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Conte e Grillo con Di Maio

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Grillo fa Conte e Conte fa Grillo: follie di questa politica che ha perso il senso della realtà. Il Garante parla con Draghi e si convince che non si possono mettere a rischio i soldi del Recovery europeo giusto per non far fare una figuraccia a Bonafede. Conte pensa solo al suo partito, che sarebbe ottimo se potesse inglobarsi i grillini, e si pronuncia per i loro mantra giustizialisti.

Dietro c’è un mondo che ribolle, quello che pensava di poter usare i Cinque Stelle come truppe di sfondamento per i propri interessi di parte. Lo si vede dalle prese di posizione di alcuni settori della magistratura, ma anche dallo spaesamento di quelli che avevano scommesso su Conte come asse portante della rivincita del centro sinistra. Inutile dire che colpisce la mancanza di analisi di una riforma complessa come quella messa in campo dalla ministro Cartabia e la totale sottovalutazione degli strettissimi margini di manovra in cui si è dovuta muovere.

Che prima o poi il nodo della fragilità politica del grillismo arrivasse al pettine, c’era da aspettarselo. Non era prevedibile che si arrivasse al punto di mettere a rischio l’arrivo dei fondi europei per il PNRR. Si dice che non sia così, perché alla fine Conte farebbe un po’ di sceneggiate, qualcosa tanto per accreditarsi come capo politico del grillismo superando la sua immagine di uomo dei poteri forti e mettendo in difficoltà l’ala governista del movimento. Poi si troverebbe il modo d far rientrare tutto, convinti che la minaccia di un Vietnam parlamentare sulla riforma Cartabia spaventerebbe le altre forze politiche.

Il calcolo è fragilissimo. I danni che derivano da questa spregiudicatezza di comportamento sono molteplici. Innanzitutto non è proprio il caso di rafforzare nei nostri competitori in seno alla UE la convinzione che l’Italia sia un paese inaffidabile, che non trova coesione neppure davanti alla prospettiva di fruire di un aiuto gigantesco per rilanciare il suo sistema. Qualcuno dovrebbe capire che l’argomentazione della trovata di Bonafede di cancellare la prescrizione per evitare che ci siano del “impuniti” è una vecchia e fasulla argomentazione ricorrente nella storia davanti ad ogni proposta di riforma della giustizia penale: dall’abolizione della tortura, a quella della pena di morte, a tutte le normative che hanno messo un freno all’idea che compito della legge fosse spaventare e punire affidandosi ad un sistema sopra ogni controllo.

Quel modo di ragionare, ci spiace per i suoi sostenitori, ci fa fare bruttissima figura davanti al consesso civile, soprattutto a fronte di statistiche che mostrano quanto tardiva e incapace sia la giustizia italiana nel dirimere le questioni del diritto penale (che non sempre riguardano la condanna di un reo, ma spesso la tardiva o mancata assoluzione di un innocente ingiustamente perseguito).

Anche a prescindere da questa considerazione , vi è un pericolo più generale nell’impostare l’opposizione alla riforma Cartabia così come vorrebbero fare Conte e soci: si mette a rischio la tenuta del governo Draghi. Anche qui varrebbe la pena di parlarsi chiaro: chi strologa sull’impossibilità che il governo cada per via del semestre bianco, non valuta la situazione in modo appropriato.

Per prima cosa il governo in carica è e rimane un governo nel quadro della costituzione vigente, per cui se viene battuto da un voto delle Camere su una riforma qualificante non può rimanere al suo posto. A questo punto si apre solo una possibilità, essendo chiusa la via di andare al confronto nelle urne (salvo una forzatura in extremis, perché formalmente quella scatta il 3 agosto): varare un nuovo governo. Il problema non è se ci sarebbe o meno alla sua testa Draghi, quanto piuttosto che non sarà più possibile la formula della tregua al di sopra dei partiti nel formare la maggioranza. I Cinque Stelle renderebbero inevitabile che si formasse un governo più “politico”, senza di loro, e vedremo se con una torsione più forte verso la destra (cosa che dovrebbe impensierire il PD). La conseguenza sarebbe non solo un nuovo scenario per la gestione dell’elezione per il Quirinale, ma soprattutto l’esigenza inevitabile di andare immediatamente dopo alla fine della legislatura con le elezioni.

E’ questo salto nel buio che vogliono Conte e i pretoriani di vario genere che lo supportano?


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