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La Messa di Pasqua presieduta da Papa Francesco a Piazza San Pietro

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Era la Pasqua. Il giorno che celebra il Cristo risorto. Il momento più significante, decisivo, per una religione che, a differenza di tutte le altre, crede in un Dio che attraverso il figlio sì è fatto uomo. E, per ciò stesso, ha riconosciuto a ogni uomo una dignità che nessun altro gli ha dato e gli potrà mai dare.

Anche per questo, anzi, soprattutto per questo, molti credenti – e, forse, non solo credenti – speravano che la Pasqua potesse favorire il compimento del loro sogno. Il sogno che avevano dentro, un nuovo “I have a dream”, e cioè una Chiesa che si liberasse dei lacci e lacciuoli della diplomazia, e rivendicasse quel vincolo di fratellanza che Dio ha stabilito, una volta per sempre, fra tutti gli esseri umani.

Il sogno di una Chiesa che, appunto in nome del Dio dell’Incarnazione, ma anche in nome della sacralità della vita e della dignità di milioni di donne e di uomini che sono i popoli dell’Ucraina e della Russia, insomma, una Chiesa che si rivolgesse espressamente, apertamente, ai due presidenti, Volodymyr Zelenski e Wladimir Putin. Chiamandoli per nome. E invitandoli a cessare immediatamente ogni operazione bellica, e a cominciare a trattare, e a trovare una soluzione, possibilmente stabile e definitiva, per tutti i problemi sul tappeto.

E invece? Invece, il sogno è rimasto ancora e solamente un sogno. All’Angelus della Pasqua, pur con il discorso più sentito, più accorato, ma anche più fermo, più duro, di quelli pronunciati finora, papa Francesco non è andato oltre i confini di quella strategia, volutamente moderata, prudente, circospetta, che la diplomazia vaticana aveva impostato, e che lui, spesso divincolandosi e con uscite personalissime, ha comunque seguito.

“Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Pace!”. Si potevano trovare parole più esplicite, più dirette di queste, per chiedere la fine di un conflitto già così spaventosamente sanguinoso?

Ma ecco il punto, il solito punto nodale. Perché non dire chi abbia “trascinato” l’Ucraina in questa guerra “crudele e insensata”? Perché non ricordare al mondo chi sia stato a scatenare questa ennesima catastrofe? Più avanti nel discorso. Implorando pace per Gerusalemme, il Papa ha elencato particolareggiatamente tutti i gruppi religiosi (cristiani, ebrei e musulmani) e nazionali (israeliani e palestinesi), i quali scontrandosi ripetutamente, anche nei giorni scorsi, allungano all’infinito i tempi per una eventuale pacificazione. Perché allora non farlo anche per quanto sta succedendo in Ucraina? Perché non condannare Putin, la Russia, per il massacro, se non il genocidio, che stanno perpetrando?

“Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: ‘Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?’”. Parole gravi, importanti, che sottintendevano il pericolo di un allargamento del conflitto ucraino, se non addirittura l’esplodere di una guerra nucleare. Ma era giusto rivolgere queste parole, finendo col rimetterli ancora una volta sullo stesso piano, e quindi con l’attribuirgli un’eguale parte di responsabilità nello scatenamento del conflitto, tanto all’aggressore (la Russia) quanto all’aggredito (l’Ucraina)?

E poi, di nuovo, l’allargamento del discorso-guerra al mondo intero. Disperdendo o quanto meno attenuando, di conseguenza, le cause specifiche che hanno portato all’invasione dell’Ucraina. E così, Bergoglio ha fatto un lunghissimo elenco dei conflitti ancora in corso, delle loro gravissime ripercussioni sul piano umano, sociale ed economico. Dimenticando però, ma che strana dimenticanza!, nel parlare delle difficoltà che incontrano le minoranze cristiane in Africa e Asia, dimenticando di accennare alla Cina, di denunciare la nuova durissima repressione che stanno subendo vescovi, preti e credenti della Chiesa cosiddetta “clandestina”. Alla faccia del tanto reclamizzato Accordo, e ancora segreto, tra Vaticano e Pechino.

“La pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è la primaria responsabilità di tutti”. E comunque, anche solo per ricordare questo al mondo, l’azione di papa Francesco e della Santa Sede resta fondamentale. Un’azione sicuramente dai molti aspetti criticabili, perfino incomprensibili, ma che almeno tiene aperta la speranza di un qualche negoziato, di una tregua, in modo da far tacere le armi, da risparmiare la vita ad altri poveri innocenti.

Mai come in questo momento, infatti, le parole del Vangelo – dette però apertamente, senza sotterfugi, senza paure e cautele, o, peggio, senza manipolazioni – potrebbero far da solido fondamento alle parole della politica, della diplomazia. Ed ecco perché l’impegno concreto della Santa Sede non potrà limitarsi a quello, pur importantissimo, insostituibile, dell’aiuto ai profughi, della solidarietà con chi più soffre. In questo modo, la missione della Chiesa si ridurrebbe a quella di una ONG, di una agenzia umanitaria.

La carità evangelica è anche, e soprattutto, dire la verità al momento giusto, e quando ce ne sia più bisogno. Lo ha ricordato con molta franchezza il vescovo di Odessa, mons. Stanislaw Szyrokoradiuk, quando il cardinale Konrad Krajewski (elemosiniere, inviato del Papa, ma non, come inavvertitamente gli è scappato in una intervista, anche ex segretario personale di Giovanni Paolo II) è arrivato con una autoambulanza da destinare alle emergenze di questa città, continuamente sotto assedio dell’esercito russo.

“Non vogliamo solo aiuto materiale, ma anche morale, anche spirituale”, ha detto il vescovo ucraino. “Ci aspettiamo che il Papa pronunci parole più forti sul patriarca Kirill, che ha benedetto Putin, questo nuovo Hitler. Ci aspettiamo che il Papa dica chiaramente che cosa significhi questa guerra…”.


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