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Giuseppe Conte

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Dall’alto della Fortezza Bastiani di Palazzo Chigi, Mario Draghi tiene sotto continua osservazione il Deserto dei Tartari da cui è annunciata l’offensiva autunnale del populismo. Negli ultimi mesi ci sono stati parecchi falsi allarmi. Le cronache hanno raccontato molte situazioni di precrisi, dando spazio ai malumori di quanti non hanno altro modo di far parlare di sé. Poi, tutto rientrava nei ranghi.

Come è avvenuto anche ieri in sede di conversione del decreto Aiuti, dove la maggioranza si è ricompattata, rimandando l’espressione del “disagio’’ (copyright Giuseppe Conte) ad un’altra occasione. Draghi – è una nostra opinione – ha un problema: non gli è ancora chiaro se l’assalto dei Tartari avverrà dal lato di destra del Deserto o da quello di sinistra. O da ambedue i lati.

Prima dell’ultimo “tiremm innanz’’ di Giuseppe Conte (ce ne era già stato uno clamoroso sull’assistenza militare all’Ucraina poche settimane prima) si intensificano gli ukase del Pd (lord protettore di Giuseppe Conte) nei confronti del M5S. Se i pentastellati tornano ad essere populisti “mai alleati con loro’’ ha tuonato Stefano Bonaccini, con lo stesso tono da (pen)ultimatum usato da molti esponenti dem da quando Conte ha cominciato a porsi l’assillo di Nanni Moretti: mi si nota di più se lotto all’interno dell’esecutivo o se governo con l’appoggio esterno? Ma di grazia in che cosa si concretizza il populismo di Conte?

Leggiamo le richieste che l’ex avvocato del popolo ha presentato a Draghi nel c.d. documento dei 9 punti.

1) reddito di cittadinanza: occorre porre fine alle continue polemiche perché i pentastellati di rito contiano non sono disponibili a considerare ulteriori restrizioni ancora più penalizzanti, preordinate a restringere la portata applicativa di questa riforma. Sono invece disponibili a valutare soluzioni utili a migliorare il sistema delle politiche attive”.

2) Salario minimo: “L’esistenza di una platea di 4,5 milioni di lavoratori che hanno buste paga da fame, che ledono la loro stessa dignità, rende assolutamente urgente l’introduzione del c.d. salario minimo. È una misura molto diffusa anche in altri Paesi europei”;

3) Decreto dignità:  Non è più possibile rinviare, ancora una volta, l’applicazione di queste norme destinate a contrastare il precariato. Si possono studiare incentivi per favorire le assunzioni a tempo indeterminato, ma rimane fondamentale che i contratti a tempo determinato rimangano collegati a specifiche causali, per contrastare il precariato selvaggio;

4) Aiuti –  Il bonus da 200 euro “non risolve i problemi” della gente, serve un intervento più robusto, anche con uno scostamento di bilancio, e con interventi contro le speculazioni che in vari settori di attività. Inoltre è urgente un taglio del cuneo fiscale.

5) Transizione ecologica – “Niente investimenti nelle infrastrutture a gas e non allargare le maglie delle concessioni di sfruttamento dei nostri giacimenti fossili.

6) Superbonus 110% – “Si introduca una soluzione per sbloccare le cessioni” di crediti per il superbonus.

7) Anticipo della applicazione del cashback fiscale

8) Per la riscossione si chiede una rateizzazione sino a 120 euro.

9) Si chiede di “introdurre una clausola, per ogni legge di delegazione, che preveda che ogniqualvolta il governo non si conformi al parere espresso dalle commissioni parlamentari, il governo stesso ritorni in Parlamento per motivare specificamente la sua scelta e solo dopo questo passaggio sarà possibile l’approvazione definitiva del decreto legislativo”.

Così abbiamo fatto anche un po’ di pubblicità alle doglianze di Conte e dei suoi. Ma c’è un preciso scopo. A parte qualche vecchia fiamma e qualche nuova cabala, molti di questi punti combaciano con il programma che la Cgil ha presentato ai partiti di centro sinistra (c’era anche Giuseppi) in un incontro (dal titolo un po’ questurino “Il Lavoro interroga’’) organizzato all’Acquario Romano il 1° luglio scorso.

Nessuno degli ospiti presenti ha ritenuto di andarsene. L’iniziativa della Cgil aveva uno scopo preciso: invitate la sinistra a svegliarsi perché il mondo del lavoro non solo in Italia si sente più rappresentato dalla destra sovranpopulista che dalla gauche di antico e di nuovo conio. E qui la palla passa al Pd che non può giocare in due campi diversi: uno “largo’’ con oves et boves et omnia pecora campi; uno riformista che faccia tesoro di una cultura di governo maturata in decenni di guida del Paese.

A mio avviso, proprio qui sta il punto: per quale motivo la sinistra deve fare la politica della destra? Se il mondo del lavoro –si sente rappresentato – purtroppo non solo in Italia, ma in altri Paesi è ancora peggio – dalla destra sovranpopulista, vuole forse significare che le politiche portate avanti da questi partiti e movimenti sono giuste, che fanno gli interessi del mondo del lavoro e che, pertanto, la sinistra risolverebbe i suoi problemi di rappresentanza se ritornasse ad impegnarsi in quelle politiche che la destra gli ha scippato?

Magari, avendo maggiori competenze, esperienza e serietà, la sinistra potrebbe persino compiere meno errori della destra nel portare avanti le medesime strategie politiche economiche, sociali e del lavoro. Ma che cosa è di sinistra? Macron o Mèlenchon; Tony Blair o Jeremy Corbin? La sinistra deve vincere e governare deve affrontare le trasformazioni oppure deve chiudersi all’interno di un passato che non passa? Osserviamo che cosa è successo in Francia. Come si spiega la singolare convergenza politica e programmatica tra l’estrema destra e l’estrema sinistra? C’è qualcuno convinto in buona fede che si annuncia l’alba di una nuova era e che un Paese possa essere governato sulla base del programma di Jean-Luc Mélenchon?

Tony Blair avrebbe definito “reazionaria’’ la nuova sinistra francese. Il populismo di destra e di sinistra non possono esistere senza una componente di sovranismo. Le loro politiche sono come i vampiri che finiscono in polvere alla luce del sole. L’antidoto per i due “ismi’’ “del nostro scontento’’ è costituito dalla difesa della società aperta, dalla libertà dei traffici e dei commerci, dei capitali e del lavoro. Solo le società chiuse possono nutrire l’illusione di vivere del proprio, di redistribuire la ricchezza che nessuno produce, non curandosi del debito e della inflazione.

A pensarci bene si spiega anche il fenomeno della corsa a destra delle classi lavoratrici (che non hanno mai ricevuto in dote le XII Tavole del progresso) in Italia come in altri Paesi sviluppati. Solo chi teorizza il sovranismo e l’isolamento può promettere che tutto rimanga immutato.


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