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Una visita pediatrica

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UN bambino che vive nel Mezzogiorno ha un rischio del 70% più elevato rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord di dover migrare in altre regioni per curarsi, ma ha anche un rischio del 50% più elevato di morire nel primo anno di vita.

Sono solo alcune delle gravi diseguaglianze che iniziano dalle prime età della vita, confermate da alcune recenti ricerche condotte dalla Società Italiana di Pediatria. Disparità di partenza che – secondo i pediatri – la pandemia ha accentuato.

Il diritto alla salute, dunque, non è uguale per tutti i bambini, ma dipende in larga parte dalla regione di residenza. A confermarlo, ancora una volta, è uno studio appena pubblicato su Italian Journal of Pediatrics (Pediatric interregional healthcare mobility in Italy, a cura di Mario De Curtis, Francesco Bortolan, Davide Diliberto e Leonardo Villani) che ha valutato per la prima volta l’entità della migrazione sanitaria dei minori. Il lavoro è stato condotto su tutti 7.871.887 bambini e ragazzi residenti in Italia nel 2019 con un’età inferiore a 15 anni.

I dati (ottenuti dal “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero – SDO 2019” pubblicato dal Ministero della Salute) hanno messo in luce che i bambini/ragazzi residenti nel Mezzogiorno rispetto a quelli residenti nel Centro-Nord sono stati curati più frequentemente in altre regioni (11,9% contro 6,9%), numero che cresce sensibilmente soprattutto quando si considerano i ricoveri ad alta complessità, (21,3% vs 10,5% del Centro-Nord). Il costo della migrazione sanitaria dal Mezzogiorno, dove risiede circa il 35% dei bambini/ragazzi, verso altre regioni è stato di 103,9 milioni di euro pari al 15,1% della spesa totale dei ricoveri e l’87,1% di questo costo (90,5 milioni di euro) ha riguardato la mobilità verso gli ospedali del Centro-Nord.

«La migrazione sanitaria dei minori lontano da casa determina profonde sofferenze per il distacco dal luogo di origine, problemi economici per le famiglie per le spese del trasferimento e difficoltà di lavoro dei genitori per l’allontanamento dalla loro sede», afferma Mario De Curtis, presidente del Comitato per la Bioetica della Società Italiana di Pediatria.

«Inoltre, le regioni meridionali, a causa della migrazione sanitaria – ha aggiunto – si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra Regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. Una parte di questi costi potrebbero invece essere investiti in gran parte localmente in strutture e professionalità per migliorare la situazione sanitaria. La mobilità sanitaria, pur interessando tutte le regioni italiane, è particolarmente rilevante nelle regioni del Mezzogiorno ed è indice di una carenza di assistenza pediatrica, che dovrebbe essere rafforzata attraverso la creazione di servizi, attualmente non equamente distribuiti sul territorio».

Mortalità neonatale e infantile

Un altro ambito in cui si manifestano profonde diseguaglianze è la mortalità neonatale, come rileva uno studio in pubblicazione sulla rivista Pediatria (Mario De Curtis e Silvia Simeoni, Dipartimento per la Produzione statistica ISTAT) che ha valutato i tassi di mortalità neonatale e infantile in Italia, sulla scorta dei dati dell’Istat riferiti all’anno 2018 (ultimi disponibili).

I tassi di mortalità neonatale e infantile (numero di morti rispettivamente nei primi 28 giorni di vita o nel primo anno di vita per mille nati vivi) in Italia sono tra i più bassi del mondo anche migliori di quelli osservati in Francia, Germania o Regno Unito. Si continua però ad osservare un’ampia variazione territoriale. I bambini che nascono e risiedono nel Mezzogiorno hanno un rischio di morire nel primo anno di vita del 50% più elevato di quelli che vivono nelle regioni del Nord. E le differenze diventano ancora più evidenti per i figli di genitori stranieri (+ 100%).

Nel 2018 se il Mezzogiorno avesse avuto lo stesso tasso di mortalità infantile delle regioni del nord Italia sarebbero sopravvissuti 200 bambini. Ugualmente se i bambini figli di genitori stranieri avessero avuto lo stesso tasso di mortalità infantile dei bambini figli di genitori italiani si sarebbero avuti 88 decessi in meno nel primo anno di vita.

La spesa per le Regioni

L’entità del trasferimento verso le strutture del Centro-Nord per alcune regioni del Sud ha un impatto economico particolarmente elevato: per il Molise è pari al 45,9% di tutte le spese sanitarie per l’assistenza ai minori under 15, per la Basilicata al 44,2%, per la Calabria e l’Abruzzo a oltre un quarto (rispettivamente 26,9 % e 26,3%). In termini assoluti la Campania, regione del Sud con il più elevato numero di bambini 0-14 anni, è quella che spende di più per ricoveri fuori regione (25 milioni di euro pari al 12% dei costi sanitari per questa fascia di popolazione).

Mancano centri di riferimento

Particolare attenzione va posta ai bambini con malattie croniche e rare, che sono tra i soggetti che di più contribuiscono alla mobilità sanitaria interregionale. «La minore presenza di centri di riferimento per patologie complesse nelle regioni meridionali ne è una causa, che accentua le diseguaglianze sociali in quanto incide notevolmente sui bilanci familiari, già mediamente più bassi, con le spese per viaggi, trasferimenti, soggiorni fuori sede, assenza dal lavoro, etc.», afferma Giovanni Corsello, professore ordinario di Pediatria all’Università di Palermo ed Editor in Chief di Italian Journal of Pediatrics.

«La pandemia – aggiunge – ha inciso negativamente sullo stato di salute di questi bambini, riducendo la qualità delle cure, il calendario dei controlli e delle prestazioni di recupero e abilitazione. È nettamente aumentato il numero di soggetti disabili o con malattie croniche ricoverato in situazioni di urgenza in ospedale, per complicanze dovute a mancati controlli, o per esordio non intercettato in modo precoce ed efficace».

«L’idea che nascere e vivere in un particolare territorio del nostro Paese possa offrire una maggiore o una minore probabilità di cura e di sopravvivenza semplicemente non è accettabile. Questi dati ci mettono di fronte alla necessità di esigere un cambiamento, una repentina inversione di rotta», afferma la presidente Sip Annamaria Staiano.

Gli investimenti necessari

«Oggi abbiamo la straordinaria possibilità di usufruire dei fondi previsti dal Next Generation EU, quale migliore settore sul quale investire se non il mondo dei bambini? Quale migliore occasione per iniziare a limare il divario Nord-Sud se non partendo dal bambino nella prima infanzia?».

Due le principali strade per investire in maniera efficiente nel sistema sanitario a tutela dei bambini: rafforzare la medicina territoriale che con la pandemia ha dimostrato di essere il vero anello debole del Ssn, rivedendo i percorsi della pediatria generale, e soprattutto completare il processo di informatizzazione del SSN.

«Non è pensabile che nel 2021 la stragrande maggioranza delle strutture sanitare del Meridione non sia dotata di una cartella informatica», prosegue la presidente SIP.

«L’investimento tecnologico ed in particolare il rilancio della telemedicina può rappresentare un validissimo strumento per favorire il processo di continuità ospedale-territorio, facilitare l’accesso ai servizi di cura, ed ottimizzare la gestione delle patologie croniche, consentendo, allo stesso tempo, di potenziare le cure domiciliari e di ridurre gli spostamenti non necessari, soprattutto per i pazienti che si trovano in aree geografiche sfavorevoli (Isole, comuni montani, etc.)».

«La pandemia – conclude Staiano – ha messo in ginocchio il nostro Paese sotto molti punti di vista ma ora ci offre l’opportunità di operare un reale cambiamento. Il mio auspicio è che i fondi di cui potremmo usufruire siano adoperati dai nostri governanti per attuare interventi urgenti e non più rinviabili per ridurre il divario Nord-Sud e garantire lo stesso diritto alla salute a tutti i bambini sul territorio nazionale. Voglio ricordare la teoria del premio Nobel per l’Economia Heckman: investire oggi 1 euro sulla formazione di un bambino, moltiplicherà l’investimento fino a 11 euro nel soggetto di 18 anni. Più tardi investiamo più dovremmo spendere e meno potremmo ottenere».


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