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PRIMA la pandemia, poi l’impennata dei prezzi, quindi la guerra e la stretta del credito. Uno shock dopo l’altro per il sistema produttivo italiano che, però, ha saputo reagire diventando più “resiliente”, aumentando le dimensioni delle imprese e investendo in tecnologia: ma fra le novità più significative emerse dal rapporto sulla competitività delle imprese presentato ieri dall’Istat emerge anche una nuova luce che arriva dalle imprese del Sud, con un dinamismo sul fronte dell’export che di fatto ha trainato anche la crescita nazionale. Restano, sull’orizzonte, i rischi legati alla geopolitica. E, soprattutto, emerge con forza la necessità di ritoccare al più presto il costo del denaro. Un prolungamento del caro-tassi, infatti, creerebbe problemi ad un’impresa su quattro.

La resilienza

Le imprese italiane si sono dimostrate “più resilienti di fronte agli shock” posti dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, con un sistema produttivo che si è rafforzato nel decennio successivo alla crisi finanziaria del 2008-2009 e alla crisi del debito del 2012. Nel 2023 il fatturato dell’industria, nonostante la forte spinta dal lato dei prezzi, ha registrato in media d’anno un decremento in valore (-1,0%), con un lieve miglioramento nel secondo semestre (+0,4 e +0,9% su base congiunturale nel terzo e quarto trimestre) e una dinamica leggermente migliore delle vendite sul mercato estero rispetto a quelle sul mercato interno (rispettivamente +0,7 e +0,2% nel terzo e +1,3 e +0,6 nel quarto trimestre). Mentre tra il 2019 e il 2022 nell’industria è diminuito il numero di unità (-7mila con almeno un dipendente), ma sono aumentati gli addetti (circa +78mila unità, +2,0%) e il valore aggiunto (+19,8%); al netto del forte incremento dei prezzi, emerge un processo di ricomposizione delle risorse a favore di unità di dimensioni più grandi e più produttive.

L’emergenza tassi

La stretta monetaria mette a rischio le imprese italiane. L’esercizio di simulazione messo a punto dall’Istat rileva che a seguito del rialzo dei tassi d’interesse, nel 2022-2023, il 24,7% delle imprese ”In salute” o ”Fragili” potrebbe divenire ”A rischio” o ”Fortemente a rischio”, soprattutto nel terziario. La maggior parte di queste (il 19,7%) nel 2022 presentava una struttura patrimoniale non sostenibile. Nello scenario avverso in cui la Bce non dovesse allentare le condizioni finanziarie per le imprese, spiega Stefano Costa, primo ricercatore presso il Servizio per l’analisi e la ricerca economica e sociale dell’Istat “fino a un quarto delle società di capitali potrebbe andare sotto la linea di galleggiamento, specie terziario”.

La sorpresa export al Sud

Nel 2023 il tasso di inflazione è stato omogeneo in tutte le macro-ripartizioni: +5,9% nel Nord-ovest, +5,7% al Centro, +5,6% nel Mezzogiorno, +5,4% nel Nord-est. In sette regioni (Liguria, Umbria, Piemonte, Sardegna, Toscana, Puglia e Sicilia) l’inflazione è risultata più ampia di quella nazionale. Ma la vera novità riguarda il valore dell’export nazionale di beni che riflette dinamiche territoriali differenziate: aumento forte per il Sud (+16,8%), più contenuto per il Nord-ovest (+2,7%), e flessioni per il Nord-est (-1,0%), il Centro (-3,4%) e soprattutto per le Isole (-21,0%). Le tre regioni con gli incrementi di export più elevati (Campania +28,9%, Molise +21,1%, Calabria +20,9%), e le due regioni con le flessioni più ampie (Sardegna -24,2% e Sicilia -19,3%) sono al Sud.

La reazione

Nel periodo 2011-2022 le condizioni del sistema produttivo si sono comunque irrobustite: la quota delle imprese ”In salute” aumenta ogni anno (anche nel 2020) fino a superare, nel 2022, il 37%. Il loro peso in termini di occupazione e valore aggiunto raddoppia in quasi tutti i settori. Le classi ”A rischio” e ”Fortemente a rischio”, invece, passano dal 34,1% del 2011 al 20,4% del 2022; le seconde, che mostrano una probabilità di fallimento nei successivi dodici mesi nettamente più elevata rispetto alle unità delle altre classi, passano dal 19,9% del 2011 all’10,4% del 2022 anche per effetto del processo di selezione operato dalla crisi del 2011-12. La pandemia non ha interrotto tale processo: nel 2019-22 i casi di entrata (downgrade) nella classe ”Fortemente a rischio” hanno continuato a diminuire; quelli in uscita (upgrade), dopo il picco favorito dagli aiuti nel 2020, sono tornati ai livelli pre-crisi.

Le previsioni dell’export dal Sud

Il calo della domanda interna pesa sull’industria manifatturiera che guarda con pessimismo all’anno in corso, con le imprese che allo stesso tempo lamentano condizioni di accesso al credito cinque volte peggiori rispetto al passato a causa del rialzo dei tassi della Bce. Un’indagine qualitativa ad hoc sulle tendenze recenti nel comparto manifatturiero mostra che nel corso del 2023 le preoccupazioni si sono diffusamente spostate dai fattori di offerta a quelli di domanda, soprattutto interna, la cui debolezza rappresenta la principale preoccupazione anche per il primo semestre 2024 (per almeno il 50% delle imprese di Tessile, Chimica, Gomma/plastica, Prodotti da minerali non metalliferi, Carta), seguita dalle conseguenze dei rincari energetici (almeno il 55% per le unità di Coke e raffinazione, Altri mezzi di trasporto) e dall’aumento dei prezzi dei beni intermedi, almeno il 40% in Alimentari, Carta, Farmaceutica, Apparecchi elettrici.


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