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Xi Jinping e Joe Biden

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Si tiene in questi giorni il G20 di Bali, un formato multilaterale che ha avuto il suo massimo splendore in occasione della crisi finanziaria del 2008; gli sforzi dei grandi del pianeta in quell’occasione (vertice di Londra e successivi) permisero di far fronte alla bolla finanziaria che incombeva a livello globale, questa settimana si cerca di affrontare la questione dell’aggressione della Russia in Ucraina.

Nonostante l’assoluta centralità dell’obiettivo, il vertice indonesiano che prevede il confronto di tutti i grandi della terrà sarà oscurato dal confronto bilaterale (di apertura) tra il Presidente Biden e il Presidente Xi Jinping tenutosi appunto ieri e probabilmente preceduto da (segreti) incontri diplomatici preparatori.

Per quale motivo? USA e Cina sono le due uniche superpotenze economiche e tecnologiche in grado di influenzare il corso geopolitico del mondo e della guerra ma, nel contempo, la loro relazione è ai minimi storici: probabilmente il livello di tensione raggiunto è superiore a quando si sono confrontate sul campo di battaglia nella penisola coreana e in occasione delle proteste di Piazza Tiennamen. La guerra commerciale innescata da Trump, con le conseguenti sanzioni, il sempre più duro confronto sui diritti umani, il varo del Chips Act da parte americana – che rappresenta un durissimo colpo inferto a Pechino sul fronte dei semiconduttori –, la questione relativa all’indipendenza di Taiwan nonché le accuse reciproche di non fare a sufficienza sul fronte dell’inquinamento sono tra i (numerosi) punti di confronto/scontro tra Stati Uniti e Cina.

La rilevanza di questo bilaterale è peraltro ulteriormente acuita dal quadro di contesto internazionale che è tutti i giorni sotto i nostri occhi e che qualifica una situazione economica e politica sempre più complessa; intendo fare riferimento ovviamente a: la guerra in Ucraina – in cui la pace si raggiungerà solo se Washington e Pechino si accorderanno –, le gigantesche sfide che si pongono di fronte ai Governi con riferimento all’energia e alle sue dinamiche di produzione e approvvigionamento, il riaffacciarsi tumultuoso dell’inflazione a cui non eravamo più abituati da decenni, per non dimenticare le tensioni sociali in Iran che potrebbero sfociare in una rivolta interna e in un ulteriore innalzamento della tensione nel Medio-Oriente.

Nei fatti possiamo dunque affermare che questo G20 indonesiano si dispiega in un contesto di disordine mondiale in cui il superamento della leadership unipolare degli USA, la capacità di tenuta dell’Europa e la crescente assertività delle autocrazie rappresentano i fattori più destabilizzanti. È dunque in questo quadro che possiamo comprendere la grandissima importanza del dialogo bilaterale tra Biden e Xi i cui esiti reali andranno ad impattare in misura significativa sui destini dei prossimi anni del nostro pianeta: deve in altre parole essere evitato che l’aspra competizione attuale si trasformi in un conflitto.

Il resoconto americano del vertice sembra aprire squarci positivi di ripresa del confronto, definito nel verbale della Casa Bianca come franco ma responsabile. Dal racconto di Washington, in particolare, Xi e Biden hanno manifestato la volontà di collaborare sul fronte del cambiamento climatico, della sicurezza sanitaria e nella lotta alla crisi alimentare; gli USA hanno ribadito che riconoscono una sola Cina ma che, nel contempo, non intendono tollerare aggressioni su Taiwan; entrambi hanno infine condiviso l’assurdità anche solo della minaccia nucleare fornendo dunque un messaggio piuttosto chiaro all’inquilino del Cremlino.

I due Presidenti hanno promesso di aggiornare le discussioni, un passo che verrà formalizzato con una prossima visita del Segretario di Stato Antony Blinken in Cina. Dietro il linguaggio diplomatico, intravedo dunque una nota positiva: il filo del dialogo è stato ripreso. Il bilaterale (durato oltre tre ore) si è tenuto del resto in un momento particolarmente propizio per la riattivazione di una linea rossa tra le due superpotenze: vi sono infatti per entrambe le superpotenze ragioni che spingono ad evitare un ulteriore inasprimento dei toni. Sul fronte americano, le elezioni di midterm si sono rivelate inaspettatamente favorevoli a Biden: il Senato sarà a guida democratica e la Camera è ancora, nel momento in cui scrivo, contendibile, i repubblicani escono da queste elezioni fortemente divisi tra gli irriducibili sostenitori di Trump e i suoi detrattori.

Questo significa che appare meno probabile l’utilizzo della politica estera a fini interni: è infatti in questa chiave che va interpretata la visita di Nancy Pelosi a Taipei, per mostrare all’elettorato che il Partito Democratico non aveva tentennamenti, anzi era ancora più assertivo del GOP nei confronti della Cina. Dal canto suo, l’ex Impero di Centro ha affrontato questo incontro a valle del XX Congresso del Partito Comunista – che ha sancito, se ve ne fosse ancora bisogno, il potere assoluto di Xi Jinping – e in un momento di grande delicatezza della situazione economica cinese: per la prima volta da quaranta anni a questa parte infatti la Cina sta fronteggiando una bolla immobiliare, un elevato livello di indebitamento complessivo (pubblico e privato) e una riduzione delle esportazioni che non promette nulla di buono sul fronte dell’andamento del PIL, vista la debole domanda interna.

In questo quadro, la Cina non ha dunque alcun interesse a compromettere le relazioni con il mondo occidentale che rappresenta oggi un imprescindibile sostegno alla sua sempre meno solida economia. Nella sostanza dobbiamo auspicare che con l’incontro di ieri entrambi gli interlocutori (con le loro diplomazie) facciano in qualche misura un passo indietro rispetto alle istanze che hanno portato avanti in questi ultimi mesi con sempre maggiore aggressività e vigore; gli USA devono accettare di non essere l’unica super potenza del Pianeta, la Cina deve abbandonare l’idea che l’Occidente e gli Stati Uniti siano società decadenti (in quanto democrazie). Entrambi si devono reciprocamente riconoscere come attori di un dialogo: non solo per il loro interesse quanto soprattutto per il ruolo che giocano a livello globale.


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