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Dopo il Covid, il gap nella sanità tra Nord e Sud non si è ridotto, anzi; e la “sorella povera” della sanità, ovvero la prevenzione, è stata quella che ha pagato il conto più salato, in termini di erogazione di prestazioni essenziali.

E’ il risultato finale a cui arriva la fondazione Gimbe dopo aver analizzato il monitoraggio dei Lea attraverso il Nuovo sistema di garanzia, i cui dati già pubblicati dal ministero della Salute evidenziano che solo 11 regioni risultano adempienti nel 2020. Gimbe ha analizzato le differenze tra gli adempimenti 2020 e quelli 2019, al fine di valutare l’impatto della pandemia sui punteggi totali delle Regioni, oltre che sui tre macro-livelli assistenziali (prevenzione collettiva, assistenza distrettuale ed assistenza ospedaliera).

Nel 2020, la maggior parte delle Regioni del nord Italia è riuscita a mantenere un’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini gratuitamente o attraverso il pagamento di un ticket, non troppo difforme rispetto all’anno precedente, e questo nonostante la prima pesante ondata pandemica di Covid-19. Al contrario le Regioni del Sud, ad eccezione della Puglia, pur essendo state meno colpite dalla pandemia nel 2020, hanno registrato performance peggiori rispetto al 2019. Nel 2020 i punteggi totali sono peggiorati in tutte le Regioni, fatta eccezione per la Provincia Autonoma di Trento e la Valle d’Aosta, dimostrando che la pandemia ha rappresentato un forte “stress test” per la sanità italiana.

Tuttavia, tra le Regioni che hanno sperimentato una prima ondata molto violenta, il gap 2019-2020 è molto contenuto (<10 punti) per la Provincia Autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia-Romagna; intermedio (10-25 punti) per Veneto e Piemonte; elevato per Lombardia e Liguria (>35 punti). D’altro canto, 7 delle 11 Regioni con gap superiore a 20 punti si trovano al Sud, di fatto risparmiato dalla prima ondata.

Questi dati, spiega il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta, “confermano che la resilienza alla pandemia dei servizi sanitari regionali e la capacità di erogare le prestazioni essenziali nel 2020 sono state condizionate in positivo più dalle performance 2019 che in negativo dall’impatto della prima ondata”. D’altronde, non poteva che essere questo il risultato di due decenni di definanziamento della sanità del Sud, indebolita e resa fragile negli organici, nei grandi macchinari e nelle strutture. La pandemia ha picchiato forte sull’anello più debole.  Le Regioni settentrionali, seppure più colpite dalla pandemia durante la prima ondata, hanno mostrato una differente resilienza, inevitabilmente condizionata dalla qualità del servizio sanitario regionale pre-pandemia.

Ogni anno il ministero della Salute valuta l’erogazione delle prestazioni sanitarie – i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza – che le Regioni devono garantire ai cittadini gratuitamente o attraverso il pagamento di un ticket. “Si tratta di una vera e propria “pagella” per i servizi sanitari regionali – afferma Cartabellotta – che permette di identificare Regioni promosse (adempienti), pertanto meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e bocciate (inadempienti)”. Le Regioni inadempienti vengono sottoposte ai Piani di rientro, strumento che prevede uno specifico affiancamento da parte del ministero della Salute che può arrivare sino al commissariamento della Regione, e perdono i soldi legati ai premi.

Quindi, tutto il Sud, esclusa la Puglia, rischia dal prossimo anno di ritrovarsi con ancora meno soldi per la sanità. Infatti, proprio per l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19, il Comitato Lea del ministero della Salute ha stabilito che “il monitoraggio dell’erogazione dei Lea per l’annualità 2020 viene effettuato” attraverso il nuovo metodo solo “a scopo informativo”. In sostanza, almeno per quest’anno non verrà preso in considerazione per erogare le premialità ma si continuerà ad usare ancora il vecchio sistema della “Griglia Lea”, che prevede criteri meno rigidi. Ma il campanello di allarme è suonato forte, non bastasse il progetto di autonomia differenziata, se già oggi si applicasse il nuovo metodo di valutazione tutto il Sud, ad eccezione appunto della Puglia, verrebbe bocciato e dovrebbe, di conseguenza, fare a meno di centinaia di milioni legati al raggiungimento degli obiettivi. Per intenderci, parliamo complessivamente per il Mezzogiorno di circa un miliardo di euro. Insomma, superare “l’esame Lea” significa poter ricevere più soldi.

I nuovi parametri di valutazione, più severi, penalizzano il Sud perché prima di “inasprire” i criteri per valutare la qualità delle cure occorreva mettere fine al sottofinanziamento che il Mezzogiorno subisce da almeno 15 anni nel settore sanitario. Depauperate delle risorse economiche, le Regioni del Sud oggi si ritrovano con meno personale, meno soldi da spendere e macchinari più obsoleti. La nuova metodologia valuta distintamente le tre aree di assistenza (territorio, ospedali e prevenzione) e attribuisce loro un valore compreso in un range 0-100. La garanzia di erogazione dei Lea si intende raggiunta qualora, entro ciascun livello, sia raggiunto un punteggio pari o superiore a 60.

Il punteggio di ogni area è determinato dalla media pesata di 22 indicatori, così suddivisi: 6 per l’area della prevenzione; 9 per l’attività; 6 per l’attività ospedaliera. La Puglia, nel 2020, in tutti e tre i settori raggiunge almeno la sufficienza: infatti, ottiene 66,83 per la prevenzione; 68,13 per la medicina territoriale e 71,73 per l’area ospedaliera.

Però è l’unica in tutto il Mezzogiorno, infatti oggi sarebbero state promosse anche Piemonte, Lombardia, Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio. Bocciate invece Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia per aver ottenuto una insufficienza in una macro area; Campania, Basilicata, Valle d’Aosta, Bolzano e Sardegna con due insufficienze su tre; Calabria, insufficiente in tutte e tre le aree. Insomma, il Mezzogiorno ha rischiato di ritrovarsi ancora con meno soldi.


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