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Giuseppe Conte e Beppe Grillo

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IL SORPASSO a sinistra del M5s ai danni del Partito democratico è ormai cosa fatta. Secondo le rilevazioni di venerdì scorso di Termometro Politico la vera novità nei rapporti tra i due ex soci del defunto “campo largo” è il fatto che i pentastellati si autocollocano ormai nettamente alla sinistra del Pd, raccogliendo anche l’area degli elettori delusi e nostalgici che negli anni si sono allontanati dal partito. Perché non hanno condiviso, prima, la svolta riformista impressa dalla segreteria di Matteo Renzi e, oggi, il sostegno esplicito di Enrico Letta all’Agenda Draghi. Giuseppe Conte – che ha fiutato da tempo la tendenza antigovernativa e la natura antiliberale del movimento – ha cominciato a fare sua la definizione di “punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste” che Nicola Zingaretti gli aveva dedicato in un’intervista del dicembre 2019, quando era ancora segretario del Pd.

Non a caso, martedì scorso, l’ex premier è stato l’ospite d’onore di Fornaci Rosse, un piccolo ma seguito festival della sinistra barricadera che si svolge a Vicenza. Dove si sono alternati, tra gli altri, il ministro del lavoro Andrea Orlando, il leader di Unione Popolare Luigi De Magistris, l’europarlamentare ecologista e fieramente No Tav Eleonora Evi. A concludere in pompa magna l’evento, un’intervista a Giuseppe Conte, sempre più calato nei panni di tribuno degli antagonisti che ancora festeggiano la caduta del governo Draghi.

I sondaggi sui pentastellati sono favorevoli, a dispetto di quanti si aspettavano il crollo definitivo dopo che Conte, nel luglio scorso, aveva provocato la fine del governo di unità nazionale. Il M5s sembra in corsa per raggiungere e superare le percentuali della Lega (12-13%). Se ciò avvenisse, il Movimento resterebbe comunque la terza forza nel paese. L’exploit del 2018 è, ovviamente, irripetibile: due terzi dei consensi di allora sono evaporati. Tuttavia, la scelta antagonista e la corsa solitaria tornano a pagare in termini elettorali.

Si spiega così la rottura dell’alleanza con il Pd in Sicilia, nonostante lo svolgimento delle primarie. “il Pd ha tradito in un solo mese un lungo percorso fatto insieme. A Roma ha scelto l’agenda Draghi rinnegando le lotte sociali e per l’ambiente: anche per questo ha fatto orecchie da mercante rispetto all’appello del Movimento per un’agenda essenziale per risolvere le urgenze del Paese”, questa l’accusa di Conte dopo il voltafaccia in Sicilia. L’operazione è chiara: capovolgere a proprio vantaggio la frattura del “campo largo” con la quale Enrico Letta sperava di isolare il Movimento e recuperare il ruolo tradizionale di giudice inflessibile delle malefatte del Pd.

In questo isolamento, è più facile per i Cinquestelle recuperare l’identità antisistema e populista originaria. Nonostante il M5s sia stato il perno di tutti i governi che si sono succeduti nel corso di questa legislatura, adesso l’obiettivo è quello di rifarsi un’immagine di forza alternativa, a difesa del popolo oppresso dalle élite cattive che hanno sostenuto Mario Draghi.

Anche la serata dei leader di partito al Meeting di Rimini di fine agosto – alla quale l’avvocato di Volturara Appula non era stato invitato – è stata una buona occasione per rivendicare questa “diversità”. “Una sfilata di politici che fanno finta di litigare in pubblico e poi intorno ad un tavolo trovano sempre l’accordo. Poi ci siamo noi, diversi da loro”, aveva accusato su Facebook Giuseppe Conte. Che poi aggiungeva: “Siamo scomodi per un certo sistema che vuole escluderci e oscurarci. Come le persone che difendiamo: lavoratori, giovani e piccole imprese non garantiti e tutelati da nessuno”.

Una “diversità” mitologica che scalda i cuori di un vasto elettorato di sinistra che si è formato negli anni di Enrico Berlinguer e che proprio alla proclamazione della ‘diversità’ comunista si ispira da sempre. “Giuseppe Conte è un leader che reincarna Enrico Berlinguer. Comunica al popolo, ascolta i territori, progetta il futuro del nostro Paese”: così aveva scritto Patty L’Abbate, senatrice grillina pugliese, ora ricandidata per la Camera, nel luglio scorso, dopo la scissione di Luigi Di Maio. Un legame – quello con Berlinguer – che il movimento non ha mai disdegnato. Basti ricordare che, nel maggio del 2014, durante la campagna elettorale per le europee, Gianroberto Casaleggio, uno dei due fondatori del M5s, si rivolse così ai militanti e simpatizzanti grillini riuniti in piazza San Giovanni a Roma: “urlate ‘Berlinguer! Berlinguer!’ e che lo sentano fino a Palazzo Chigi”. La piazza lo seguì. Un chiaro riferimento alla questione morale, cara al leader comunista e tradita dal Pd.

“Le battaglie di Enrico Berlinguer per il riscatto sociale di chi è in difficoltà e per porre al centro dell’agenda politica la questione morale meritano di essere ricordate e rilanciate, nel segno del più profondo rispetto”, ha scritto il 25 maggio scorso su Facebook Giuseppe Conte, a riprova del profondo humus berlingueriano del movimento. La risposta migliore è arrivata poco dopo da Arturo Parisi, fondatore dell’Ulivo ed ex ministro della Difesa. “Con Berlinguer @GiuseppeConteIT ripropone la centralità della questione morale come se si trattasse della superiorità dei buoni e dei giusti. A riprova che la radice prima del populismo è il moralismo”, ha scritto su Twitter Parisi, sottolineando l’origine del giustizialismo grillino che oggi Conte vuole rilanciare, tra le altre cose, con la candidatura del magistrato Roberto Scarpinato e dell’ex procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho. “Dalla parte giusta” è, non a caso, il motto di questa campagna elettorale.

Ma le relazioni di Conte con il mondo postcomunista sono soprattutto recenti. Il primo consigliere ombra dell’ex premier è stato Goffredo Bettini, guru della sinistra romana, cantore della lotta alle diseguaglianze, nostalgico della rivoluzione d’ottobre, autore del manifesto di Campo democratico, la corrente che ha vinto il congresso del Pd del 2019 e che ha dovuto accettare suo malgrado la scelta di Letta di rompere con il leader pentastellato. Da qualche tempo, anche Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd, artefice della non-vittoria del 2013, già vittima sacrificale dello streaming grillino inflittogli da Vito Crimi e da Roberta Lombardi, poi scissionista antirenziano e fondatore di Articolo Uno, è diventato un confidente ascoltato dell’avvocato pugliese.

Ma l’ambizione di Giuseppe Conte va ben oltre i buoni e interessati consigli dei vecchi leader della sinistra. Cavalcando i temi originari del grillismo – l’ambientalismo talebano, il giustizialismo, la retorica socialpopulista, la politica dei sussidi, l’antiatlantismo, l’euroscetticismo, la diffidenza nei confronti del mercato – l’ex premier cerca di ricavarsi un ruolo alla Jean-Luc Mélenchon, il tribuno della sinistra populista e sovranista francese che ha sfidato Emmanuel Macron alle ultime elezioni d’oltralpe. I gruppi della sinistra storica – da Italia sovrana e popolare di Marco Rizzo all’Unione popolare di Luigi De Magistris a Sinistra Italiana e Verdi di Fratoianni e Bonelli – sono troppo piccoli e folcloristici per svolgere un simile ruolo. Il M5s, viceversa, liberato da una serie di zavorre e compattato intorno all’unico capo, cercherà di fare, da sinistra, il nemico pubblico numero uno di tutto ciò che suona liberale, riformista, euroatlantico. Come, per esempio, l’Agenda Draghi.


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