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Quando mancano pochi giorni alla convocazione alle urne per il voto amministrativo del 12 giugno, il reddito di cittadinanza – battaglia di bandiera del Movimento cinque stelle che gli avevano affido la missione di sconfiggere la povertà – è finito nuovamente al centro dell’agone politico, tirato dentro da chi ne chiede l’abolizione – in primis Giorgia Meloni e Matteo Renzi, leader rispettivamente di Fratelli d’Italia e Italia viva, e chi come il capo politico dei grillini ne chiede il rafforzamento da far viaggiare insieme al salario minimo.

E questo mentre all’avvio della stagione estiva le associazioni del settore turistico-alberghiero lanciano l’Sos per la carenza di lavoratori: solo nella città di Napoli all’appello mancano circa seimila stagionali, tra chi si accontenta dell’assegno “staccato” mensilmente dall’Inps e chi, accettando un impiego, teme di perdere il diritto all’Rdc.

Tante le truffe – con, tra le altre cose, falsi nullatenenti e criminali anche con condanne per mafia e terrorismo tra i beneficiari – molti quindi i soldi malamente investiti dallo Stato e poche le persone avviate al lavoro. Per questo il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha fortemente voluto la revisione della misura, in modo da renderlo più efficiente soprattutto come strumento delle politiche attive per il lavoro.

Tuttavia a oltre cinque mesi dal varo della legge di Bilancio per il 2022 che lo ha ridisegnato, la riforma non è ancora operativa dal momento che alcuni dei decreti attuativi – in capo al ministero del Lavoro, guidato da Andrea Orlando – cui viene delegata la definizione di alcuni “meccanismi” operativi risultano ancora “in bianco”. Mentre già si parla della necessità di un nuovo “tagliando”.

Intanto tra le principali novità, la legge di Bilancio ha previsto maggiori controlli sul casellario giudiziario, incrociando le banche dati della giustizia con quelle dell’Inps, il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro private al fianco dei centri per l’impiego pubblici – altrimenti impossibilitati a coprire da soli l’intera platea dei beneficiari – per garantire almeno una volta al mese la convocazione dei beneficiari del reddito di cittadinanza per valutare la situazione occupazionale e la disponibilità al lavoro, in modo da agevolare l’incrocio tra la domanda e l’offerta.

Un momento tutt’altro che formale, dal momento che sempre la riforma introdotta con la finanziaria prevede il decalage dell’assegno al primo rifiuto di una proposta di lavoro e la revoca del beneficio al secondo “no, grazie”.

Senza la possibilità di questo “confronto” i controlli e procedura di decalage restano quindi in stand by. Al momento il coinvolgimento delle agenzie private è circoscritto alla sola Lombardia. Per il resto, quindi, si procede alla vecchia maniera, senza un efficace monitoraggio sullo strumento.

Solo il primo giugno – la data stabilita era il primo aprile – è entrato in vigore il protocollo tra l’Inps e il ministero della Giustizia per lo scambio delle informazioni utili per le verifiche necessarie per dare l’ok al beneficio o disporne la revoca in caso nel sistema del casellario centrale risultino condanne con sentenza passata in giudicato da meno di dieci anni per i reati di cui all’art. 7, comma 3, del DL n.4 del 28/1/2019.

Rientra i 73 decreti (su i 152 previsti) della legge di Bilancio ancora non adottati – dati Ufficio per il programma di governo (Upb) – quello per la definizione del Piano di verifica dei requisiti patrimoniali che figurano nella dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) necessario per stabilire se si ha o meno diritto all’assegno.
Nella stesura del Piano sono coinvolti oltre al ministero del Lavoro, anche l’Agenzia per le Entrate, la Guardia di Finanza e il ministero degli Esteri. La presentazione era prevista per il 31 marzo, mentre il via libera per decreto ad opera del ministero del Lavoro sarebbe dovuto scattare il 30 maggio.
Targhetta “non adottato” anche sul provvedimento che definisce le modalità di presentazione e compilazione della della richiesta per il reddito di cittadinanza, attraverso uno o più decreti, in modo da poter “attivare” gli archivi, anche quelli dei Comuni, per verificare i requisiti di residenza e soggiorno: non sono pochi i casi di percettori che vivono stabilmente all’estero.

Al momento quindi non sembrano esserci gli “strumenti” per un puntuale monitoraggio sulla misura, ad esempio per il decalage in caso di rifiuto o per la verifica degli impegni assunti dai beneficiari nell’ambito del Patto per l’inclusione sociale.

Intanto, tra reddito e pensione di cittadinanza, sono stati 1,19 milioni di nuclei beneficiari (in particolare quasi 1,09 milioni nel primo caso, 103mila nel secondo), con il coinvolgimento di 2,65 milioni di persone (rispettivamente 2,53 milioni e quasi 118mila), per un importo medio di 561 euro.

Nei primi due anni e mezzo di “attività” il reddito di cittadinanza è costato 19,6 miliardi, e l’importo medio erogato è cresciuto dell’11%, mentre la dote sfiora gli 8,8 miliardi, con un miliardo di finanziamenti aggiuntivi.


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