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Giuseppe Conte al vertice UE

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A Bruxelles si tratta, a Roma si intriga? Potrebbe essere questa la sintesi della giornata di ieri? Forse è tutto meno lineare, perché le due vicende sono legate più di quel che non appaia. Come si concluderà il vertice europeo avrà un riflesso obbligato sulle fortune del governo Conte.

Non si tratta di soffermarsi banalmente sul mitico “ritorna vincitor!”, nella speranza che nell’un caso il premier diventi intoccabile e nell’altro sia spinto ad uscire di scena. E’ infatti improbabile che il vertice si chiuda in un modo interpretabile solo come bianco o come nero. In Europa non succede quasi mai, è pensabile che si cercherà una soluzione che consenta a tutti di presentarsi come mezzi vincitori. Conte in questo è bravissimo, ma naturalmente per i suoi avversari non sarà complicato mettere in luce il bicchiere mezzo vuoto.

Questo però appartiene al gioco di specchi della spettacolarizzazione politica (che ormai è arduo definire comunicazione).

A nostro parere i passaggi chiave saranno due e non sappiamo se verranno decisi già in questa sessione del Consiglio o se ne serviranno altre. Il primo, al momento molto sottovalutato, è la tempistica di erogazione dei quattrini (prestiti e sussidi a fondo perduto). Il secondo sono i meccanismi di controllo sulle erogazioni.
Se i soldi, come prevede più d’uno, arriveranno abbastanza avanti nel 2021, diventerà dirimente la questione del MES. Il governo deve poter spendere e investire in fretta se vuole difendere la sua immagine e soprattutto se vuole fronteggiare lo sconcerto, chiamiamolo così, che percorrerà il paese in autunno.

E’ evidente che se i quattrini del Recovery Fund tardano ad arrivare, ci si chiederà sempre più perché dobbiamo correr dietro alle sbandate pseudo ideologiche di M5S, Lega e FdI, rinunciando ad avere risorse pronta cassa da impiegare in opere necessarie per il rilancio della sanità. Tutti sanno che ce ne sarebbe un gran bisogno, sia al Nord che, ancor di più, al Sud.

Ma tornare a breve sulla questione MES non si potrà, perché è difficile farlo in agosto, sicché si andrà a settembre, quando le prese di posizione su questo tema si intrecceranno con la campagna elettorale per regionali, amministrative e referendum. Un contesto difficile, per non dire esplosivo.

Comunque ci sarà il problema di varare il piano da presentare alla UE per avere i quattrini del Recovery. Chi pensa che questa sia una passeggiata non ha presente cosa significa. Nello stendere quel piano ci si deve rapportare con due interlocutori/giudici: la sede europea che dovrà valutarlo (il Consiglio quasi certamente, oppure la Commissione) e le forze politiche, per non dire le lobby italiane. La prima sede è esigente, inutile sperare che non sarà così: non solo si devono accontentare i cosiddetti “frugali”, ma anche più o meno tutti i partner, perché sanno bene che non si possono buttare al vento una marea di soldi quando siamo in presenza di una recessione preoccupante a livello mondiale. Qui il primo interlocutore entrerà in conflitto con il secondo: in un momento di crisi e di volatilità di consensi non è detto che le grandi riforme che interessano ai nostri severi censori siano le stesse a cui guardano i nostri partiti e le nostre lobby (che contano, eccome!).

Prendiamo banalmente due temi: le grandi infrastrutture e le riforme di burocrazia e giustizia. Le prime sono opere che portano qualche consenso rapido in termini di incremento dell’occupazione, ma non abbastanza per portare voti sul breve periodo. Perché una rete ferroviaria rinnovata al Sud faccia toccare con mano il salto di qualità e l’incremento di opportunità per la nostra economia ci vuole il tempo di realizzarle, cioè anni. Esattamente il tempo che classi politiche di incerta tenuta non hanno a disposizione. Peggio ancora per le riforme di burocrazia e giustizia. Sono cose molto complicate e, ammesso che si riescano davvero a smantellare o almeno ad aggirare le varie linee Maginot che sono state costruite a loro difesa, ci vorrà anche qui molto tempo perché i cittadini possano apprezzare il cambiamento.

Questo significa che si avranno molte pressioni da parte di tutte le forze in campo perché i nostri piani siano fatti in modo da sfruttare almeno buona parte dei soldi che arrivano per imprese con un ritorno di immagine e di consenso più immediati. Vedremo così che ricostruire qualche ponte pericolante, risistemare qualche linea ferroviaria in sofferenza, rappattumare edifici pubblici, scolastici o di altro tipo, verrà fatto passare come modernizzazione del sistema. Oppure un po’ di computer in più alle sedi giudiziarie o qualche autocertificazione meno cervellotica verranno presentati come interventi di grande innovazione per giustizia e burocrazia.

Ovviamente se si cadrà in questa trappola, non c’è da aspettarsi solidarietà dai nostri partner europei, ma se si evita quella trappola è prevedibile una crescita della nostra conflittualità politica che destabilizzerà ulteriormente il nostro quadro istituzionale. Temiamo sia una specie di comma 22 al cui superamento sarebbe bene applicarsi da subito.

In fondo gli intrighi dei palazzi politici di Roma e dintorni si muovono su questo sfondo. Come si sta vedendo, nulla li marginalizza al momento, perché a questo fine non bastano le alzate di spalle (in pubblico) di una classe politica che intanto ci si applica con impegno.


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