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Giorgia Meloni

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NON era difficile capire, il 20 luglio scorso, che nella situazione di emergenza in cui eravamo coinvolti, ogni giorno trascorso con un governo dimezzato (ovvero privato dei poteri di guida del Paese se non per l’ordinaria amministrazione) avrebbe aggravato le nostre difficoltà e lasciato milioni di persone in attesa di risposte che non potevano essere date. Quando le trasmissioni televisive – come ai tempi della pandemia – mettono in mostra persone, famiglie, imprese strangolate dalle bollette che rivendicano soluzioni immediate sarebbe il caso, per oggettività dell’informazione, ricordare loro quali forze politiche hanno determinato una crisi politica (che si è aggiunta a tutte le altre) di cui non si avvertiva il bisogno.

Certo, poi è intervenuto un tacito accordo che ha consentito al governo Draghi di proseguire nella politica degli aiuti (con ben due decreti che si sono aggiunti al primo, portando l’intervento complessivo al di sopra dei 60 miliardi); ma nello stesso tempo il suo profilo istituzionale non consentiva un’azione politica di spessore strategico come quella che aveva portato in pochi mesi, trovando altri fornitori di gas diversi dalla Russia, di ridurre circa di metà la dipendenza da un Paese che fa uso delle sue risorse per condurre una guerra contro l’Occidente. Peraltro, costretto dalle circostanze ad agire attraverso misure tampone di carattere necessariamente temporanee, assunte in base a risorse rese man mano disponibili (come le maggiori entrate fiscali) il governo Draghi ha finito per condizionare la manovra di bilancio per il 2023.

In un articolo di QuiFinanza vengono elencati i vincoli all’interno dei quali dovrà muoversi il governo Meloni. Si parla di una manovra da 40 miliardi? Se è così questo ammontare sarà appena sufficiente per rifinanziare misure vigenti. Circa 20 miliardi serviranno per finanziare le misure approntate dal governo Draghi per contrastare il caro energia e caro bollette; 14 miliardi dovrebbero essere assorbiti dalla spesa per sostenere le imprese oberate dal caro energia; circa 3 miliardi serviranno per coprire l’azzeramento degli oneri di sistema in bolletta ed il taglio dell’IVA al 5% sul gas; altri 3 miliardi saranno necessari per prorogare il taglio delle accise sulla benzina di 30,5 centesimi. L’aumento dell’inflazione ha creato poi altri problemi.

La rivalutazione automatica delle pensioni al costo della vita dovrebbe costare circa 8-10 miliardi in più rispetto al previsto. La proroga del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti assorbirà 3,5 miliardi, mentre il rinnovo contrattuale anche parziale del pubblico impiego potrebbe costare inizialmente 5 miliardi (16 miliardi per estenderlo a tutta la PA). A questa cifra che supera già i 35 miliardi, si aggiungono altre voci di spesa “dovute”, come quelle per il sostegno all’Ucraina e le missioni internazionali, con le quali si arriverebbe a circa 40 miliardi.

Ma la crisi del governo Draghi si è avvertita di più laddove i problemi si affrontano grazie all’iniziativa politica: in Europa, innanzi tutto. L’Unione è passata in poche settimane da una situazione di compattezza ad una di sbandamento, di fronte all’escalation del Cremlino sul fronte energetico. E questo non è senza effetti in Italia e negli altri Paesi, perché un minimo di risposte adeguate si possono trovare solo attraverso un’intesa comune. Ed è proprio la difficoltà nell’impostare una strategia unitaria a spingere i governi dei Paesi in prima linea nella guerra del gas, a pensare a stessi come ha fatto negli ultimi giorni la Germania, il cui governo ha annunciato il varo di un piano da 200 miliardi di euro (il 5 per cento del suo Pil) per ridurre la spesa energetica delle famiglie.

Questa linea di comportamento – scrive L’Istituto Bruno Leoni – è, nel merito, assai discutibile: oggi più che mai bisogna lasciare che siano i prezzi a indurre la riduzione dei consumi e a stimolare investimenti in fonti alternative. Ma davvero non si capisce – continua il commento – la condanna unanime che è emersa in molti Stati membri dell’Unione, tra cui l’Italia. Certo, il timing della proposta è stato infelice: proprio alla vigilia del Consiglio straordinario sull’energia in cui si è animatamente discusso delle varie proposte per far fronte all’emergenza, tra cui l’idea italiana di un price cap sul gas (respinta in toto non solo dalla Germania ma anche dalla stessa Commissione Ue). A ogni modo, Berlino non sta facendo nulla di qualitativamente diverso rispetto agli altri. Per esempio, l’Italia finora ha speso – vantandosene – circa 3,3 punti di Pil (più della maggior parte degli Stati membri, Germania inclusa) e staremo a vedere quali misure saranno adottate per il 2023 (sempre che si trovino le risorse e dove sia possibile). Mentre la Germania ha semplicemente approfittato dello spazio fiscale reso disponibile da un bilancio pubblico sano e da un basso debito pubblico. “Se noi non avessimo dilapidato i denari pubblici nel passato lontano e vicino, potremmo fare lo stesso’’: è l’amara conclusione dell’IBL.

Purtroppo, però, ci sono problemi ben più gravi del pur devastante caro bollette. La guerra in Ucraina è entrata in una fase nuova; le minacce di Putin vanno prese sul serio, tanto che la Nato ha indicato delle linee invalicabili per lo zar di Mosca, sorpassate le quali l’Alleanza atlantica non starà a guardare. Non è il caso allora di dare priorità anche alle esigenze di difesa e di sicurezza nazionale. L’asse Francia-Germania sembra non avere le idee chiare. Manca un protagonista in grado di fare sintesi come Mario Draghi; a meno che il premier dimissionario non sia chiamato a dirigere le politiche europee e dell’Occidente da un altro punto di osservazione e di guida.


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