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Volodymyr Zelensky

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Come prevedibile, il primo incontro fra l’Ucraina e la Russia, tenutosi a Gomel il 28 febbraio, si è concluso con un nulla di fatto, neppure con uno scambio di prigionieri. S’incontreranno però di nuovo. Un accordo bilaterale è difficile. Putin ha ribadito a Macron l’intransigenza delle sue richieste: riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea; de-nazificazione, smilitarizzazione e neutralità dell’Ucraina; atto formale di rinuncia perenne a far parte della Nato. Sottaciute sono state invece le sorti delle province secessioniste del Luhansk e del Donetsk e lo status della minoranza russofona in Ucraina, che ammonta al 17 per cento della popolazione. Forse Putin è disposto a usarla come “moneta di scambio”.

PUTIN SCIVOLA VERSO IL RIDIMENSIONAMENTO

Dato il freddo cinismo del personaggio, ormai con le spalle al muro, non mi stupirei tanto che fosse così. È ormai in gioco la sua poltrona. L’alleanza fra “siloviki” e oligarchi che lo sostiene sta scricchiolando. Entrambi cercano una via d’uscita. Non vogliono farsi travolgere dagli incredibili errori che Putin ha commesso. Prima o poi sarà spodestato da una congiura di palazzo. La piazza non conta.

Non esiste un organo politico, come il Politburo, che possa esautorare Putin, come avvenne per Kruscev dopo la crisi di Cuba. Zelensky non corre il pericolo di essere esautorato dai suoi. Si dimostra geniale. Lo prova il discorso al Parlamento europeo e, soprattutto, la richiesta a Pechino di mediazione fra Kiev e Mosca. Lo avevamo previsto una settimana fa fra lo scetticismo e l’ironia generali.

Un intervento di Xi Jinping costituirebbe comunque una minaccia a Putin di lasciarlo al proprio destino di fronte alla pesante reazione occidentale. Il cauto Xi Jinping è stato sempre il convitato di pietra nel confronto fra l’Occidente e la Russia. Sicuramente è contento di vedere la Russia ridotta a junior partner della Cina, se non a sua vassalla, fornitrice di materie prime a prezzi stracciati. È però preoccupato sia per gli effetti collaterali sulla sua economia delle sanzioni alla Russia, sia perché vede Putin “giocherellare” con le armi nucleari.

Tali preoccupazioni sono più che giustificate. La prima perché, prima o poi, gli Usa adotteranno “sanzioni secondarie” che colpiranno le banche e le imprese cinesi se continuassero a fare affari con la Russia.

La seconda, perché la Cina non è pronta a un conflitto. Oggi dispone di 350 testate (gli Usa ne hanno 4.500). Inoltre, gran parte del suo paio di centinaia di missili intercontinentali è in silos, è quindi fisso e vulnerabile a un first strike nucleare, con cui gli Usa non mancherebbero di colpire la Cina in caso di guerra con la Russia.

LA STRATEGIA DI ZELENSKY

Zelensky non ha voluto la presenza occidentale all’incontro di Gomel. È stato un chiaro segnale che non intende accettare il rischio che l’Ucraina diventi un “agnello sacrificale” fra l’Occidente e la Russia, “vaso di coccio fra due vasi di ferro”.

È certamente consapevole di tale pericolo. Lo aveva dimostrato già nei giorni precedenti l’attacco russo. Infatti, aveva lanciato appelli alla calma, gettando acqua sulle dichiarazioni degli Stati uniti sull’imminenza dell’attacco. Oggi vuole condurre con Mosca negoziati bilaterali, possibilmente con la mediazione, cioè con la sponsorizzazione cinese.

Sa bene che l’Occidente è diviso in due campi, che perseguono interessi completamente diversi da quelli dell’Ucraina. Taluni vorrebbero punire severamente la Russia, anche per dissuaderla dall’effettuare nuovi attacchi militari e indurla ad abbandonare il tentativo di Putin di ricostruire l’impero. Sono ormai in maggioranza.

Altri, che hanno sempre sperato in una Russia europeizzata, alleata contro la Cina (come aveva suggerito Macron, prima di cambiare idea, o Trump, che non l’ha cambiata), vorrebbero chiudere la partita ucraina quanto prima senza comunque umiliare la Russia. Ormai, per loro, l’unica via d’uscita possibile è la cacciata di Putin dal Cremlino, a seguito di un colpo di Stato o di una congiura di palazzo. C’è da augurarsi che prevalga la seconda ipotesi.

Il nostro governo sta perseguendo il secondo obiettivo con dignità, realismo e coerenza. Esso corrisponde sicuramente agli interessi dell’Italia, tenendo anche conto delle sue vulnerabilità. Possiamo tutti esserne orgogliosi.


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