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Il presidente del Consiglio Mario Draghi

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L’INVASIONE dell’Ucraina continuerà. E l’Italia deve abituarsi a convivere a lungo con il conflitto. Il peso dei bombardamenti sulle città ucraine e le sanzioni economiche adottate per mettere in ginocchio le casse di Mosca hanno ripercussioni sull’economia italiana già oggi. Così, per alleviare i disagi di imprese e famiglie, il governo ha annunciato il varo di una serie di misure da 4,4 miliardi. L’innalzamento a 12 mila euro del tetto Isee per consentire a cinque milioni di famiglie di godere di luce e gas scontati.

La rateizzazione in 24 soluzioni delle bollette di maggio e giugno a vantaggio delle imprese. La riduzione di accise e Iva per 560 milioni sui carburanti per l’autotrasporto. Una tassa del 10% sui profitti in eccesso delle aziende energetiche per tagliare di 25 centesimi le accise su benzina e gasolio fino alla fine di aprile. Quest’ultima misura, in particolare, era stata suggerita e anticipata proprio dal nostro quotidiano qualche giorno fa nell’editoriale del direttore Roberto Napoletano del 15 marzo scorso.

A dispetto dei malumori delle imprese che, sotto traccia, si lamentano del prelievo, val la pena ammettere che in situazioni eccezionali servono interventi eccezionali. In questo caso specifico, il merito di Draghi è quello di realizzare un importante provvedimento redistribuivo a favore delle categorie più esposte, con un sacrificio tutto sommato modesto per le imprese. E, soprattutto, senza aumentare il debito pubblico come qualche leader scriteriato aveva chiesto nei giorni scorsi agitando lo spettro dello scostamento di bilancio.

Ovviamente, se il conflitto dovesse durare a lungo – come appare probabile – queste misure potrebbero non bastare. Intanto, l’emergenza energetica con l’aumento dei prezzi del gas e dei carburanti fa tornare l’incubo della protesta populista che l’Europa ha già conosciuto in anni recenti. Ecco perché l’Italia e i tre stati partner mediterranei – Spagna, Portogallo e Grecia – puntano alla fissazione di un tetto sul prezzo del gas da parte di Bruxelles e a progressi significativi in direzione di una Unione dell’energia, vincendo le resistenze dei paesi del Nord. Ancora una volta merito di Mario Draghi se l’Europa riuscirà ad affrontare questa sfida in modo unitario, evitando la dannosa frammentazione che deriverebbe da politiche nazionali differenti e scoordinate. Ma i tempi sono strettissimi. Se l’Europa dovesse procedere a ulteriori sanzioni contro Mosca – ipotesi sempre più probabile – i paesi maggiormente dipendenti dal gas russo subirebbero le ripercussioni più gravi. Tra questi c’è proprio l’Italia.

La Russia lo sa bene e fa la voce grossa. “Non vorremmo che la logica del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato la ‘totale guerra finanziaria ed economica’ alla Russia, trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili”, ha dichiarato ieri Alexei Paramonov, direttore del dipartimento europeo del ministero degli esteri russo. Che ha poi accusato direttamente il ministro della difesa Lorenzo Guerini di essere diventato uno dei peggiori falchi antirussi. La politica italiana si è espressa in coro a protezione di Guerini. Ma i russi sanno che, alla lunga, la ricaduta delle sanzioni inflitte al Cremlino sulla vita quotidiana degli italiani potrebbe scatenare insofferenza. E conoscono bene la fragilità del sistema politico italiano.

Da tempo Mosca cerca di esercitare una influenza sull’Italia – come su altre democrazie liberali – approfittando degli accordi commerciali e della porosità dell’infosfera. È ormai acclarata la campagna di manipolazione dell’opinione pubblica realizzata dalla Russia sui social media italiani per alimentare la protesta populista. Questa operazione, nelle elezioni del 2013, ha contribuito alla vittoria di una maggioranza di forze che promuovevano l’uscita dall’Euro e dalla Nato e guardavano con simpatia al tiranno del Cremlino. Anche così si spiegano i sempre più stretti rapporti di partnership stabiliti da Lega e M5s con il partito Russia Unita di Vladimir Putin.

Nemmeno è un caso che la propaganda No Vax diffusa durante la pandemia si sia immediatamente riciclata in propaganda No War (e pro Putin) subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Insomma: la politica italiana è stata – ed è tuttora – infiltrata dall’orso russo. E solo la minaccia militare dei carri armati ha costretto Salvini e Conte a riflettere sulla loro imbarazzante simpatia per un feroce dittatore. Ancora oggi, nonostante il sostegno al governo sulla crisi ucraina, resistono molte ambiguità. Sia Salvini che Conte nicchiano sull’aumento delle spese militari. In vista del discorso che Zelensky terrà martedì prossimo a Montecitorio in collegamento da Kiev, numerosi parlamentari leghisti e grillini manifestano dissenso e pretendono di ascoltare anche Putin per garantire una singolare par condicio tra l’aggressore e l’aggredito. Viceversa, colpisce l’imprevedibile convergenza atlantista e anti-Putin tra Enrico Letta e Giorgia Meloni.


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