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La “banda del buco” del Grande Partito del Nord – bandiera verde sfumature blu e rosse – ha scavato indisturbata per anni, sotto traccia, nelle pieghe del bilancio pubblico italiano. Ha messo a punto la più efficiente macchina estrattiva di risorse sottratte, di anno in anno, ai cittadini del Sud, di ogni età e genere, per trasferirle pari pari a quelli del Nord.

Trasfusioni di sangue vivo prelevato dalle vene di donne e uomini meridionali ancora in culla, medici e malati, maestre di asilo e docenti universitari, autisti di pulmini scolastici e di trasporto pubblico, badanti, addetti ai centri di assistenza, anziani bisognosi di cure.

Qualcosa che ha l’abnorme valore medio di 61,5 miliardi di euro l’anno, nel triennio 2014 /2016, sì avete capito bene, 61,5 miliardi, e che è stato immesso con la semplicità di una iniezione nella circolazione sanguigna di bambini, medici, professori, autisti di treni e mezzi pubblici, nonne e nonni, delle grandi e piccole città del Nord.

Per cui se nasci a Reggio Calabria o nell’entroterra vesuviano di Napoli le mense scolastiche le vedi solo con il binocolo ma se hai la fortuna di venire al mondo in Brianza hai l’imbarazzo della scelta, qui paga la collettività, paga la Regione, pagano i Comuni, ma tutti lo fanno con i soldi dei bambini del Sud o per lo meno con quelli che la Costituzione della nazione italiana assegna loro per diritto di cittadinanza. Questo clamoroso scippo di Stato del Nord al Sud è illustrato regione per regione, voce di spesa per voce di spesa, in un documento di 18 pagine tra testi, grafici e tabelle (bozza riservata “Federalismo differenziato”) messo a punto dalla commissione della Svimez, presieduta da Adriano Giannola, sulla base di dati della Ragioneria generale dello Stato (RGS) e dei Conti Pubblici Territoriali (CPT) territoriali, di cui L’ALTRAVOCE dell’Italia è in grado di anticipare analiticamente i contenuti (CLICCA SULLE IMMAGINI PER VISUALIZZARE LE TABELLE).

Prima, però, è bene capire che tutto è avvenuto nel silenzio generale, ogni anno con qualche miliardino in più dal 2001 a oggi, sotto una coltre di fumo alimentata tra una lesione e l’altra del titolo V della Costituzione, federalismo differenziato in salsa Calderoli, spinta propulsivo-affaristica del Carroccio e di troppe anime belle compiacenti a sinistra e a destra da Milano a Palermo, referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto. Il giochetto delle tre carte dei costi standard, della spesa storica e dei fabbisogni fa sì che il ricco è sempre più ricco e il povero è sempre più povero. Mette a nudo un’abilità e una destrezza che si vuole appartengano al “mito” di Forcella, nel cuore di Napoli, ma che invece hanno evidentemente attecchito al di sotto delle Alpi e consentono ai ricchi di continuare ad arricchirsi con i soldi dei poveri attraverso il trucchetto della crescita della spesa storica. Accusando per di più le classi dirigenti della comunità dei poveri, in questo caso purtroppo tante volte a ragione, di inefficienza sistemica, clientelismo, trasformismo, e connivenze affaristico-malavitose-morbose su quelle briciole di soldi pubblici che la grande torta di Stato del Nord lascia cadere a mo’ di elemosina.

Il risultato di questo capolavoro è sotto gli occhi di tutti. Un Paese diviso e distante dove convivono una quasi Germania e una quasi Grecia e dove, ormai in modo naturale e accettato da tutti con rassegnazione, si comprimono i punti di forza e si esaltano le debolezze dell’Italia. Per cui, di fatto, il Nord si avvia a diventare più o meno consapevolmente una piccola colonia franco-tedesca e il Sud ad essere assorbito da una deriva di instabilità e sofferenza comune a aree sempre più vaste del Mediterraneo. Ognuno ovviamente per i fatti suoi. Non può essere questo il destino dell’Italia, nonostante le nostre reiterate colpe, come italiani non ci meritiamo una tale fine.

Bisogna ringraziare, e lo dico davvero con il massimo rispetto, l’ingenua sfrontatezza dell’ex assessore all’urbanistica e vicesindaco del comune vicentino di Trissino, Erika Stefani, oggi ministro per gli affari regionali e le autonomie, che ha avuto l’ardire di stilare un comunicato stampa in cui ha voluto chiarire qual è la spesa statale regionalizzata per istruzione scolastica, istruzione universitaria, diritti sociali, e ha esibito i dati correttissimi della Ragioneria generale dello Stato da cui si evince che Veneto e Lombardia ricevono, ad esempio, meno di Campania e Calabria per l’istruzione scolastica: 477 e 459 euro per abitante rispettivamente contro 636 e 685 (vedi tabella in pagina).

Si è dimenticata di dire che la tabella della Ragioneria riguarda esclusivamente la spesa delle amministrazioni centrali che è pari al 22,5% della spesa regionalizzata del settore pubblico allargato (meno di un quarto del totale) e addirittura è pari a poco più del 5% di quella relativa ai diritti sociali e all’istruzione scolastica primaria. Non può non sapere un ministro in carica che la spesa statale regionalizzata è alimentata da altri enti per il 77,5% del totale e, cioè, dalla spesa pubblica di regioni, province, comuni, comunità montane, previdenza-assistenza, società a controllo pubblico come Anas, Ferrovie, Poste e molto molto ancora, e che il dato da prendere in esame è dunque quello dei conti pubblici territoriali (CPT): i flussi finanziari riguardano pagamenti definitivi e riscossioni effettivamente realizzate (soldi veri insomma) e rappresentano l’unica ricostruzione puntuale, regione per regione, della spesa del Settore Pubblico Allargato (SPA) al lordo degli interessi e, cioè, di quanto arriva nelle regioni anche sotto forma di rendimento che lo Stato paga ai sottoscrittori dei suoi titoli.

Se avesse la compiacenza di consultare questi dati Svimez – gli ultimi disponibili e gli unici che fanno fede – e di metterli a confronto con i dati ISTAT sulla demografia delle due aree del Paese, il ministro scoprirebbe che il Mezzogiorno ha una popolazione pari al 34,3% del totale nazionale e riceve il 28,3% della spesa pubblica allargata mentre il Centro-Nord ha una popolazione pari al 65,7% e incassa per un importo pari al 71,7% del totale della spesa. In pratica, si dà al Sud il 6% in meno di quello che gli spetta e al Nord il 6% in più di quello che la Costituzione ritiene che debba avere nonostante i dati del Mezzogiorno inglobino i fondi europei (quindi non del bilancio pubblico italiano) sui quali peraltro le classi dirigenti meridionali e nazionali danno un’ulteriore dimostrazione della loro disarmante incapacità. Cosa ancora più grave: tutto ciò avviene indipendentemente non solo e non tanto dai vincoli di solidarietà e di perequazione quanto piuttosto dalle ragioni oggettive di garantire ai territori più deboli un tasso di crescita adeguato delle sue infrastrutture materiali e immateriali, di istruzione, ricerca e sanità, senza il quale il Paese tutto non recupera competitività, abdica a un disegno di sviluppo duraturo e abbandona alla fuga il suo capitale più importante che è quello del talento giovanile.

Il 6% tolto al Sud (61,5 miliardi) coincide con il 6% aggiunto al Nord della spesa totale del Settore Pubblico Allargato. I 61,5 miliardi sottratti arbitrariamente al povero a favore del ricco misurano algebricamente lo scippo di Stato alle regioni meridionali. Per capirci, i numeri reali ci dicono che un cittadino del centro nord riceve in media come spesa statale allargata 18.455 euro contro i 13.939 del Mezzogiorno, il cittadino friulano riceve 20.128 euro e quello lombardo 18.843 contro i 12.669 del cittadino campano e i 13.491 di quello pugliese. Questi dati elaborati dalla Svimez con il contributo di economisti, demografi, statistici, uomini della Ragioneria generale dello Stato, esperti di contabilità, costituiscono la più clamorosa operazione verità in materia di trasferimenti pubblici al Nord e al Sud del Paese, impongono una riflessione immediata su chi è più o meno assistito e su dove, come e perché si continua a bruciare sviluppo e fabbricare debito. Zaia e Fontana, governatori di Veneto e Lombardia, sono persone che stimo ma dovrebbero riconoscere che dietro le buone pratiche sanitarie ci sono risorse pubbliche sottratte a altri, e soprattutto si dovranno presto rendere conto di avere commesso entrambi un gravissimo errore di valutazione politica.

Insistere per trattenere anche formalmente come “cassa” in casa ciò che, di fatto, già trattengono da anni a spese del Sud, battere i pugni per ottenere un’autonomia istituzionale che manderebbe in frantumi l’unità del Paese e l’idea stessa di nazione, sono state due azioni avventate che hanno prodotto per loro l’effetto collaterale imprevisto di “aprire gli occhi ai cecati”, come recita un detto popolare meridionale. Ora tutti sanno, e sempre più sapranno, andando a leggere dentro i numeri e nelle pieghe dei conti pubblici territoriali, come stanno davvero le cose. Nessuna operazione verità assolverà mai una classe dirigente politica meridionale, sia chiaro, spesso corrotta e demagogica, di volta in volta movimentista/trasformista e tanto meno potrà assolvere un corposo corpo sociale burocratico-clientelare che è tutt’uno con la politica e penetra in profondità il tessuto civile fino a corroderlo. Questi due fenomeni costituiscono insieme il male profondo del Sud e contro di essi le forze vitali giovani e meno giovani si devono battere allo spasimo, sono tante e di qualità, possono e debbono vincere.

Detto tutto questo, però, da questa operazione verità il dibattito politico non potrà più prescindere e di questa situazione reale così abilmente occultata il nostro giornale se ne farà portavoce instancabile perché se ne prenda atto e se ne traggano le conseguenze girando in fretta pagina. Su questo punto non molleremo mai e documenteremo, giorno dopo giorno, lo scandalo civile e morale prima ancora che economico di una società Ferrovie dello Stato che trasferisce al sud lo scarto dei treni del Nord, ferma l’alta velocità a Salerno e condanna intere regioni all’isolamento geografico, lo scandalo di una sanità commissariata da sempre dove i soldi pubblici salgono dal sud al Nord con i malati ma si chiudono entrambi gli occhi per non vedere che di questo passo, di taglio in taglio, tra una spesa storica e l’altra, non solo gli ospedali si dequalificano o servono comunque a poco, ma spariranno perfino le autoambulanze. Guarderemo con occhio nitido lo scandalo dei cantieri che non si aprono da nessuna parte ma se si dovessero tornare ad aprire al sud resterebbero comunque chiusi, perché non se ne prevedono e quei pochissimi previsti non hanno copertura finanziaria.

Vergogna, anzi doppia vergogna. Perché adesso tutti sanno che dietro questo scandalo non c’è solo la conosciutissima incapacità degli amministratori meridionali (e anche qui però basta con i luoghi comuni, questo giornale sarà sempre selettivo e puntuale nei suoi giudizi) ma uno scippo di Stato di cui chi fino a oggi ha frodato, facendo anche la lezioncina, deve cominciare rendere conto nelle aule parlamentari. Questo esige la democrazia se vuole continuare a respirare a pieni polmoni. Consiglierei alle classi dirigenti politiche meridionali di essere generose e di non chiedere la restituzione del maltolto, ma il Grande Partito del Nord e i suoi sempre più numerosi accoliti al Sud (se hanno ancora sangue meridionale nelle vene) facciano autocritica. Comprendano che se vogliono continuare a coprire le loro crisi di ricchezza con le trasfusioni di sangue del povero Sud hanno ancora poco tempo perché presto scopriranno che il Sud è completamente esangue. Un giorno avranno la sorpresa di scoprire che è morto e che si è portato via, nell’aldilà, la cassa di riserva dei ricchi. Se non lo faranno, dimostreranno che si è avverata la profezia del grande meridionalista Antonio De Viti De Marco: il Nord senza il Sud diventerà una piccola colonia al di sotto delle Alpi. I francesi, soprattutto, ne approfitteranno, i loro generali in avanscoperta sui fronti strategici di UniCredit e Generali, Mustier e Donnet, non aspettano altro, e hanno tanti camerieri intorno che sono pronti ad assecondarli. Se non rinsaviranno le classi dirigenti del Nord e non premeranno loro per mettere il Mezzogiorno al centro degli investimenti produttivi e dello sviluppo, avranno la soddisfazione impagabile di dare ragione a Metternich quando, alla vigilia della prima guerra d’indipendenza, parlò dell’Italia come di una piccola espressione geografica.

No, non può essere questo il destino del Paese. Piuttosto si torni a dare al Sud i nuovi Saraceno, i nuovi Morandi, i nuovi Olivetti, francamente se penso a quanto sia pasticcione il capitalismo di relazione all’italiana e che quelle stesse grandi famiglie si sono dovute spesso affidare a manager pubblici di scuola iri, un brivido mi corre lungo la schiena. Si faccia crescere anche nel capitalismo privato italiano la cultura della dimensione e della managerialità, qui ci sono segnali buoni da cogliere ovunque, da un capo all’altro del Paese, ma forse al Sud e al Nord oggi più che mai servirebbe un nuovo Gabriele Pescatore. L’uomo che raddoppiò il prestito Marshall e portò i primi soldi esteri in Italia, fece arrivare l’acqua nelle case del sud, unì le due Italie con le dighe, le strade, gli acquedotti, realizzò a opera d’arte il grande porto di Gioia Tauro e finanziò la piccola, la media e quel poco di grande industria possibile nel sud. A quest’uomo che del miracolo economico italiano è un protagonista assoluto, non risparmiarono amarezze e processi nel silenzio ingrato e nella dimenticanza di tutti, come avviene troppo spesso per chi vale in un Paese dominato dall’invidia sociale e dal machiavellismo, ma ne uscì a testa altissima come era ovvio.

Oggi l’Italia, e il Sud, avrebbero bisogno di una squadra di giovani con il genio, la tempra, l’ardore etico e l’intelligenza del Pescatore irpino magistrato a 21 anni, ma qui sono ottimista, perché l’unica cosa che non ci manca è proprio il talento dei nostri giovani. Dobbiamo smettere di pagare noi gli studi, le trasferte, la casa fuori sede, solo per mettere questi nostri cervelli al servizio di chi non ha speso niente per loro e è pronto, per di più, a farci lo sgambetto al momento giusto proprio con i risparmi delle famiglie italiane “sequestrati” Oltralpe (la cessione alla francese Amundi della ex lombardo-veneta Pioneer, voluta dall’ad di UniCredit, Mustier, ne è un esempio lampante) e il talento dei nostri giovani “costretti” a emigrare. Teniamoceli in casa, per piacere, facciamo meno reddito di cittadinanza e più borse di studio per i nostri ricercatori, non lesiniamo risorse alle piccole grandi università di Cosenza e di Salerno, uniamo il Sud al Nord e insieme scommettiamo sulla nuova grande Italia in Europa. A ben pensarci, alternative a questo sentiero obbligato per custodire la nostra sovranità non ce ne sono. Inseguire le balle può regalare momenti di euforia ma prenota risvegli terribili. Ricordiamocelo sempre.


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