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San Pietro

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Un silenzio lungo 6 giorni, il Vaticano sulla guerra in Israele appare spiazzato da Hamas, in affanno sulle iniziative da prendere

Sei giorni di attesa, sei giorni di imbarazzo. Sei giorni di silenzio. E solo al giro di boa di una settimana dalle stragi di Hamas e dalla morsa militare e umanitaria di Israele su Gaza, il Vaticano decide finalmente di pronunciarsi. Lo fa attraverso il suo esponente di più alto grado, il cardinale e Segretario di Stato Pietro Parolin in una intervista a tutti i media vaticani, da L’Osservatore Romano al sito Vatican News. Il massimo esponente della diplomazia della Santa Sede definisce “disumano l’attacco a Israele”, afferma che il Vaticano “è pronto a una mediazione” e che il perno della pace resta la formula “due popoli, due Stati”.

La condanna senza appello degli eccidi serve a Parolin per rimodulare in chiave di equivicinanza quella equidistanza delle Chiese Orientali che aveva fatto insorgere l’ambasciatore israeliano in Vaticano definendo “linguisticamente immorale” il comunicato delle Chiese d’Oriente. Tuttavia sia la tempistica, sia il tono delle dichiarazioni del Segretario di Stato non fugano la percezione di un Vaticano spiazzato dai terroristi di Hamas, in affanno sulle iniziative da prendere e alla ricerca faticosa di un interlocutore palestinese.

LO SCENARIO GEOPOLITICO CHE SUPERA GLI ACCORDI DI OSLO

La Santa Sede si trova oggi di fronte a uno scenario geopolitico radicalmente cambiato rispetto agli equilibri che con gli accordi dii Oslo nel 1993 tra Yasser Arafat e Shimon Peres avevano tenuto a battesimo la chiave dei “due popoli, due Stati”. Arafat incarnava la parte araba moderata e, soprattutto, aveva la rappresentanza del mondo palestinese. Peres, a sua volta, era espressione di un’Israele progressista e meno incline all’opzione militare verso i Territori. I decenni intercorsi hanno trasformato l’universo palestinese in una galassia di mondi spesso contrapposti. La vittoria elettorale del 2006 di Hamas a Gaza e il progressivo declino di Arafat e del gruppo di Al Fatah, hanno ribaltato i rapporti di forza tra estremisti e moderati fino ai fatti di sangue di sabato 7 ottobre.

L’ala militare di Hamas ha preso il sopravvento a Gaza, mentre, in Cisgiordania, l’autorevolezza del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) . Abu Mazen, sta venendo progressivamente meno per il tasso di corruzione a Ramallah e soprattutto per l’incapacità di tenere a freno le frange più estremiste. In questo contesto risalta oggi l’assenza di un leader palestinese carismatico che possa proporsi sulla scena mediorientale come interlocutore credibile, affidabile e rappresentativo dei palestinesi.

Il silenzio del Vaticano, Israele, Hamas e le difficoltà di trovare un interlocutore

Di qui la difficoltà per la Santa Sede di intessere una tela diplomatica appena più salda. Prova ne sia che il Segretario di Stato vaticano dice sì che la Santa Sede “è pronta per una mediazione”, senza indicare tuttavia come e con chi cominciare a trattare. La riluttanza a volgersi verso Hamas è più che comprensibile dopo le stragi del 7 ottobre. Una scelta che però lascia la Santa Sede ulteriormente orfana di interlocutori soprattutto in considerazione della progressiva irrilevanza politica dell’Anp di Abu Mazen. E di qui anche l’attuale stallo del Vaticano sul Medio Oriente, da sempre scenario privilegiato della diplomazia pontificia proprio con l’occhio ai diritti dei palestinesi a un proprio Stato.

Eppure sono rimaste inspiegabilmente inascoltate voci autorevoli provenienti proprio dall’epicentro del conflitto israelo-palestinese. Il Patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierluigi Pizzaballa pure aveva sottolineato a fine settembre che “Hamas governa due milioni e mezzo di persone e che prescindere da Hamas significa mettere da parte due milioni e mezzo”. Va da sé che dopo gli eccidi del 7 ottobre Pizzaballa sia in prima linea nella condanna irrevocabile dell’ala armata di Hamas. Ma il problema politico sociale resta poiché coinvolge una fetta rilevante dei territori palestinesi, ossia la Striscia di Gaza. Dopo decenni di attivismo diplomatico, una presenza debole nell’infuocato quadrante geopolitico mediorientale è l’ultima cosa che il Vaticano può permettersi.


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