autorità maliane, il Canada e gli Stati europei che operano assieme all’operazione Barkhane e in seno alla Task Force Takuba ritengono che le condizioni politiche, operative e giuridiche non ci sono più per proseguire efficacemente l’impegno militare attuale nelle lotta al terrorismo in Mali e hanno quindi deciso di avviare il ritiro coordinato dal territorio maliano dei rispettivi mezzi militari».

Cosa è andato storto in Mali? La Francia paga la distanza tra il successo di tattiche come l’eliminazione sistematica dei capi jihadisti e il sentimento di insicurezza della popolazione di una zona sempre più vasta del Sahel, tra i mezzi di un grande esercito occidentale e il senso di impotenza di fronte ai ripetuti massacri La Francia, soprattutto, è stata travolta dall’accelerazione degli eventi e oggi deve partire a causa delle pressioni. Il degrado dei rapporti con la giunta militare maliana e l’ostilità crescente della popolazione hanno portato alla fine della presenza francese. I mercenari russi della Wagner hanno semplicemente assestato il colpo di grazia.

LA FINE DI UN CICLO

I vertici francesi lo hanno ripetuto diverse volte: l’esercito francese non lascerà il Sahel, dove la partita per la sicurezza è diventata ancora più importante perché si sta allargando verso i Paesi più a sud come Costa d’Avorio, Togo e Benin.

Tuttavia nessuno pensa di riproporre un dispositivo simile a quello dell’operazione Barkhane, unicamente francese, e la forza Takuba, con la collaborazione di diversi Paesi europei. Prima di tutto perché i Paesi della regione non lo desiderano (tenendo conto del sentimento della popolazione), ma anche perché la Francia non vuole ripetere gli errori del passato. Dunque le forze francesi opereranno, come ha confermato un responsabile, “sotto i radar”, ovvero in modo meno visibile.

Ma saranno anche più efficaci? Questa è la grande incognita che determinerà la sicurezza in questa parte dell’Africa per gli anni a venire. In tutto questo si assiste anche alla fine di un ciclo più ampio. Difficile non accorgersi che tutti i grandi interventi militari occidentali degli ultimi vent’anni sono falliti, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia al Mali.

«Sono finiti i tempi in cui uno Stato si lasciava schiacciare sotto un tappeto di bombe, soprattutto americane ma anche un po’ francesi, prima di veder sorgere una forza di occupazione», scrive il colonnello francese Michel Goya in Le temps des guépards, un libro dedicato alla lunga storia delle operazioni all’estero della Francia.


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