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Il costo della carta è schizzato a 1.132 euro a tonnellata e se continua così l’industria dell’editoria è a forte rischio. Stampare libri e giornali sarà sempre più oneroso. La tempesta perfetta dei costi alle stelle delle materie prime sta facendo sentire i suoi catastrofici effetti anche su un settore già provato da una lunga crisi. Che oggi richiede interventi di supporto sostanziosi. E il solo credito d’imposta, previsto dalla legge di Bilancio 2022, è assolutamente insufficiente.

Il credito d’imposta in favore delle imprese editrici di quotidiani e di periodici è stato infatti allungato al 2022 e 2023 ed è riconosciuto sul 30% delle spese. È sicuramente un aiutino, ma ora alla luce della nuova emergenza costi, serve una terapia d’urto pesante per evitare il collasso di un settore strategico sul piano economico, ma anche sociale e per la tenuta stessa della democrazia che ha nell’informazione uno dei suoi capisaldi.

Da fine 2020 i prezzi delle materie prime, secondo Assocarta, hanno segnato rincari fino al 70% per la cellulosa e un aumento della domanda della carta da riciclare. Il macero in particolare, fondamentale per il giornale, è letteralmente volato dal 2020 con un aumento superiore al mille per cento.

E l’Associazione italiana editori da parte sua parla di un balzo di oltre il 20% per la carta non patinata che schizza al 50% per le carte di maggiore pregio.

A completare il quadro l’appesantimento della bolletta energetica che sta mettendo in grave difficoltà molte imprese.

Su tutto pesa l’impennata dei listini della materia prima legno da cui si produce la cellulosa che segue il trend di crescita delle quotazioni di tutte le materie prime, dal petrolio al grano, dal rame al legno appunto. Nel nostro Paese poi sull’onda dei numerosi bonus che hanno rilanciato il settore delle costruzioni c’è fame di prodotti per l’edilizia sempre più rari da trovare sui mercati e soprattutto sempre più cari. Una delle motivazioni che ha spinto alle proroghe delle agevolazioni è che molti cantieri sono costretti a fermarsi perché a corto di materiali. E il legno è tra i principali “attori” tra 110% e bonus mobili. La concorrenza è spietata e anche la carta per i giornali e libri dunque ne fa le spese. E quando il prodotto manca le speculazioni trovano la strada spianata.

L’Italia poi vive un vero paradosso, come spiega Piero Torchio, direttore di Federforeste: è ricca di alberi, ma importa dall’estero l’80% di legno destinato all’industria del mobile, della carta e del riscaldamento. Nonostante il 38% della superficie nazionale, e cioè 11,4 milioni di ettari, sia coperta da alberi. Secondo i dati dei primi dieci mesi del 2021, diffusi da Coldiretti, le importazioni di legno sono cresciute di oltre il 34 per cento.

Negli anni infatti la politica di mercato ha favorito gli acquisti dall’estero a costi più contenuti e così le segherie a valle sono state economicamente strozzate e dunque costrette a chiudere i battenti. 

Ma a remare contro anche una politica che ha di fatto vietato il taglio degli alberi che così nessuno ha potuto più lavorare. E oggi per il fabbisogno l’Italia è costretta a rivolgersi ai fornitori di Austria, Romania, Bulgaria, Germania e Francia in Europa, ma soprattutto dalla Cina. E il Gigante asiatico, che dopo il lockdown per la pandemia sta rimettendo in piena attività il suo sistema industriale, sta facendo incetta di materie prime. E come per il grano e il mais è scattato anche l’accaparramento del legno con il risultato di destabilizzare ulteriormente i mercati mondiali.

La Cina, per esempio, ha “conquistato” una parte consistente dei milioni di alberi che nell’area montana delle Dolomiti e delle Prealpi Venete, sono stati colpiti a morte dalla famosa tempesta Vaia del 2018. Molti tronchi sono finiti anche nelle segherie di Paesi europei, mentre tantissimi – spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti – sono ancora a terra a due anni di distanza dal fenomeno. Da qui, aggiunge, l’importanza del piano per un rafforzamento della presenza di boschi soprattutto nelle aree periurbane e in quelle interne per contrastare i fenomeni di dissesto, ma anche per una gestione produttiva delle foreste. Perché è bene che si proteggano i boschi monumentali, ma gli altri vanno coltivati e resi produttivi nell’ambito di filiere. Per garantire così un’autosufficienza anche su questo fronte ed evitare che in situazioni come quella attuale il Paese possa trovarsi scoperto. È necessario invece creare le condizioni per fronteggiare la volatilità dei prezzi e soprattutto le conseguenti speculazioni e salvare così settori importanti come la carta che da un lato è pagata a peso d’oro per i giornali dall’altro scarseggia nel settore alimentare per gli imballaggi.  Bisogna dunque partire dall’origine, dal bosco e valorizzare quella pattuglia di aziende agricole forestali che ancora oggi si dedicano alla lavorazione dei tronchi.

Coldiretti e Federforeste hanno elaborato un progetto nell’ambito del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) per piantare nei prossimi 5 anni milioni di alberi che sono alla base della costruzione di una filiera garantita anche dalla possibilità di identificare il made in Italy. L’obiettivo è, se non di annullare, almeno di tagliare energicamente l’import di legno grezzo.

In attesa però di mettere in campo un sistema produttivo adeguato che richiederà molti anni per andare a regime, bisogna subito intervenire per raffreddare i prezzi e ristorare le imprese stritolate da bollette energetiche sempre più pesanti e da costi dei fattori produttivi ormai alle stelle. Bisogna dunque fare presto per continuare ad assicurare una serena lettura di libri e giornali.


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