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L'ex ministro per la Giustizia Alfonso Bonafede

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GLI EFFETTI collaterali dello scontro fra Grillo e Conte sono molti e ogni giorno la lista si allunga. Paradossalmente o meno, ci finisce dentro anche la vicenda terribile dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere. Salvini, che alla sua parte peggiore non riesce a mettere freno, è corso davanti a quel carcere per portare il suo sostegno alla polizia carceraria ricercando il sostegno della maggioranza “legge e ordine”.

Non ha considerato l’effetto della circolazione dei video che riprendono i pestaggi dove non c’è traccia né di legge, né di ordine, ma solo di sadismo e violenza. Naturalmente per cercare di salvare capra e cavoli il leader della Lega si è affrettato a dire che chi sbaglia deve pagare, ma vanno salvaguardati tutti quelli che fanno bene il loro dovere. Lapalissiano e quindi inutile da dire.

Tuttavia Salvini ha una buona freccia al suo arco e la lascia vedere, per ora senza farla ancora veramente scoccare. Chi c’era al ministero della Giustizia quando si sono verificati quei fatti e chi li ha se non coperti, trascurati del tutto? Un certo ministro Bonafede, non proprio un idolo dei leghisti, soprattutto oggi che si sono scoperti promotori di referendum che vogliono cercare di rimediare a un po’ di guasti del giustizialismo a Cinque Stelle. E, guarda caso, quel ministro era legato a doppio filo al premier Conte, il quale si è ben guardato tanto allora quanto oggi di dire una qualsiasi cosa sulla vergogna di quegli accadimenti (e, oltre tutto, si scopre che simili comportamenti non solo non sono novità in assoluto – lo si sapeva – ma in quei mesi si erano verificati in altre carceri).

Bonafede del resto tace anche lui, ma tutti sanno che la questione della riforma della giustizia penale, necessaria per avere le carte in regola per i fondi del Recovery, è ancora intrappolata dalle pretese grilline di salvare la faccia al loro ex ministro della giustizia (e alle lobby che lo sostenevano).

Ma si potrà continuare così dopo la rivelazione della sua inconsistenza su un caso grave come quello del carcere di Capua a Vetere? La rinascita di Conte alla testa di un consistente nucleo di transfughi grillini potrebbe non essere quell’operazione facile e gioiosa immaginata non solo dai pretoriani dell’ex premier, ma anche da altri osservatori. Per di più la messa in piazza di un po’ di scheletri che stanno negli armadi del passato governo potrebbe risultare piuttosto imbarazzante anche per il PD, che non ne è direttamente implicato, ma che è sottoposto all’accusa di avere “lasciato correre” molto nell’ottica di non perdere l’aggancio con quella forza. Su questo sfondo si innestano le problematiche di una gestione della normalità politica che non può conoscere soste in questa fase così delicata.

Prendete la questione del rinnovo del Consiglio di Amministrazione della RAI. Si dovrebbe fare in queste settimane, c’è da sistemare un pastrocchio organizzato ai tempi del Conte 1, ma si vorrebbe restare nell’ambito dell’equilibrio introdotto dal modello Draghi: il governo fa la sua parte con presidente e amministratore delegato, i partiti indicano i loro uomini per il CdA. Già, ma il partito di maggioranza relativa che fa? Chi lo guida e chi decide sul loro candidato?

Del resto tutti si sono accorti di quello che modestamente avevamo visto anche noi: impossibile non rivedere le assegnazioni di ruoli ministeriali e parlamentari se M5S si scinderà in due componenti. Anche se è possibile che entrambe, o almeno una di esse, vogliano continuare a stare nel governo Draghi, come non guardare con diffidenza a forze che sono ormai concentrate non a far marciare un disegno governativo, ma a lavorare per la conquista di un buon bottino di voti alle prossime elezioni (e per salvare ciascuna i propri big)? Specialisti nel calciare la palla in tribuna, ora i Cinque Stelle provano a ritardare il confronto con la nuova realtà che hanno davanti inabissandosi nel dibattito sul testo del famoso nuovo statuto: testo che finora nessuno ha visto, che adesso si chiede ai duellanti di andare ad illustrare ai parlamentari (vedremo se magari, grazie al mitico streaming, consentiranno di seguire anche ai militanti).

Poi tutto andrà votato sulla piattaforma, secondo ovviamente le regole della democrazia plebiscitaria, cioè mettendo gli iscritti di fronte alla scelta secca di dire sì o no (e vedremo se almeno consentiranno che si possa pronunciarsi sui singoli articoli o se sarà consentito solo un voto globale). Crimi si è arreso all’idea, ma perché questo consente ancora una decina di giorni di melina. Cosa potrà venir fuori da questo “intervallo” non è affatto chiaro. Temiamo che sia interesse di molte se non proprio di tutte le parti politiche prolungare questa collocazione dei Cinque Stelle in una palude da cui non sono in grado di uscire.

Si potrebbe dire che intanto il governo andrà avanti per la sua strada, ma non è proprio così semplice: un po’ perché ci sono ministri e sottosegretari coinvolti nelle diatribe in corso, per cui le riverseranno sul lavoro dell’esecutivo; un po’ perché una serie di decisioni dovranno passare per il parlamento e lì con M5S frammentato ci saranno problemi perché diventerà ancora più problematico decidere se il governo è a trazione del centrodestra o del centrosinistra.

In realtà è a trazione Draghi, che di queste etichette non si cura, ma esse esistono e sono ancora in grado di provocare fastidi e forse anche guai.


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