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Franca Valeri a teatro in “Non tutto è risolto”

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“Per carità non mi chieda, i compleanni sono un’opinione e mai li ho festeggiati…”.

Ironica, pungente, dissacrante, Franca Valeri è difficile da imbrigliare in una definizione. Persino ora che le candeline fanno cifra tonda: cento anni il 31 luglio. Del resto, a lei bastava un telefono di quelli di una volta con la rotella per fare i numeri e la cornetta gracchiante per tirar fuori uno dei suoi memorabili personaggi femminili. In vista dell’importante compleanno gli omaggi alla signora sono già cominciati da un po’ e tra questi c’è anche la pubblicazione di “Franca Valeri. Tutte le commedie” (La Tartaruga, La Nave di Teseo, Milano 2020); prefazione di Lella Costa e una nota critica finale di Patrizia Zappa Mulas. Le parole di Franca aprono il libro: “Ogni volta che mi illudo d’incontrare quel signore che ritengo sia il teatro, mi rendo conto di vivere la più bella illusione della mia vita”. Nell’antologia sono state raccolte per la prima volta tutte le commedie alcune mai pubblicate nonché esilaranti e sorprendenti sketches.

Pagina dopo pagina prende forma il racconto del teatro di Franca Valeri a partire dagli albori degli anni Sessanta con Le catacombe o Le Donne Confuse del 1962 che lei presenta così: “Dedico questa commedia, come tutta la mia passata attività di autrice-attrice, alle donne che conosco. È chiaro il motivo, esse mi hanno ispirato. Lungi dal sentirmi un avvoltoio, confesserò che mi pare un tratto di buona educazione e di affettuoso interesse ricordarsi i difetti della gente almeno quanto la data dei loro compleanni […] ”.

Poi, via via gli altri lavori: Questa qui, quello là, Meno storie, La cosiddetta fidanzata, La cocca rapita, Tosca e altre due, Sorelle, ma solo due ossia Come voleva nostra madre, La vedova di Socrate, Non tutto è risolto e non solo fino ad arrivare nel 2014 alla commedia Il cambio di cavalli. Quest’ultimo lavoro nell’antologia viene introdotto dalla Franca così: “Molti attori di teatro sono stati anche autori. Inutile citarli. È su di loro che si concentra la mia curiosità. Non è roba solo da leggere, è anche da recitare, e la scelta delle parole è certamente una cosa difficile. Io non so fare altro, credo”.

Un teatro fatto per divertire ma anche per riflettere quello di Franca Norsa, in arte Franca Valeri. “Cosa significa la parola triste non l’ha scoperto nemmeno Valery, il mio poeta preferito quando, tanti anni fa, mi impadronii del suo cognome per nascondere Norsa, il mio di cognome che, agli inizi, mi regalò il flop più tragico della mia carriera”, spiegò candidamente in un’intervista di qualche anno fa. Franca nasce a Milano da una famiglia ebraica della buona borghesia lombarda. Il padre ingegnere insiste perché impari bene le lingue straniere come l’inglese e soprattutto il francese.

Ultimato il liceo classico, a causa delle leggi razziali non può accedere all’università. Dopo la guerra recita a Parigi e a Londra con la compagnia del Teatro dei Gobbi con Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli e in Italia diventa famosa alla radio con la signorina snob, il primo tra i personaggi femminili – da Cesira la manicure alla sora Cecioni – nati dal suo raffinato genio creativo.

Attrice, autrice dei suoi testi, commediografa, scrittrice, regista di prosa e di lirica, sceneggiatrice, Franca Valeri ha dalla sua una pluriennale carriera cinematografica, teatrale e televisiva. I suoi testi teatrali sono rappresentati e tradotti in tutto il mondo. Da sempre amante dell’opera lirica, la poliedrica Franca si è anche cimentata come regista di melodrammi.  Tra i riconoscimenti ricevuti figurano anche due lauree honoris causa e i titoli di Chevalier des Arts et des Lettres dal ministro della Cultura francese e Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica italiana.

“Una cosa bella, decisamente, ma anche sacrosanta e forse persino doverosa, no? Come peraltro il David di Donatello alla carriera che ha ricevuto nel maggio scorso” — scrive Lella Costa nella prefazione — “E dunque non me ne vogliano le compagne di tante battaglie a favore della desinenza in -a (con buona pace di Carlo Dossi) se mi ritrovo ad affermare con decisione che la signora Valeri è, appunto, Cavaliere, o meglio ancora Cavalièr, con l’accento sull’ultima sillaba, a metà tra Ariosto e Goldoni e con una strizzata d’occhio a tutti i Roro della sua vita; ma Cavaliera proprio no, non se ne parla ”.

Anche semplicemente scrivere di Franca Valeri richiede un’immersione senza rete tra i flutti dell’ironia più intelligente, priva di retorica e in certi casi persino feroce. Lella Costa — che dichiara apertamente di venerare “la Franca” (con l’articolo alla milanese) — offre un ritratto vibrante della signora Valeri. “[…] Dire che le armi di Franca Valeri sono le parole rischia di essere un’atroce banalità, me ne rendo conto. Però è vero. E come accade ai grandi condottieri, e a volte anche alle pulzelle francofone, coraggiose e un filo incoscienti, quelle armi hanno conquistato territori fino a quel momento inesplorati, almeno dalle donne. Prima di Franca sono certo esistite altre attrici comiche, o brillanti (perlopiù caratteriste, ma insomma qualcuna ce n’era): ma nessuna era mai riuscita a essere anche autrice e regista, oltre che interprete. La rivoluzione (che non sarà un pranzo di gala ma può essere una commedia, o meglio ancora una tragedia da ridere) lei l’ha fatta senza proclami, senza bollettini di guerra, senza spargimenti di sangue o di detersivo (questa è di De André, ma ci sta bene, no?): l’ha fatta dando voce e corpo a quelle parole contundenti, usando qualunque mezzo, dalla radio al cosiddetto cabaret, dalla televisione al cinema, dal teatro all’opera lirica. L’ha fatta col sorriso appena accennato, con la vertigine della comicità più pura, con la sapienza delle trame, con la pietas travestita da ironia. Se non è una guerriera lei, non ne conosco nessuna”.

Franca la guerriera, dunque, sempre pronta a sfidare ogni stereotipo e a sfoderare implacabilmente le armi di una comicità capace di mettere all’angolo e restare nel tempo. A guardare le foto che la ritraggono non puoi fare a meno di notarne lo sguardo divertente e divertito. Sempre e comunque, uno sguardo che va oltre, fin dagli esordi. Non si può non concordare con la Zappa Mulas quando nella postfazione dell’antologia teatrale conclude: “Il vero scrittore, diceva Colette, non scrive il passato ma il futuro e Franca Valeri è una conferma. Nel suo teatro dal Cinquanta al Duemila si scopre come quell’Italia proterva e impreparata che ci sta alle spalle minacciava decisamente di diventare l’Italia che ci sta davanti”.


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