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Industria del beauty: il settore è diventato un pilastro per le economie di tutto il mondo “grazie” alle cure e alle ossessioni della gente


L’industria globale della bellezza continua a registrare una crescita significativa. Secondo il rapporto “Unlocking Growth in the Beauty Industry” di McKinsey & Company, il mercato è destinato a raggiungere circa 580 miliardi di dollari entro il 2027, con un tasso di crescita annuale del 6%.
Secondo IMARC Group, invece, il solo comparto cosmetico, valutato a 419,8 miliardi di dollari nel 2024, raggiungerà 629,7 miliardi di dollari entro il 2033.

Il settore beauty rappresenta un pilastro economico per molte economie, ma solleva anche interrogativi sulle implicazioni sociali legate agli standard di bellezza e alle pressioni estetiche.
Il comparto è dominato da quattro segmenti principali: skincare, make-up, haircare e fragranze. La skincare è il segmento principale dal valore di 195 miliardi di dollari, alimentato da una crescente attenzione verso la salute della pelle e la prevenzione dell’invecchiamento. Ingredienti come il retinolo, la niacinamide e i peptidi biomimetici sono diventati protagonisti indiscussi del mercato.

Il make-up continua a crescere con un’enfasi su formule sostenibili e packaging eco-friendly. L’e-commerce e la personalizzazione dei prodotti hanno ulteriormente stimolato questo segmento. Il reparto haircare ha invece visto un rinnovato interesse verso prodotti specifici per capelli afro, ricci o danneggiati, supportato da campagne focalizzate sulla diversità e l’inclusività.
La bellezza non è più solo una questione di prodotti, ma di routine quotidiane influenzate da tendenze globali e social media. Secondo il rapporto di McKinsey, l’82% dei consumatori statunitensi considera il benessere una priorità importante nella vita quotidiana. Tuttavia, l’uso eccessivo di prodotti o l’adozione di routine non adatte al proprio tipo di pelle o capelli può avere effetti negativi.

Nel 2024, una delle tendenze più discusse è stata la cosiddetta “10-steps Korean skincare routine”, che promuove l’uso di numerosi prodotti in sequenza. Sebbene molte persone abbiano adottato questa pratica, i dermatologi avvertono che un uso esagerato di cosmetici può compromettere la barriera cutanea, causando irritazioni o sensibilità.
La percezione della bellezza varia da cultura a cultura e le routine personali riflettono spesso non solo le tendenze globali, ma anche valori locali profondamente radicati.

“La bellezza è sinonimo di naturalezza ed eleganza discreta – racconta Sophie, 34 anni, da Parigi – non si tratta di apparire perfette, ma di valorizzare i propri punti di forza. Personalmente, uso pochi prodotti: una buona crema idratante, un rossetto rosso per le occasioni speciali e magari un po’ di mascara. L’autenticità è più importante della perfezione: conta come ti senti nella tua pelle, non seguire ogni nuovo trend. Credo che la nostra cultura rimanga ancora legata all’idea di less is more”.

Negli USA – spiega Emily, 28 anni, di Los Angeles – la bellezza è estremamente variegata, inclusiva e sperimentale: qui puoi essere chi vuoi e usare il make-up o la skincare per esprimerti. Personalmente, amo provare nuovi prodotti e seguire i trend su TikTok. Allo stesso tempo, anche se sembra contraddittorio, c’è molta pressione per apparire in un certo modo, soprattutto sui social media. Ho imparato a bilanciare le cose: mi piace prendermi cura di me stessa, ma sto cercando di accettare anche le mie imperfezioni”.

“In Corea – spiega Jisoo, 29 anni, di Seoul – la cura della pelle è una parte fondamentale della cultura quotidiana. Fin da piccoli impariamo quanto sia importante avere un aspetto curato e una pelle sana. Uso prodotti specifici in ogni fase della giornata: detergente, tonico, essenza, siero, crema, protezione solare. Non lo vivo come un peso, ma come un modo per volermi bene. C’è, però, anche tanta pressione: i media e i social ci mostrano sempre volti perfetti, luminosi, senza imperfezioni ed è facile sentirsi inadeguati. La skincare può essere un piacere, ma non dovrebbe diventare un’ossessione”.

I social media sono uno dei principali promotori del mercato della bellezza, ma rappresentano anche il suo lato più controverso. Le diverse piattaforme hanno democratizzato l’accesso al mondo beauty, permettendo a creator di condividere consigli, tutorial e recensioni. Tuttavia, non mancano le derive dannose.

Ad esempio, i beauty trend virali spesso promuovono pratiche non sicure: la American Academy of Dermatology ha lanciato l’allarme riguardo ai filler senza ago, evidenziando che tali dispositivi possono causare danni permanenti, tra cui lesioni oculari gravi. Anche tendenze apparentemente innocue, come lo skin cycling – una rotazione settimanale di prodotti esfolianti, idratanti e retinoidi – possono rivelarsi dannose se applicate senza competenze. L’uso improprio di retinoidi, per esempio, ha portato a un aumento di irritazioni cutanee, causate da consigli divulgati da influencer privi di formazione medica.

Nonostante i progressi in tema di inclusività, l’industria della bellezza continua a essere veicolo di standard estetici rigidi. Proprio i social media amplificano queste pressioni, specie tra i più giovani.
Uno studio pubblicato su Psychology Today nel 2024 indica che il 70% delle giovani donne adulte e il 60% dei giovani uomini adulti sono insoddisfatti del proprio corpo, un dato che coincide con la crescente normalizzazione della chirurgia estetica.
Un esempio emblematico è la diffusione del trend “clean girl aesthetic”, una bellezza all’apparenza naturale e minimal, che in realtà richiede skincare complessa, prodotti costosi e l’uso costante di filtri digitali.

Il risultato è un ideale difficile da raggiungere, che alimenta il senso di inadeguatezza.
In risposta a queste pressioni, alcuni brand si sono schierati apertamente contro gli ideali di bellezza irraggiungibili. L’azienda Dove è diventata un esempio virtuoso: già dal 2004, il marchio promuove iniziative per ridefinire i canoni estetici e nel 2024 ha rilanciato il “Self-Esteem Project: Digital Distortion”, focalizzato sull’educazione digitale, coinvolgendo scuole e famiglie per sensibilizzare le giovani generazioni sui pericoli della distorsione digitale e dell’uso eccessivo dei filtri.

Un altro esempio positivo è Deciem, casa madre del brand The Ordinary, noto per la sua trasparenza radicale: pochi ingredienti, prezzi accessibili e nessuna promessa miracolosa. La comunicazione è basata sull’educazione scientifica del consumatore, con l’obiettivo di promuovere autonomia e consapevolezza, anziché imitazione.
L’industria della bellezza abbraccia oggi diversità e innovazione, ma resta intrappolata in contraddizioni profonde. Da un lato, l’inclusività ha ampliato i confini del mercato; dall’altro, l’ossessione per l’apparenza continua a generare insicurezze e pratiche dannose. I beauty trend, se non accompagnati da una corretta informazione, rischiano di trasformarsi in pericoli concreti per la salute fisica e mentale.

La bellezza è più di un business: è un linguaggio universale, un’espressione personale e, purtroppo, una fonte di pressione sociale. La sfida per il futuro sarà quella di conciliare innovazione e responsabilità, costruendo un’industria più etica, autentica e sostenibile – capace di valorizzare ogni individuo, senza compromessi e senza filtri.

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