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Enrico Letta e Giuseppe Conte

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Si parla più che altro della guerra in Ucraina e della posizione internazionale della Russia. È comprensibile, ma per ora il mondo non si ferma e non si ferma la politica italiana.

Certo la situazione bellica pone pesanti interrogativi sul nostro futuro, non mancano coloro che, anche in sedi di rilievo, sono preoccupatissimi per una recessione pesante che potrebbe essere alle porte, ma finora non siamo ancora arrivati su quella soglia, per cui nei circoli politici si discute sull’impatto che potranno avere gli esiti della tornata di amministrative ormai fissata al 12 giugno, con eventuale secondo turno il 26. Si parla poco o nulla dei referendum accorpati al primo turno. Quelli ammessi sono cinque: la riforma del Csm, l’abolizione della legge Severino, i limiti agli abusi della custodia cautelare, la separazione delle funzioni dei magistrati e la loro equa valutazione.

Argomenti importanti, ma non di quelli che scaldano i cuori, però se la partecipazione al voto amministrativo farà da traino non è escluso che si possa raggiungere il quorum, sebbene sia arduo: alle elezioni locali la partecipazione non è alta e dove non si vota per quelle può esserci una scarsa spinta a recarsi ai seggi, sicché la somma delle due tipologie potrebbe stare sotto la maggioranza necessaria. Ai partiti, compresa la Lega che li ha sponsorizzati, dei referendum interessa il giusto, per non dire pochino. Se non cambia l’aria, la questione di fondo si giocherà sulla valutazione delle tendenze dell’elettorato in vista di elezioni nazionali che poi saranno alle porte: primavera 2023 se non si farà cadere la legislatura prima, cioè dopo che con settembre tutti i parlamentari avranno maturato almeno il diritto a computarla per la pensione.

I maligni dicono che Conte sarebbe favorevole ad uno scioglimento autunnale, sebbene lui neghi. In effetti molto dipenderà dall’evoluzione del contesto: se la crisi indotta dalla guerra continuasse è meno probabile che qualcuno si prenda la responsabilità di aprire all’incognita delle urne. Perché il problema di fondo è sempre lì: la difficoltà di capire dove si orienti l’opinione pubblica frastornata dai venti di guerra, spaesata da anni di pandemia che non è detto siano davvero alle spalle, preoccupata per un quadro economico che sta mutando rispetto a quello a cui ci eravamo abituati. Lo scontro bipolare, centrodestra vs. centrosinistra, non convince più di tanto. Naturalmente alle amministrative si vorrebbe che quello rimanesse lo schema di riferimento, perché la legge sui sindaci lo impone, sebbene qualche sfida possa venire da liste civiche, ma non crediamo siano molti casi e non nei centri più importanti.

Però le due coalizioni non sono esattamente messe bene. Il centrodestra, dopo aver pagato a caro prezzo la sua incapacità di superare le ripicche di parte nelle ultime amministrative, sembra spinto a qualche rinsavimento, ma si vedrà, perché poi ci saranno le elezioni politiche e qui, come vedremo fra poco, la situazione è tutt’altro che pacificata. Il centrosinistra dovrebbe partire in condizioni migliori, visto anche in questo caso il successo raccolto l’anno scorso, ma non è così. L’alleanza PD-M5S è sbrindellata. A livello amministrativo i Cinque Stelle sono per lo più messi male, anche se proprio per questo sono più disponibili ad una alleanza che consenta loro di raggranellare più posti di quelli che avrebbero correndo da soli.

Ma dal momento che tutti hanno visto quanto Conte lavori per minare il cosiddetto “campo largo” di Letta non si sa se i loro elettori andranno poi a votare per l’alleanza o si disperderanno fra componenti di protesta e astensioni. Anche l’alleanza con l’estrema sinistra non attraversa un momento favorevole, perché un po’ la guerra, un po’ le preoccupazioni per la situazione economica hanno fiaccato gli entusiasmi per i vari utopismi che avevano saldato un pezzo di PD con quelle forze. Anche qui ci si possono aspettare smottamenti in varie direzioni. Un risultato delle amministrative che registrasse uno sfarinamento dei vari elettorati difficilmente potrebbe non avere ripercussioni sul prosieguo della legislatura.

Il continuo ricorso a piantare bandierine in parlamento mentre si discute di riforme non rinsalda certo il nostro pasticciato bipolarismo: chi segue i dibattiti su riforme della giustizia, a partire da quella del CSM, o del catasto lo vede bene (e citiamo solo i due casi più evidenti). In questo contesto si torna a parlare dell’opportunità di arrivare ad una riforma del sistema elettorale in vista delle politiche per cercare almeno di evitare i pasticci di coalizioni elettorali obbligate, destinate poi a dissolversi al momento stesso dell’apertura del nuovo parlamento in una versione ridimensionata, il che non dovrebbe essere sottovalutato. Si tratta purtroppo di un’impresa praticamente impossibile, innanzitutto per una questione di tempi.

Ci vorrebbe un forte consenso trasversale per riuscire ad approvare una riforma elettorale entro quest’anno, massimo gennaio prossimo, visto che non si può varare una nuova legge ad un centinaio di giorni dall’apertura dei seggi. Con i problemi che porrà il combinato disposto della conclusione delle riforme necessarie per avere la prossima tranche del Recovery europeo e della preparazione della legge di bilancio (roba tosta con la situazione in cui ci troviamo) costruire il clima per un accordo sulle regole del gioco (elettorale) ci pare improbo.

Sarebbe il momento di riprendere in mano con coraggio la prospettiva di una riforma in senso proporzionale, perché quando c’è confusione di schieramenti e di posizioni non si forza la somma di quelle confusioni, ma si testa il consenso che le varie posizioni raccolgono effettivamente fra gli elettori. Poi una sintesi si farà in parlamento a partire dalla distribuzione di quei consensi. Ma poiché si tratterebbe di affrontare l’incognita di uscire dal caldo nido delle mitologie sugli scontri fra angeli e demoni (che pure ci hanno funestato anche troppo), temiamo che non se ne farà nulla, cadendo nell’incognita vera di quel che produrrà il sistema elettorale vigente frutto delle alchimie di troppi cercatori della formula per trasformare il piombo in oro. (da Mente Politica)


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