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Giorgia Meloni, da circa un anno presidente del Consiglio

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LO STATO di salute del centrodestra, l’effetto Giambruno sulla Meloni, le elezioni europee del prossimo anno, le difficoltà del centrosinistra, il ritorno del centro, di tutto questo ne abbiamo parlato con Antonio Noto, sondaggista e presidente di Noto Sondaggi.

Partiamo dai sondaggi sui primi dodici mesi del governo Meloni: cosa è successo in termini di flussi elettorali nell’ultimo anno, Antonio Noto?

«Non è cambiato tantissimo. Non c’è stata una rivoluzione in termini di consensi».

Qual è lo stato di salute del partito di Giorgia Meloni, cosa dicono i sondaggi?

«Fdi è cresciuta di qualche punto, oggi è intorno al 28.5. Il centrodestra, nel complesso, è stabile».

Quale effetto può avere nei sondaggi la fine della relazione della Meloni con Andrea Giambruno?

«A livello politico zero, gli elettori non giudicano l’azione politica sulla base delle azioni private. Se Berlusconi fosse stato giudicato sulla vita privata non sarebbe arrivato al 5 per cento. Allo stesso tempo, le posso dire, dai sondaggi Meloni viene considerata credibile dalla popolazione, magari lo è meno il suo governo».

E per i sondaggi come stanno Lega e Forza Italia?

«Il Carroccio è più o meno stabile, oscilla tra il 9 e il 10%. E lo stesso si può dire anche per Forza Italia. Non si registra una flessione derivante dalla mancanza di Berlusconi. Anche perché nel racconto il Cavaliere è sempre presente. Insomma, a dodici mesi dalla nascita del governo Meloni nei sondaggi il centrodestra più o meno tiene, aumenta di uno o due punti».

È la prima volta che accade una cosa del genere dopo un anno di governo?

«No, un anno è poco per tirare le somme. In passato accadeva questo: dopo un anno c’era sempre un partito del governo che faceva boom. Si ricorda l’exploit del Pd alle europee del 2014 e quello della Lega di Salvini alle europee del 2019. Risultati che hanno destabilizzato l’esecutivo».

Chi si candida a fare boom alle europee?

«Sulla carta potrebbe essere FdI perché se guardiamo al passato il partito forte ha fatto en plein. Difficile che la Lega possa ripetersi perché lo ha già fatto. Nel caso del partito della Meloni significherebbe nei sondaggi superare il 30%. In questo modo consoliderebbe la sua posizione di governo e forse potrebbe gestire meglio le fibrillazioni che ci sono all’interno dell’esecutivo. Stiamo attenti dunque a dire che le elezioni europee non influiscono sul governo. Berlusconi, nel suo secondo governo tra il 2001 e il 2006, proprio dopo le Europee fu costretto a fare un rimpasto. E se ci pensate dopo l’exploit leghista del 2019 ci fu un ribaltone con la nascita del governo giallorosso».

Ci sono le condizioni per far rinascere il partito unico del centrodestra, modello Pdl?

«Qui c’è da fare un distinguo. Se lo chiedi agli elettori dicono sì. Se guardi la classe politica mi sembra difficile che possa accadere».

Quanto possibilità ha di rifiorire il centro in Italia?

«Oggi il posizionamento politico conta ben poco. Dichiararsi di centro, sinistra o destra non incide. Fdi ad esempio, si dichiara di destra, ha fatto una campagna elettorale di destra e ha ottenuto il 26%. Se fosse stato attrattiva solo per la destra non avrebbe superato il 6%. Questo per dire quanto oggi l’appartenenza politica non conti nulla. La gente vuole vedere un progetto di politico, un’idea di sviluppo, la percezione di quanto possa cambiare la propria vita. Solo il 25 per cento vota in relazione al posizionamento politico».

Insomma non c’è vita al centro?

«Da un punto di vista elettorale il centro può esistere. La forza di un partito di centro non è quello di auto-dichiararsi di centro. Ci vuole una piattaforma politica».

Dai sondaggi sulla Meloni a quelli sul centrosinistra, qual è invece il loro stato di salute?

«Da un punto di vista dei consensi se confrontiamo i dati del settembre 2022 con quelli di oggi il Pd, un anno fa, era sul 19% e oggi rimane sul 19%. Dall’altra parte il M5s era al 16 e oggi al 16%. Dopo le primarie del Pd del febbraio scorso c’è stato un effetto Schlein che ha fatto balzare in avanti il Pd portandolo al 23 per centro. Parallelamente il M5S scese al 13. Tuttavia il Pd con il passare del tempo ha perso l’effetto Schlein e in parte questo voto è ritornato ai 5Stelle o si è rifugiato nell’astensionismo».

Cosa manca oggi al centrosinistra? Un federatore come lo fu Romano Prodi nel 1996 e nel 2006?

«Prima del federatore manca un progetto comune. Parlano delle coalizione come fossero una squadra di calcio. L’ultimo partito che ha fatto un’operazione di marketing seria è stato il M5s con una piattaforma ben definita. Non a caso si dichiaravano né di destra né di sinistra».


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