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L'ex Ilva

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Tutti gli italiani dovrebbero spendere qualche giorno delle loro vacanze a Taranto, per liberarsi dello stereotipo di una città dove l’aria è velenosa e il mare è sporco. Capirebbero così che l’acciaieria innanzitutto è vicina a un quartiere, quello di Tamburi, ma la città, più a Sud, è una delle più belle del Mediterraneo, certo, alle prese con i consueti problemi, ma ricca di grandi bellezze.

CHANCE IMPERDIBILE

I dati Ispra sulla qualità dell’aria confermano che i limiti vengono ampiamente rispettati e che è migliore di quella di molte città della Pianura padana. Il suo “Marta” (museo archeologico di Taranto), quando aperto, ha una delle più preziose raccolte di reperti del mondo dell’antica Magna Grecia.

La ragione per cui i greci vi fondarono una colonia è la stessa per cui oggi c’è la più grande acciaieria a ciclo integrato d’Europa, cioè il suo mare, con un porto naturale disegnato perfettamente per ospitare le navi militari. Anche oggi è sede della Marina militare italiana e la decisione di costruire una grande acciaieria fu motivata dalla presenza della domanda di navi da parte della Marina. Il suo mare è tra i più puliti grazie anche al fatto che le sue acque nel golfo sono molto profonde.

L’occasione non può essere persa, con i fondi che arriveranno via Pnrr, probabilmente intorno a 1 miliardo di euro, per provare a fare ripartire l’acciaieria di Taranto, un impianto che, in condizioni normali dovrebbe produrre fino a 12 milioni tonnellate all’anno di metallo di altissima qualità, perché fatto con il minerale vergine, quello ammucchiato vicino a Tamburi, e perché ha impianti fra i più moderni al mondo. Da più di un anno, invece, marcia a un ritmo da 3 milioni di tonnellate all’anno e ciò non permette di recuperare i costi fissi. Viene da chiedersi a cosa sia servito costruire la più grande struttura al mondo, quella che serve a coprire il parco minerale e ad evitare che il vento colori di rosso le case di Tamburi e venga respirato dai suoi abitanti.

LA DOMANDA DI ACCIAIO

Più grave è il fatto che si sta perdendo una congiuntura particolarmente favorevole, come non accadeva da anni, per effetto del forte incremento della domanda di acciaio con la fine della pandemia. I prezzi continuano a salire e in un anno sono più che raddoppiati, da 300 a 950 euro per tonnellata. Pur tenendo conto dell’aumento dei costi delle materie prime e del carbone, anche questi triplicati, i margini viaggiano su livelli raramente visti in passato. Cautelativamente possono essere stimati in 200 euro per tonnellata che, moltiplicati per una mancata produzione a Taranto di 9 milioni di tonnellate, porta a mancati profitti lordi per 1,8 miliardi di euro che potevano servire per finanziare nuovi investimenti e per pagare tante tasse, quelle che servono disperatamente alle casse del nostro super-indebitato Stato.

Nel feroce scontro istituzionale, politico, sociale, istituzionale, ambientale, sindacale, economico che da anni va in scena a Taranto, occorre sempre ricordare queste cifre e indicarle come un costo che il sistema Paese si sta accollando. I soldi del Pnrr serviranno per avviare un progetto di produzione di acciaio cosiddetto verde, perché dovrebbe impiegare idrogeno. Diciamolo subito: l’acciaio verde al momento è impossibile, sia a Taranto, sia nel resto d’Europa, come le sperimentazioni che stanno portando avanti in Svezia o in Germania dimostrano. L’idrogeno non è gratis, lo è solo nei sogni verdi secondo cui si potrebbe produrre da elettrolisi di acqua, quella del mare, utilizzando l’abbondante elettricità prodotta da impianti fotovoltaici che dovrebbero coprire buona parte della provincia di Taranto.

FANTAECONOMIA

È una soluzione che poi necessità di altrettanta abbondante elettricità per lavorare il preridotto, dopo la prima lavorazione con l’idrogeno, ma l’Italia e Taranto, soffrono da sempre di costi più alti in Europa dell’elettricità. Anche qui il sogno è che l’abbondanza della produzione da rinnovabili crei un tale eccesso di elettricità da far sì che sia quasi gratis per produrre acciaio verde da vendere sul mercato internazionale, dove gli sprovveduti cinesi e americani continueranno a ottenerlo con i metodi tradizionali con il brutto e sporco carbone.

Si tratta di fanta-economia industriale, una nuova disciplina che a Taranto, purtroppo, è esplosa rigogliosa negli ultimi anni, a discapito dell’economia tradizionale, quella che, per ora, porta i soldi nelle tasche degli operai e le tasse nelle casse dello Stato.


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