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Il contributo alla ricchezza mondiale

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Asia nuova locomotiva del mondo, la crescita 2023, stimata al 2,8%, è dovuta per il 70% all’Asia e solo per il 7,1% all’Europa

«Il mondo capovolto». Queste parole, a lungo trattate nel Festival Euromed del 18 marzo scorso, volevano esprimere i cambiamenti in corso nelle fattezze del mondo: diventa sempre più importante la direttrice Nord-Sud (con al centro il Mediterraneo e al centro del Mediterraneo il Mezzogiorno d’Italia) e quell’asse viene a modificare sia la geopolitica che gli scambi, a cominciare dagli approvvigionamenti energetici. Ma c’è un altro “capovolgimento” attualmente in corso, un cambiamento che viene da lontano.

Ormai da molti anni il Pil combinato dei Paesi emergenti ha superato il Pil dei Paesi emersi, e la novità è che questo sorpasso sta accelerando, lungo una direttrice Est-Ovest (valida sia per l’emisfero boreale che per quello australe).

AVANZATA ASIATICA: NON SOLO CINA

Nell’anno in corso la crescita mondiale è stimata, dal Fondo monetario, a uno scarso 2,8% (in rallentamento rispetto al 3,4% del 2022), e di questa crescita circa il 70% viene dall’Asia (vedi l’immagine tratta dall’ultimo World Economic Outlook del Fondo). Gli altri contributi alla crescita vengono principalmente da quello che il Fondo chiama “Emisfero occidentale” (Nord e Sud America + Caraibi) con il 13,7%, il Medio Oriente (7,8%) e l’Europa, con un modesto 7,1%, anche meno del Medio Oriente.

In effetti l’imponente spostamento di potere d’acquisto innescato dagli alti prezzi dell’energia, a scapito dei Paesi consumatori e a vantaggio dei produttori (fra i quali ovviamente il Medio Oriente) può spiegare la debolezza della crescita europea (che ha poi altre gatte da pelare, prima fra tutte la risalita del costo del danaro). Ma la crescente centralità dell’Asia come locomotiva del mondo merita qualche ulteriore riflessione.

ASIA NUOVA LOCOMOTIVA DEL MONDO

In Asia ci sono due “economie avanzate” (Giappone e Corea del Sud), ma queste contribuiscono molto poco a quel 67,4% che è il contributo totale dell’area alla crescita del pianeta. Il grosso viene dalla Cina, dall’India e dall’Indonesia (che, dopotutto, è il quarto Paese più popoloso del mondo). Per molti anni (con la sola eccezione del 2020, l’anno del “cigno nero” da Covid) la Cina è stata una locomotiva della crescita e, malgrado la pandemia e i goffi sforzi di contenimento, non pare assolutamente voler abdicare a questo ruolo.

La Cina, se vogliamo guardare a quelle traiettorie che possono permettere di continuare a essere il primum movens, è un Paese relativamente giovane: l’età media (al 2020) è di 38,4 anni, analoga a quella degli Stati Uniti (38,5) ma molto più giovane rispetto all’Europa (Germania 47,8, Italia 46,5, Francia 41,7…). Per India e Indonesia il dato è ancora migliore: 28,7 per l’India, 31,1 per l’Indonesia (sia detto, en passant, che i 25 Paesi al mondo con l’età media più bassa – sotto i vent’anni – sono tutti in Africa).

PECHINO E IL FATTORE DEMOGRAFICO

Un Paese “giovane” è un Paese che può continuare a rifornire la popolazione in età di lavoro, ed è un Paese che ha meno problemi nel finanziamento delle pensioni. Per la Cina, poi, abbiamo un altro importante supporto per la continuazione della crescita: il sistema educativo. Da qualche anno ormai la Cina è in testa alle classifiche mondiali per numero di brevetti, e negli ultimi 5 anni quel numero è andato aumentando a un tasso annuale del 13,4%, superiore a quello del Pil reale.

Un recente rapporto – il “Critical Technology Tracker” dell’Aspi (Australian Strategic Policy Institute) – scrive che Pechino domina in 37 dei 44 strumenti analizzati, che spaziano dai materiali avanzati all’Intelligenza artificiale, dall’energia e la biotecnologia allo spazio e alla difesa e ai motori aeronautici…
Tutto questo vuol dire che non solo la quantità di lavoro sarà disponibile nella gara della crescita, ma anche la qualità sarà lì ad afferrare il testimone della staffetta.

ASIA LOCOMOTIVA DEL MONDO ANCHE DAL PUNTO DI VISTA DEMOGRAFICO

Per tornare alla demografia e all’età media, bisogna tuttavia guardare, per la Cina, non solo ai livelli (favorevoli, nel confronto internazionale) ma anche alla dinamica (preoccupante). La demografia non perdona, e decenni di politica del “figlio unico” (avviata nel 1980 e abolita nel 2015) non potevano che portare a un rallentamento della crescita demografica: rallentamento che si è trasformato in riduzione nell’anno passato, e che è esacerbato da due altri fattori, uno temporaneo (morti da Covid) e uno permanente (i cinesi, come in altri Paesi, fanno figli più tardi, e le donne si preoccupano di più della carriera, mentre gli asili-nido non sono diffusi come in Occidente).

Una popolazione che rallenta o si riduce è, quasi per definizione, una popolazione che invecchia. Il tasso di dipendenza (anziani in % della popolazione in età di lavoro) sta crescendo. Il contratto implicito nella società cinese – il governo promette redditi crescenti in cambio di limitazioni alle libertà civili – si sta sfrangiando. I cinesi hanno scoperto che le proteste funzionano (vedi, per esempio. le manifestazioni che hanno portato all’abbandono del Covid-zero) e niente sarà più come prima.

L’INDIA IN AGGUATO DIETRO L’ANGOLO

Nella staffetta del contributo alla crescita, se la Cina dovesse rallentare, il testimone potrà però essere colto dall’India: un Paese, come detto, molto giovane, e che si avvia, quest’anno, a sorpassare il vicino gigante nel numero di abitanti.

L’India è anche in rapida crescita tecnologica: le grandi società americane, a cominciare dalla Apple, stanno spostando produzione dalla Cina all’India, e non è solo per diversificare (friendly-shoring, meno autocrazie, più democrazie). L’India ha un sistema educativo che sforna molte eccellenze, prima nel software, e adesso anche nella manifattura.

Si può essere sicuri che anche gli altri Paesi giovani del continente asiatico seguiranno analoghe traiettorie. Il XXI secolo si avvia a essere il “secolo dell’Asia”, in attesa che il XXII secolo possa forse diventare il “secolo dell’Africa”. Le centralità occidentali – sia nel Nord-Sud che nell’Est-Ovest – saranno sempre meno centrali. Facciamocene una ragione.


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