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Papa Francesco: «In Vaticano mi volevano in pensione»; i complotti raccontati con ironia nella monumentale biografia “Una storia nella Storia”


No, Papa emerito come Joseph Ratzinger, proprio no. Semmai vescovo emerito di Roma traslocando a Santa Maria Maggiore distante quanto basta da un Vaticano che in fin dei conti Jorge Mario Bergoglio non ha mai prediletto troppo prova ne sia anche la scelta di risiedere nel Residence di Santa Marta e non negli appartamenti pontifici. Anche perché nelle Secrete stanze tra felpati monsignori, zelanti camerlenghi e cardinali in odor di sanzioni, prendono corpo da sempre le trame contro il pontefice di turno. E certo Francesco non fa eccezione, figurarsi proprio lui primo Papa gesuita e per di più latinoamericano con quella visione dei sud del mondo lontani anni luce dagli eccessi statunitensi. Ragione di più per soffermarsi anche con ironia sui complotti vaticani nella sua monumentale biografia “Una storia nella Storia” scritta con Fabio Marchese Ragona, in uscita oggi (19 marzo) per HarperCollins e anticipata in Italia dal Corriere della Sera.

“C’era chi in Vaticano mi voleva morto e invece ogni volta ha dovuto ricredersi” osserva con un sorriso il Papa che tocca anche la questione delle dimissioni sulla scia di Ratzinger per motivi di salute: “Qualcuno negli anni forse ha sperato che prima o poi, magari dopo un ricovero, facessi un annuncio del genere, ma non c’è questo rischio: grazie al Signore godo di buona salute e a Dio piacendo ci sono molti progetti ancora da realizzare”. Affermazioni che fanno il paio con quella altrettanto famosa rilasciata ai giornalisti che “si governa con la testa e non col ginocchio”. Ma tant’è: al primo raffreddore perdurante, ecco in azione la schiera dei “conclavisti” che insieme con gli ultra conservatori e i liberal a oltranza formano le tre cordate che insidiano papa Francesco. Ed è una geopolitica del complotto che da Oltretevere spazia agli Stati Uniti e, ancora, all’Europa d’Oltralpe.

Come ovvio, nei capitoli dell’autobiografia dedicati agli attacchi contro di lui, Francesco si guarda bene dal fare nomi. Eppure, una qualche dimestichezza con le cose vaticane consente di scorgere almeno i capi filiera delle trame anti Papa. I fautori delle dimissioni e dunque di un nuovo Conclave hanno trovato per anni nel cardinale Angelo Scola un tessitore attivissimo. Il porporato italiano di stampo conservatore che nel Conclave del 2013 fu diretto competitor di Bergoglio, non ha mai smesso di inseguire una Chiesa diametralmente opposta a quella del Papa argentino e l’unico modo per potervi arrivare è la rinuncia del pontefice in carica. In ogni caso, tutte le iniziative conclaviste sono fallite alla prova dei fatti con un Francesco dalla salute precaria, ancora di più oggi a 87 anni, ma pur sempre saldamente alla guida del suo pontificato.

Diversa e per molti aspetti più complessa è la situazione degli Stati Uniti. Qui si entra in una galassia conservatrice che si sviluppa sull’intero continente nordamericano attraverso una miriade di vescovi oltranzisti che permeano le loro diocesi con assunti ultra tradizionalisti. Emblematico il caso di Joseph Strickland, vescovo di Tyler, Texas, rimosso da Francesco per una serie di gravi discriminazioni operate nella sua diocesi verso chi non si professasse in linea con il suo credo conservatore. Il caso tenne banco a lungo proprio perché Strickland aveva rifiutato pubblicamente di rinunciare al governo della sua diocesi, costringendo il pontefice a un atto di forza. Ma ben più del vescovo texano è stata alla ribalta delle cronache vaticane la vicenda del cardinale Raymond Burke. Questi si era fatto protagonista di iniziative di aperta contestazione e rottura nei confronti di Bergoglio.

Il giorno stesso dell’inizio del Sinodo dei vescovi era stato in prima linea nel convegno sulla “Babele sinodale” denunciando quelli che a suo avviso erano da considerarsi “errori teologici, filosofici e canonici” del Sinodo convocato dal Papa. Burke era diventato così il capo filiera delle contestazioni dei conservatori all’attuale pontefice. Nessuna meraviglia se ai sensi del Diritto canonico che prevede l’obbedienza del cardinale al Papa, Francesco abbia tolto a Burke il mega appartamento a Roma e alcuni emolumenti.
Resta il fatto che il sanguigno porporato Usa è diventato il simbolo del malessere americano che si spinge anche a chiedere l’allontanamento di Bergoglio da Roma, come ha fatto il vescovo Christoper Coyne del Connecticut. Accuse di eresia al pontificato in corso che hanno spinto la Chiesa conservatrice americana a un passo dalla scisma. E si può dire che solo le recenti rassicurazioni dottrinali del Prefetto per la dottrina della fede Manuel Victor Fernandez nei testi sulle benedizioni gay siano riuscite a frenare la deriva.

Anche nell’Europa “culla del cattolicesimo” la Chiesa di Roma è stata a un punto di non ritorno. Il contenzioso ancora aperto riguarda la Germania con la sua conferenza episcopale guidata da Georg Baetzing. Dopo aver apprezzato il Vaticano sulle benedizioni arcobaleno, lo scontro si è trascinato sulla linea tedesca di istituire un Consiglio sinodale aperto anche ai laici e alle donne, organismo ritenuto estraneo e contrario alla dottrina sacramentale della Chiesa. E c’è voluta una lettera di aut aut firmata dal Segretario di Stato Parolin, dal Prefetto per la dottrina della fede Fernandez e dal responsabile del Dicastero per i vescovi Prevost, per fermare i tedeschi di Baetzing. Quelli che certo non potevano impensierire gli strali e le invettive di un cardinale ultra conservatore come Ludwig Gerhard Mueller.
Segno che Francesco ha i suoi bastioni in difesa della Chiesa che lui stesso vuole aperta, inclusiva, affettuosa. E che al di là delle fantasie sulle dimissioni mette in guardia dove finiscono le riforme e cominciano le ideologie.


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