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Da sinistra, il presidente cinese Xi Jinping, il leader russo Vladimir Putin e il presidente dell'Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev

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Lo zar Putin finisce in un vicolo cieco

Il mancato invito alla cerimonia funebre della regina Elisabetta II ha suscitato l’indignazione di Putin, sensibilissimo agli sgarbi e alle crescenti critiche rivoltegli in Russia per la condotta del conflitto in Ucraina.

Per gli inglesi, il mancato invito era logico: sarebbe stato come invitare Totò Riina alla Festa della Polizia. A esso si sono aggiunti i rovesci in Ucraina, le critiche rivoltegli da quelli che credeva suoi alleati indiscutibili e, soprattutto, l’imbarazzo e la presa di distanza di Xi Jinping dall’aggressione all’Ucraina. Il “Sud Globale” lo sta abbandonando. Non ha più fiducia in lui. È tenuto assieme dal contrasto all’egemonia degli Usa che, invece di essere in declino, si stanno rafforzando sia con le loro alleanze sia con l’apprezzamento del dollaro.

PUTIN MESSO ALL’ANGOLO E IN VICOLO CIECO

Le critiche nei confronti di Putin in Russia provengono sia dalla “sinistra” che dalla “destra”. Da “sinistra”, dalla borghesia filo-europea, da coloro che sono preoccupati per i costi umani ed economici del conflitto e delle sanzioni occidentali, e da quelli che temono il rischio, sempre più concreto, che la Russia finisca per diventare una colonia cinese. Quelle della “destra” si stanno facendo sempre più insistenti. Il suo orgoglio patriottico è stato umiliato. Chiede la mobilitazione generale e la trasformazione dell’“operazione militare speciale” in “guerra di popolo” o, addirittura, un’escalation nucleare.

Putin è indeciso. Tutte le opzioni – dalla mobilitazione generale, al ricorso al nucleare, al ritiro – sono per lui inaccettabili. Lasciamo da parte l’uso anche solo dimostrativo di qualche mini-ordigno nucleare “specializzato”, cioè di una bomba ai neutroni che non provochi ricadute radioattive e che, con uno scoppio aereo alto, riduca quasi a zero i danni provocati in superficie. La violazione del tabù nucleare finirebbe per rendere la Russia uno stato-paria in tutto il mondo.

Sia la mobilitazione generale sia il ritiro dall’Ucraina sarebbero un’ammissione di sconfitta. Non può permetterselo. Perderebbe il potere. Per ora “giocherella” con mezze misure, per guadagnare tempo, sperando che gli Stati Uniti non rafforzino troppo l’Ucraina per trasformare il rovescio di Kharkiv in una sconfitta nel Donbass, a Kherson e anche in Crimea.

I russi non hanno più riserve, eccetto il fantomatico Terzo Corpo d’Armata, carente di metà degli effettivi e ormai impiegato a “spizzico” per riuscire a tamponare le falle del fronte. L’arruolamento dei detenuti nel Gruppo Wagner, promettendo loro la scarcerazione dopo sei mesi di combattimento in Ucraina (e minacciando la fucilazione in caso di diserzione) è comunque una misura disperata. Non muterà la situazione.

PUTIN IN UN VICOLO CIECO: LO SCHIAFFO DALL’ASIA

Lo “schiaffo” peggiore Putin lo ha preso alla riunione dei capi di Stato e di governo della Shanghai Cooperation Organization (Sco) che si è tenuta a Samarcanda il 15 e 16 settembre. Certamente lo “zar” sperava di trovare sostegno da parte dei variegati componenti (nove membri, cinque partner del dialogo e sette osservatori) della più grande organizzazione intergovernativa del mondo.
Fondata nel 2001, comprende il 60% dell’Eurasia e il 40 per cento della popolazione e il 30 per cento del Pil mondiali. Trae origine dal Shanghai Five, organismo multilaterale fondato nel 1996 da Mosca, Pechino e tre repubbliche centrasiatiche per risolvere i contenziosi territoriali nella regione. L’Asia Centrale ne costituisce ancora il centro.

La Sco si ispira alle teorie geopolitiche “continentaliste” di Harold McKinder e di Zbignew Brzezinski. Esse contrappongono l’Eurasia alle potenze marittime euro-atlantiche. La Sco non è un’alleanza, ma un foro di dialogo e di concertazione politica ed economica e, parzialmente culturale. Comprende Paesi che sono divisi da profondi contenziosi come per esempio l’India e il Pakistan, l’India e la Cina, l’Arabia Saudita e l’Iran, ecc. Evita, quindi, di trattare tali problemi.

A Samarcanda si è parlato di trasporti, di energia e di fame nel mondo. L’unico settore in cui esiste una collaborazione più stretta è quello della lotta al terrorismo e alla droga. Per esso esiste nella Sco un apposito organismo, il Rats (Regional Anti-Terrorism System), con rappresentanti diversi da quelli del Segretariato.
La Sco è co-presieduta dalla Cina e dalla Russia, ma la sua direzione effettiva è passata progressivamente da Mosca a Pechino, che la utilizza anche per sostenere l’iniziativa della “Nuova Via della Seta” terrestre, e, soprattutto, per accrescere la sua influenza in Asia Centrale.

PUTIN IN UN VICOLO CIECO: LE BALLE SULLA NATO

Nella riunione di Samarcanda, Putin è stato, al di fuori di ogni consuetudine diplomatica, apertamente rimproverato per l’aggressione all’Ucraina. La Cina ha espresso dubbi e preoccupazioni. L’India gli ha rimproverato di non aver capito che i problemi attuali del mondo non si risolvono con le armi. Il suo fallimento strategico è imbarazzante per tutti.

Deve essere stata, per l’orgoglioso Putin, un’enorme umiliazione, inflittagli in pubblico. C’è da pensare che nei colloqui privati i toni siano stati ancora più pesanti. Invece di trovare la sperata solidarietà, ha raccolto critiche e accuse d’incompetenza.

A mettere unguento sulle ferite subite dall’orgoglio del proprietario del Cremlino servono a poco le “ravanate” pronunciate dal direttore del Fatto Quotidiano l’altra sera a “8 e mezzo”. Ha sostenuto che Bush Sr. avrebbe promesso a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata a Est. Sarebbe interessante sapere da quali fonti abbia tratto la notizia.

A quanto ne sappia, l’unico accordo firmato dai due presidenti è l’Agreement on the final settlement on Germany (giugno 1990). In esso non si parla di Nato ed Europa Orientale, ma di Germania Orientale, per la quale si definiscono tre principi:
1) la Nato non vi avrebbe inviato truppe prima del completamento del ritiro sovietico;
2) Usa, UK e Francia non avrebbero rafforzato le loro guarnigioni a Berlino;
3) in Germania Orientale non sarebbero state schierate armi nucleari.

Lo stesso Gorbaciov ha affermato che non vi fu alcuna promessa esplicita sull’escludere l’allargamento della Nato a Est. Tale fatto è confermato dalla trascrizione dei colloqui con Gorbaciov di Kohl e di Baker nel 1991, nonché dello scambio di messaggi fra Clinton e Eltsin del 1993 sulla Partership for Peace (PfP), il cui contenuto fu recepito nel 1997 dagli accordi Solana-Primakov (Nato-Russia Founding Act).

Nella medesima trasmissione, con la solita sicumera di chi s’informa su Topolino, il “nostro” ha affermato che la resistenza ucraina è dovuta al fatto che il Paese era stato super-armato dagli Usa e dall’UK prima dell’attacco russo. Anche se l’Ucraina incominciò a ricevere aiuti militari dagli Usa dopo il 1994, a parte taluni fucili di precisione, Kiev ricevette le prime armi “letali” nel 2017 (50 milioni di dollari di Javelin) che Trump pretese fossero stoccate nella parte ovest del Paese e non impiegate contro i secessionisti del Donbass.

GLI “AIUTINI” DALL’ITALIA

A proposito di questi ultimi, ha aggiunto l’affermazione implicita che Mosca sarebbe intervenuta in Ucraina, dove da otto anni infuriava una guerra civile, per evitare il massacro delle popolazioni russofone. Al riguardo, sarebbe serio fare riferimento al rapporto dell’Onu sulle ostilità in Ucraina dal 2014 al 2022. Secondo esso i morti sono stati circa 14.500. Di essi 3.500 erano civili; 4.200 soldati ucraini; 500 i soldati russi e il resto insorti. Le vittime sono concentrate nei primi tre anni. Negli ultimi tre sono invece ammontate a qualche decina all’anno. Insomma, è una “balla” che Putin sia intervenuto per scopi che si vorrebbero umanitari.
Concludendo, c’è qualcuno in Italia che vuole far vedere più chiaro, se non luminoso, il “settembre nero” di Putin. “Allegria!”


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