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Non vi è il Mezzogiorno nella manovra del governo del presidente Meloni. Non vi è né un’idea di sviluppo per questa parte del Paese, ma nemmeno provvedimenti parziali per non farlo arretrare. Ma l’ok della Commissione Ue, arrivato ieri, a “decontribuzione Sud” apre qualche prospettiva.

Dopo la storia del concetto di occupabili, previsto per sottrarre il reddito di cittadinanza ad alcune categorie, che dimostra come non si abbia alcuna idea di cosa sia il mercato del lavoro meridionale, questo provvedimento è un passo importante.

Pensare che la dizione “occupabili“ sia sinonimo di gente che volendo può trovare un lavoro dimostra come il governo non abbia idea del fatto che su 20 milioni di popolazione, nel Sud, abbiano un lavoro tra regolari e sommersi solo 5.967. Cioè 30 persone ogni 100 quando il rapporto funzionale del Nord-Est, quindi di una realtà a sviluppo compiuto, è 43 ogni 100.

LA RATIO DI DECONTRIBUZIONE SUD

Il termine occupabile per il Mezzogiorno vuol dire gente che è in condizione di lavorare ma che, anche cercandola, un’occupazione non la trova perché la domanda di lavoro delle imprese letteralmente non esiste.

Tranne che per occupabili non si intenda chi, in condizione di lavorare, possa essere “deportato“, trovando modo di avere un lavoro a 2.000 km di distanza. Che poi è quello che si vuole ottenere eliminando il sussidio, e cioè di far continuare il processo migratorio del quale il Nord ha estremo bisogno, peraltro trovandosi in tal modo una forza lavoro preparata.

Per questo è importante che la “decontribuzione Sud” sia stata prorogata a fine 2023. Le motivazioni di tale provvedimento attengono al fatto che localizzare un’azienda al Sud comporta costi che le aziende del Nord non hanno.

Si parla dei 6 miliardi e mezzo annuali del costo dell’insularità per la Sicilia, che dovrebbero essere superati con la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, e degli oneri aggiuntivi previsti per coloro che intendono fare impresa in una realtà mal collegata, come si evince dallo stato delle ferrovie e delle autostrade, di tutta la parte pugliese, calabra, siciliana, sarda o di quella interna, delle condizioni precarie della fornitura di energia che comportano costi di interruzioni non indifferenti, della mancanza spesso di acqua potabile sia per le aziende manifatturiere che per le imprese agricole, che spesso viene pagata dall’imprenditore, dello stato della telefonia che spesso non aiuta e che comporta costi aggiuntivi che con questa normativa si tenta di compensare.

Il provvedimento di cui si parla dovrebbe consentire, oltre che la sopravvivenza del sistema produttivo esistente, estremamente ridotto se si pensa che vi sono soltanto 1.227 addetti nel settore manifatturiero, pari al 21 % degli occupati, anche l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, che dovrebbe aiutare a creare quei 3 milioni di posti di lavoro aggiuntivi, unico vero modo per combattere l’assistenzialismo richiesto, secondo il principio ormai acquisito da alcuni meridionali che “se non mi metti in condizione di svilupparmi perlomeno mi mantieni”.

DECONTRIBUZIONE SUD, OBIETTIVO: RECUPERARE IL GAP

Oltreché diminuire, producendo una quota di Pil proporzionata al numero di abitanti simile a quella prodotta da ogni residente del Nord, l’esigenza di essere mantenuti per potere avere quei servizi uniformi, (Livelli uniformi di prestazione), che evidentemente, se non si produce un certo reddito, dovranno provenire dalla fiscalità generale e quindi da redditi prodotti altrove. Ovviamente la “decontribuzione Sud” dovrebbe consentire quei recuperi che mettono in condizione queste parti del Paese di avere le stesse condizioni di partenza che si hanno nelle parti più sviluppate.

In maniera tale che non vi sia più bisogno di interventi particolari. Discorso valido anche per il reddito di cittadinanza che sappiamo dove è molto utilizzato e che tanto scandalo provoca nella parte più ricca, ma la cui eliminazione parziale porta a costringere alla emigrazione.

Questo non vuol dire essere contro la mobilità, che invece è ricchezza per le realtà che la vivono, che si nutrono della vivacità che porta esperienze diverse che arricchiscono tutti. Piuttosto, invece, vuol dire essere contrari all’emigrazione che impoverisce le realtà che la subiscono.

L’appello al ministro Fitto e ai parlamentari meridionali per reintrodurre “decontribuzione Sud” nel Mezzogiorno che ha permesso, negli anni, a tantissime imprese ubicate in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna di sopravvivere va in questa direzione e ha avuto esito positivo: «Accogliamo con soddisfazione la decisione della Commissione europea di autorizzare il prolungamento di Decontribuzione Sud fino al 31 dicembre 2023. Ringrazio i ministri Fitto e Calderone per il lavoro che hanno portato avanti. È un impegno che ci eravamo assunti in campagna elettorale e che abbiamo mantenuto. Il governo continuerà a lavorare, di concerto con le istituzioni europee, per rendere questa misura strutturale». Questa la soddisfazione espressa dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Il grido d’allarme lanciato nei giorni scorsi dai giovani imprenditori di Confindustria delle Regioni del Mezzogiorno è stato accolto.

IL PROGETTO FINALE

Ma il tema di fondo sul quale bisogna riflettere è se lo schema di riferimento dello sviluppo del nostro Paese sia quello che si sta seguendo ormai da decenni, che prevede che ogni anno 100.000 persone si spostino dal Sud verso il Nord per continuare ad alimentare uno sviluppo virtuoso di una parte, desertificando una zona, o se l’interesse sia quello di utilizzare i 20 milioni di abitanti ed il 40% del territorio in modo da svilupparlo adeguatamente e far crescere il nostro Pil, invece che di numeri comparabili ai prefissi telefonici, di quantità che consentano che l’Italia possa competere con i Paesi fondanti dell’Unione europea.

Basta rendersi conto di cosa è più conveniente per il Paese, cosa è meno costoso sia in termini economici che in termini di “felicità“ dei suoi abitanti. Dalle azioni dei vari governi, sembra che le azioni di politica economica non siano conseguenze di una visione strategica complessiva, quanto della capacità da parte di alcuni di tirare più la coperta verso i propri interessi.

Tale è stato l’approccio per l’alta velocità ferroviaria come per le autostrade, che sono state pensate e realizzate solo per una parte, lasciando l’altra, come nessun’altra parte di Europa, totalmente non servita.


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