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Silvio Berlusconi

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CHI l’altra notte ha avuto la pazienza di restare fino all’ultimo attaccato alle TV per seguire l’arrivo dei risultati sui ballottaggi, a un certo momento deve aver creduto di essersi addormentato fino al punto da sprofondare in uno di quegli incubi che solo una scorpacciata serale di peperoni può scatenare.

Sullo schermo sfilavano volti e nomi del Ventennio berlusconiano, molti dei quali ci eravamo illusi fossero già fuori dalla politica. Un po’ acciaccati dal tempo ma sempre pronti a metterla in caciara appena una telecamera li inquadra.

Sembrava una puntata degli anni Novanta, invece no, sono sempre lì. Non sono sbucati dalle Teche Rai con un esorcismo, sono ancora attualità. Purtroppo. Pronti a rimestare tra le macerie che la sinistra più autolesionista del mondo gli ha loro concesso in modo maldestro e sconcertante.

Dopo tutto quello che è avvenuto negli ultimi anni, era più difficile rianimare Berlusconi e la sua brigata che ridurre il debito pubblico. Il Pd ci è riuscito in modo incredibile; nemmeno Tafazzi avrebbe saputo fare di meglio. Adesso però è troppo semplice prendersela con Renzi. Colpe e demeriti ne ha, eccome, ma non solo lui. Fanno un po’ sorridere le analisi di chi sostiene che la batosta sia stata provocata dalla linea poco di sinistra del Pd. Tesi non confortata dai numeri. Bersani, Speranza e D’Alema, secondo i sondaggi oggi faticano a mettere insieme il tre per cento dei consensi. In genere la sinistra tutta non se la passa bene, incapace di intercettare e comprendere i mille malumori dei suoi ex elettori, non più in lotta per l’emancipazione di classe ma risucchiati a contenere con rabbia e odio sociale i contraccolpi della globalizzazione. Un distacco storico con i ceti popolari del Paese sempre più disperati e avviliti, in cerca di una rappresentanza in grado di dare risposte a paure, insicurezze, precarietà, problemi economici. La sconfitta elettorale di domenica toglie smalto e credibilità al sogno renziano di importare il modello Macron. In fondo il presidente francese non ha fatto altro che realizzare il progetto di Matteo del partito della nazione, per arginare il populismo e la destra becera.

A Renzi è mancata una sponda affidabile e autorevole tra i moderati italiani, come è accaduto per la nuova legge elettorale. E quando ci ha provato si è ritrovato davanti solo il solito logorato Berlusconi, con il solito fardello di guai con la giustizia. Macron è riuscito a dare concretezza e sostegno all’idea di governo immaginato ai tempi felici della Leopolda. Ha vinto senza ambiguità fino a ritrovarsi i socialisti in fila davanti alla porta. Ha saputo aggregare e non ha finito per isolarsi come Renzi. Alla fine la Francia ha scelto, anche se la grande forza di En marche si fonda sulla percentuale di astensionismo più alta della storia. I francesi con coraggio hanno scommesso su un giovane e sperano di averci azzeccato. L’Italia ha bruciato invece tutti i potenziali leader e, alla fine, delusa anche dai casinisti dei Cinque Stelle, è tornata sotto le antiche insegne del Cavaliere. Il risultato dell’antirenzismo di Speranza, D’Alema e Bersani è stato quello di azzoppare l’unico candidato spendibile tra i moderati italiani per portare il centrosinistra a governare in modo stabile. Non è la prima volta che capita.

Dietro Matteo, con tutti i limiti e i difettacci, l’arroganza e la presunzione c’è il baratro della destra salviniana o il ritorno dei pupi del vecchio popolo della libertà. Senza contare l’angosciante incognita grillina. Non aver avuto la pazienza della mediazione e un occhio lungimirante, costerà caro alla sinistra italiana e al Paese. Tra Renzi e Bersani non esiste più distanza di quella che intercorre tra Salvini e Berlusconi, solo che loro un’alleanza riescono sempre a metterla in piedi, magari tappandosi naso e orecchie. Renzi si mangerà le mani in eterno per quella scelta scellerata di abbinare il suo destino politico all’esito del referendum sulla riforma costituzionale. Per i modi sbrigativi e rudi con i quali ha liquidato consigli e critiche di molti settori del Pd. Ma è anche vero che non si può gestire un Paese sotto il continuo fuoco amico, più incalzante e settario di quello degli avversari.

Il bivio davanti al quale si trova ora Renzi, pieno di cicatrici e con l’immagine di vincente scheggiata, è stracolmo di insidie e trappole. E non è neanche escluso che il partita possa subire altre emorragie di fuoriusciti. Il Pd deve allearsi, ma con chi? E gli elettori capirebbero un centrosinistra messo su con ex compagni andati via tra accuse e veleni imbarazzanti? Purtroppo è stato sprecato un capitale di consensi che invece di assicurare quella stabilità di governo che il mondo ci chiede, ha finito per creare incertezze pericolose tra gli investitori, alimentando la sfiducia sulle capacità dell’Italia di fare le riforme e risalire la china. Il problema di Gentiloni-Renzi oggi è dare una risposta decisiva e convincente a disoccupazione, tasse e migranti, sui quali l’Italia è costretta a muoversi senza il sostegno e la benedizione dell’Europa. Tre grandi temi irrisolti che portano carburante elettorale alla destra e al populismo e fanno terra bruciata attorno alla sinistra, a corto di idee e prigioniera di vecchi schemi. Senza una svolta coraggiosa e dolorosa sarà anche difficile evitare in autunno le clausole di salvaguardia, a partire dall’aumento dell’Iva.

Il salvataggio delle banche venete peserà come un macigno sulle casse dello Stato. Il populismo avrà gioco facile a rintuzzare gli argomenti quando si tornerà a parlare di sacrifici e tagli. La fragilità della ripresa, le sofferenze e la debolezza economica della classe media complicano il cammino del governo italiano, ingabbiato dalle ganasce europee, sempre più stringenti alla vigilia delle elezioni in Germania. Non sarà facile venirne fuori con il debito pubblico che continua a crescere, con la percezione della recessione ancora soffocante in larghi strati della popolazione e nel Sud. Ma qualcosa ci dovremmo pur inventare per porre fine a quell’incubo dell’altra notte. Salvini, Grillo, Berlusconi, Speranza, Bersani, Renzi, tutto questo potrebbe non bastare: è possibile che non ci sia altro da offrire ai poveri elettori? 

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