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Il 2023 ha registrato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia: sulla condizione delle mamme restano forti disparità tra Sud e Nord

IL SUD, con la denatalità, è l’emergenza numero uno di questo Paese: il Sud si spopola, i migliori se ne vanno, la speranza è al lumicino e le nascite sono ai minimi nazionali. Facciamo pochi figli in Europa e in Italia, e al Sud le nascite sono ancor meno. La conseguenza non è solo il declino demografico ma l’alterazione nell’impianto strutturale della popolazione con il peso dei più anziani che diventa soverchiante sui più giovani. Siamo il Paese con la più bassa percentuale di giovani ma la più alta di Neet. Tutto questo è più accentuato nelle aree meridionali. La carenza di formazione e di inserimento adeguato nel mondo del lavoro diventa una dipendenza nella famiglia d’origine, posticipazione del momento in cui si crea una famiglia e ulteriore denatalità. L’Italia non ha più la capacità endogena di tornare a crescere. Anche portando la fecondità italiana a due figli per nucleo familiare, non sarebbe sufficiente. Il punto di non ritorno, in termini di tasso di fecondità, è stato già superato. Adesso si rischia anche di superare il punto di non ritorno sulle nascite e se ciò accadesse avremmo squilibri demografici molto gravi, soprattutto al Sud.

E a proposito di nascite, sulle condizioni delle mamme delle permangono forti disparità soprattutto tra il Sud e il Nord del Paese. A certificarlo è il recente report di Save the Children ‘Le Equilibriste-La maternità in Italia 2024’. Il 2023 ha registrato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Le donne scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: nella popolazione femminile in età fertile, convenzionalmente definita tra i 15 ei 49 anni, il numero medio di figli per donna, infatti, è di 1,20, mostrando una flessione rispetto al 2022 (1,24). Molto lontano dal dato del 2010, quando il numero medio di figli per donna aveva raggiunto il massimo relativo registrato nell’ultimo ventennio, pari a 1,442.

La contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni, ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione (nel 2023 meno 3mila nati rispetto all’anno precedente). L’Italia è anche il Paese europeo con la più alta età media delle donne al momento della nascita del primo figlio (31,6 anni), con una percentuale rilevante di primi nati da mamme over 40 (8,9%, tasso inferiore solo a quello della Spagna). L’età media delle madri al parto rimane quasi invariata rispetto all’anno precedente (32,5 anni nel 2023 e 32,4 nel 2022). Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile vivere. Anche quest’anno, l’Indice indica la Provincia Autonoma di Bolzano a guidare i territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, mentre fanalino di coda risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica, da Campania e Sicilia. Se il rinvio della maternità e la bassa fecondità sono frutto di numerose concause, i dati rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità. Un elemento da tenere in debita considerazione, in un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo.

Dai dati del Rapporto di Save the Children, emerge che in Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali. La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Per le donne, il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia rimane critico per chi nella propria famiglia svolge un lavoro di cura non retribuito. Una spia delle difficoltà che le madri affrontano nel conciliare impegni familiari e lavorativi è rappresentata dal numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Al contrario, per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più. Si registrano marcate disparità territoriali, a danno delle regioni del Sud d’Italia dove per le donne, l’occupazione si ferma al 48,9% per coloro senza figli (sono il 79,8% al nord e 74,4% al centro) e scende al 42% in presenza di figli minori arrivando al 40% per le donne con due o più figli minori (al nord sono il 73,2% e al centro 68,3%). Medesime disparità si notano anche per gli uomini, anche se con valori diversi: nel meridione gli uomini senza figli occupati arrivano al 61,5%, (sono 86,7% al Nord e 81,3%, al Centro), mentre quelli con figli minori raggiungono l’82,8% (96,7% al Nord e 94,5% al Centro).

Anche guardando ai dati delle dimissioni volontarie post genitorialità è evidente come la nascita di un figlio influisca sulla disparità di genere nel mondo del lavoro. A dimettersi sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Nel corso del 2022, infatti, sono state effettuate complessivamente 61.391 convalide di dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3 in tutto il territorio nazionale, in crescita del 17,1% rispetto all’anno precedente. Il 72,8% del totale (pari a 44.699) riguarda donne, mentre il 27,2% riguarda uomini (pari a 16.692), con una crescita maggiore di quelle femminili rispetto all’anno precedente. Anche quest’anno nelle motivazioni tra uomini e donne per le convalide, emerge una differenza significativa. Per le donne, infatti, quella principale è la difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino/a: il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, mentre il 21,9% ha indicato problematiche legate all’organizzazione del lavoro.

Complessivamente, le sfide legate alla cura rappresentano il 63,6% di tutte le motivazioni di convalida fornite dalle lavoratrici madri. Per gli uomini, invece, la motivazione predominante è di natura professionale: il 78,9% ha dichiarato che la fine del rapporto di lavoro è stata dovuta a un cambio di azienda e solo il 7,1% ha riportato esigenze di cura dei figli. Inoltre i numeri ci dicono che nel nostro Paese, mentre il lavoro a tempo pieno è più comune tra gli uomini rispetto alle donne, accade l’opposto per il lavoro part-time. In generale in Italia solo il 6,6% degli uomini che lavora, lo fa a tempo parziale, rispetto al 31,3% delle lavoratrici, che per la metà dei casi (15,4%) subisce un part-time involontario. Tra coloro che hanno figli, aumenta notevolmente la percentuale di donne impiegate a tempo parziale (36,7%) rispetto a quelle senza figli (23,5%). Tra gli uomini, invece, si passa dall’8,7% per chi non ha figli al 4,6% per i padri.


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