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La protesta in strada a New York

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Seicentomila manifestanti in cinquanta Stati d’America; La protesta: «Giù le mani da Welfare, immigrati e persone trans. Basta con i miliardari»


Le strade e le piazze degli Stati Uniti tornano a riempirsi di dimostranti, da quando sabato scorso sono iniziate in tutto il Paese le prime, vaste mobilitazioni contro l’amministrazione di Donald Trump.

Almeno 1.400 manifestazioni di protesta in tutti e 50 stati hanno investito le città americane, portando in strada circa 600.000 persone sotto lo slogan “Hands off!”, cioè letteralmente “Giù le mani!”. Le richieste dei manifestanti sono infatti tre: «la fine dello strapotere dei miliardari e della corruzione dilagante dell’amministrazione Trump; la fine dei tagli ai fondi federali per il Medicaid, la Social Security e gli altri programmi su cui fanno affidamento i lavoratori; e la fine degli attacchi agli immigrati, alle persone transessuali e alle altre comunità».

Dunque giù le mani dei miliardari (come Elon Musk) dal governo; giù le mani dai programmi di assistenza sociale; giù le mani dalle comunità più svantaggiate. I dimostranti si sono radunati di fronte ai parlamenti statali, agli edifici pubblici e – in alcuni casi – di fronte alle abitazioni dei ministri del governo Trump.
In un comunicato ufficiale, la Casa Bianca ha difeso le politiche portate avanti all’amministrazione presidenziale e ha negato di voler tagliare i programmi di assistenza pubblica come il Medicaid, ma resta comunque l’immagine del primo dissenso pubblico contro l’inquilino dello Studio Ovale.

A due mesi e mezzo dal suo secondo insediamento, sembrava infatti che il tycoon fosse riuscito a instaurare quasi senza obiezioni un nuovo corso fatto di repressione draconiana dell’immigrazione clandestina, purghe della pubblica amministrazione, attacchi alla libertà di stampa e mosse diplomatiche sempre più ardite. L’opposizione, incarnata dal Partito Democratico, era apparsa infatti fin qui afona e senza leadership, incerta su quali passi adottare per fermare Trump. Ancora troppo fresca la disfatta elettorale patita nel 2024 e troppo diviso al suo interno il partito, tra chi ritiene necessario uno spostamento a sinistra, chi invece cerca di corteggiare gli elettori moderati e chi invece pensa si debba solo aspettare prima che lo stesso Trump finisca per rovinarsi da solo.

Eppure, l’incalzare degli eventi ha finito per oltrepassare le sterili discussioni interne. Soprattutto la reazione della base ha finito per scavalcare una classe dirigente democratica giudicata finora troppo timida nella sua opposizione a Trump, come dimostra il bagno di critiche subito dal capogruppo dei Senatori democratici – il newyorchese Chuck Schumer – per aver votato a favore della legge di bilancio presentata dall’amministrazione Trump.
Dal palco di Washington D.C. alcuni suoi colleghi hanno provato a riaprire così la partita: il deputato Jamie Raskin del Maryland ha attaccato il tycoon definendolo un leader con «le politiche di Mussolini e la strategia economica di Herbert Hoover», in riferimento al presidente che nel 1929 non riuscì a gestire la Grande Depressione.

Il suo collega Maxwell Frost, della Florida, il più giovane membro della Camera, ha denunciato «l’ascesa insidiosa dell’autoritarismo» alimentata da «miliardari corrotti e mega-corporations» che mirano a detenere il controllo di tutti gli aspetti della vita dei loro cittadini, inclusa la libertà di parola.
Negli ultimi giorni era intervenuto, condividendo preoccupazioni analoghe, anche l’ex presidente Barack Obama. «È stato facile per la maggior parte delle nostre vite dire di essere progressisti o di essere a favore della giustizia sociale o della libertà di parola e non dover pagare un prezzo per questo» ha detto infatti il 44esimo presidente degli Stati Uniti parlando agli studenti dell’Hamilton College a Clinton, stato di New York, giovedì scorso, prima di invitare il pubblico a prepararsi a dover sopportare «possibili sacrifici» in difesa dei valori democratici minacciati dall’amministrazione in carica.

La mobilitazione di centinaia di migliaia di persone sembra segnalare che almeno una parte della società americana sia disposta a sfidare la repressione poliziesca trumpista per esprimere la propria opposizione alle politiche governative. «Quando rubi dalle persone, aspettati che le persone si ribellino. Nelle urne elettorali e nelle strade!» ha gridato Frost in conclusione del suo arrembante discorso.
Con la piega economica negativa presa dall’economia globale a seguito del lancio dei dazi statunitensi, per Donald Trump potrebbe essere l’inizio di un’estate calda, in tutti i sensi.

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