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Sergio Mattarella

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Una matassa difficile da sbrogliare: per quanto la metafora sia abusata è efficace nel descrivere il momento attuale. Sono partite le consultazioni al Quirinale, come da prassi prima con gli ex presidenti della Repubblica, poi con i gruppi parlamentari in ordine crescente di consistenza, sicché fino a oggi pomeriggio non sarà almeno un po’ più chiaro come potrà evolvere la crisi.

Al centro dei giochi è ormai il Pd, che ne è tanto consapevole da aver voluto dare un’immagine di grande compattezza con l’approvazione all’unanimità in direzione del mandato al suo segretario, ma che non è ancora in grado di scoprire davvero le sue carte. La ragione è semplice: in realtà deve giocare in buona parte di sponda, cioè reagire a quello che faranno i suoi interlocutori, in primis, ma non solo, il M5s.

GLI SCOGLI

Il primo punto da capire è se davvero si può considerare tramontata l’ipotesi di elezioni anticipate rinviate però a febbraio-marzo. Se in astratto una simile soluzione consentirebbe di mettere in sicurezza alcuni passaggi, a partire dalla legge di bilancio, in concreto si andrebbe alle urne in un clima in cui nessuna delle parti in campo potrebbe più sfruttare la sovraeccitazione di questo momento.

Non va bene a Salvini e neppure al centrodestra nel suo complesso, ma non va tanto bene neppure al Pd e ai Cinque Stelle. Servirebbe un governo di tregua, di necessità di buon profilo e questo potrebbe allontanare l’opinione pubblica dalla simpatia per i vari contendenti in campo. Per di più tutti temono il quadro che si potrebbe sviluppare nei sette-otto mesi che ci separerebbero da quella scadenza: con quel che bolle nella pentola interna e internazionale chissà che pietanza ci costringerebbe a mangiare.

Questa considerazione, ci sembra, drammatizza le possibilità di soluzioni intermedie, favorisce chi spinge per elezioni a breve (Salvini), mette in difficoltà i due partiti che vorrebbero trovare un accordo di respiro relativamente lungo, perché, non va dimenticato, tutti hanno gli occhi puntati sull’inizio 2022, quandosi dovrà eleggere il successore di Mattarella. Ecco allora le problematiche che devono affrontare sia il Pd che il M5S. Il problema non è davvero trovare un qualche tipo di accordo che consenta a tutti di salvare la faccia. Non sarà un contratto alla tedesca, così dettagliato da escludere il non detto di sottomettere tutto al “salvo intese” e che dunque richiederebbe tempi di negoziato e di stesura che si giudicano incompatibili con quanto ha in mente il Quirinale: basterà un’intesa su punti generali che tutti possono facilmente condividere, tipo quelli annunciati da Zingaretti, e i dettagli si vedranno in corso d’opera.

Lo scoglio vero sarà la formazione del governo, perché è nella gestione giorno per giorno dei molti problemi che sono davanti al Paese che il futuro esecutivo giallo-rosso deve dare prova di funzionare. Dunque si parte dalla necessità di accordarsi su un presidente del Consiglio che non sia l’amministratore di un condominio rissoso, come è stato nel precedente governo, e che possa imporre sempre la disciplina alla sua compagine, senza essere costretto lamentarsi delle “slealtà” solo quando farà il suo discorso di commiato.

IL PREMIER E LA SQUADRA

Già qui sorgono ostacoli non da poco. I M5s rivendicano di essere il partito di maggioranza relativa e quindi chiedono che il premier sia indicato da loro, ma sono in difficoltà: Conte è poco spendibile perché non darebbe il segnale di “discontinuità” che molti chiedono (Zingaretti apertamente); Di Maio è bruciato; Fico è un’incognita. Comunque ci sarebbe la necessità di qualcuno che potesse muoversi con autorevolezza nel consesso europeo senza che, visto il quadro attuale nella Ue, gli si possa dare il tempo per farsi le ossa (come è avvenuto per Conte).

Per il Pd è complicato sia pretendere un suo uomo alla testa del governo, in quanto suonerebbe come un ridimensionamento del M5S, sia accettarne uno designato Cinque Stelle. Trovare un candidato “esterno” a entrambi i partiti, ma a entrambi gradito, è un’impresa quasi impossibile. Poi c’è il problema della squadra. Di nuovo i Cinque Stelle hanno problemi di immagine, a cominciare dal tema di salvare in qualche modo un capo politico come Di Maio che non è stato davvero un ministro brillante, ma che ha un’ampia schiera di fedeli da lui piazzati nel governo Conte e a cui non vorrà rinunciare. Anche nel Pd non sarà semplice individuare un gruppo: con le contrapposizioni di correnti che ha al suo interno sarà comunque un’impresa.

Teniamo conto che c’è poi il problema di LeU e forse anche di altri piccoli gruppi (Più Europa? Autonomie?) che andranno coinvolti, altrimenti non si arriva alla maggioranza e a una maggioranza stabile. Anche se in questa fase alcuni di essi possono essere abbastanza arrendevoli perché temono le elezioni, i maggiori contraenti dell’accordo vorranno garanzie che poi non arrivino, come in un passato non lontano, i Turigliatto o i Mastella di turno a buttare tutto all’aria.

Come si vede, un nuovo governo, di svolta (sarebbe augurabile) o di tenuta istituzionale, non è già disponibile sugli scaffali della politica e va costruito. Ma i tempi per farlo sono molto stretti e gli avversari di questa soluzione che vogliono il presunto bagno purificatore delle elezioni non staranno a guardare.


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