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La foto di gruppo dell'ultimo Consiglio Europeo

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La foto di famiglia del Consiglio europeo di Bruxelles dominato dalla presenza di Zelensky ci inchioda plasticamente ad una cruda evidenza: non basta essere il presidente del Consiglio per essere Mario Draghi.

Il volto scuro del presidente italiano Meloni, fra i sorrisi del presidente francese e del Cancelliere tedesco, seminascosta dietro gli ingombranti partner europei, segue la cena a tre in cui Francia e Germania hanno discusso con il Presidente Ucraino del più importante dossier oggi presente sul tavolo europeo, senza Von der layern, senza Metsola, senza cioè le istituzioni europee e del resto senza il governo italiano nella figura della sua Presidente.

Siamo lontanissimi dalla foto di Draghi che portava i leader tedesco e francese sul treno per Kiev e che pertanto agiva da pivot della politica estera europea.
Siamo tornati alla fase in cui giunti alla stretta finale l’asse Parigi- Berlino si sostituisce alla complessa, vischiosa macchina decisionale europea, ma siamo anche lontani dalla fase in cui l’Italia, o meglio il suo Presidente, Mario Draghi, in virtù di uno standing internazionale che tutti gli riconoscevano, sedeva da pari allo stesso tavolo con le due potenze europee ed anzi dava le carte.

Certamente ha ragione Macron quando dice che da anni Francia e Germania avevano aperto un dossier con la Russia, che riguardava i loro rapporti economici con Mosca, rinsaldati da quel gasdotto, il Nord Stream che attraverso il Mar Baltico trasportava gas dalla Russia in Europa attraverso la Germania e che l’8 novembre 2011 vedeva insieme a tagliare la torta dell’apertura dei rubinetti Angela Merkel, il presidente russo Dmitrij Medvedev, e il primo ministro francese Francois Fillon.

Quel gasdotto, di proprietà per il 51% di Gazprom, per il 30% da imprese tedesche e per il restante da Gasunie olandese e Gaz de France- Suez, è stato oggetto di un sabotaggio il 27 settembre 2022 e quindi è chiaro che francesi e tedeschi sono legati fra di loro dalle sorti della guerra in Ucraina, che li obbliga a difendere il paese invaso, contro il paese con cui hanno pesanti legami economici.

Qui è infatti il punto vero della vicenda. Da una parte sta una Europa, che unita potrebbe contare a livello mondiale almeno quanto la Cina, alleata degli Stati Uniti ma con un proprio peso ed una propria autonomia, ma in realtà inchiodata da modalità decisionali all’unanimità che bloccano ogni azione politica di “potenza”. Dall’altra parte sta una Europa che giunta alle strette finali vede in pista i singoli paesi leader, comunque marginali sulla scena mondiale, ma in grado di disporre di propri interessi e quindi di proprie strategie esclusive ed escludenti.

Questo consiglio europeo testimonia che è finito l’incantesimo di una Europa dominata dal prestigio di Mario Draghi, che guidava di fatto l’Unione verso una politica estera unitaria, ma nel contempo si muoveva per promuovere la sua autonomia energetica, e sosteneva l’economia del continente per una crescita necessaria per sostenerne le ambizioni comuni.

Questo consiglio del resto mette in grave difficoltà la strategia mediterranea del Governo Meloni, perché dimostra che l’ambizione del governo italiano di presentarsi come hub europeo per l’energia, ma anche come referente per una politica europea verso l’area mediterranea, devastata da conflitti largamente dovuti alle eredità, agli errori o anche all’insipienza delle stesse “potenze europee”, deve comunque fare i conti con Francia e con Germania, le quali però giunte all’ora di cena non ammettono a tavola altri convitati.


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