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Il riscatto laurea è inaccessibile per i dipendenti anche quelli pubblici a causa del costo proibitivo, 6.123 euro all’anno, negando un diritto.


Il riscatto della laurea ai fini pensionistici rappresenta, sulla carta, un’opportunità per valorizzare il percorso formativo e anticipare l’accesso alla pensione. Tuttavia, per molti lavoratori del pubblico impiego, questa possibilità resta un miraggio, schiacciata da costi spesso fuori portata. Una situazione che solleva interrogativi urgenti in termini di equità, giustizia sociale e accesso ai diritti previdenziali.

Un sistema teoricamente utile, ma economicamente inaccessibile.

Il riscatto della laurea consente di convertire gli anni universitari in anni contributivi validi ai fini della pensione. È disponibile sia per i lavoratori del settore privato che per quelli pubblici. Tuttavia, i costi legati a questa operazione possono diventare proibitivi, in particolare per chi percepisce una retribuzione media o bassa.

Le modalità previste dalla normativa sono due: il riscatto ordinario, calcolato in base a età, anzianità contributiva e stipendio, e il riscatto agevolato, che propone un costo fisso annuale calcolato sul minimale contributivo degli artigiani e commercianti. Per il 2025, tale costo ammonta a circa 6.123,15 euro per ogni anno da riscattare. Un importo che, seppur più basso rispetto al riscatto ordinario, rimane comunque impegnativo, specie per chi deve riscattare più anni.

Il pagamento può essere effettuato in un’unica soluzione o in un massimo di 120 rate mensili, senza interessi. Eppure, anche la possibilità di rateizzazione non elimina il problema alla radice: la cifra complessiva resta troppo alta per molti. Una contraddizione stridente con il principio di equità che dovrebbe reggere ogni sistema pensionistico pubblico.

Il paradosso: un diritto riconosciuto, ma non garantito.

Ci troviamo di fronte a un paradosso: il riscatto della laurea è riconosciuto dalla legge, ma nei fatti risulta inaccessibile a una larga parte dei lavoratori. È come se un diritto esistesse solo per chi può permetterselo. Questo produce una discriminazione silenziosa e sistemica: chi ha potuto permettersi una formazione universitaria, e ha scelto il servizio pubblico come missione lavorativa, si trova ora a dover rinunciare a un beneficio previsto, semplicemente perché il costo è eccessivo.

Per i dipendenti pubblici, il riscatto della laurea può fare la differenza tra una pensione dignitosa e una penalizzante. Può significare un’uscita anticipata dal mondo del lavoro o un aumento dell’importo dell’assegno mensile. Negare questa possibilità a causa dei costi, significa frustrare le aspettative di chi ha investito nel proprio futuro e in quello del Paese.

Una questione di equità intergenerazionale e sociale

Nel dibattito sulle riforme previdenziali e sulle agevolazioni per determinate categorie di lavoratori, troppo spesso il riscatto della laurea viene relegato in secondo piano. Eppure, è un tassello fondamentale del sistema. Il riscatto non dovrebbe essere considerato un’opportunità di cassa per lo Stato, ma un investimento sul capitale umano, che premia il merito e riconosce la centralità della formazione.

Rendere il riscatto accessibile non è solo una questione economica, ma etica e politica. È un dovere delle istituzioni garantire che i diritti siano realmente esercitabili da tutti, non solo da chi dispone delle risorse necessarie.

Serve un’azione concreta da parte delle istituzioni

È urgente che INPS e Governo affrontino seriamente la questione. Le possibili soluzioni non mancano:

• Maggiore detraibilità fiscale del costo del riscatto;

• Agevolazioni specifiche per i redditi più bassi;

• Fondi di sostegno dedicati ai lavoratori pubblici;

• Semplificazione burocratica delle procedure;

• Campagne informative chiare e trasparenti, che aiutino i lavoratori a comprendere vantaggi, costi e modalità.

La pubblica amministrazione non può permettersi di perdere professionalità e competenze perché non è in grado di valorizzarle. La tutela della previdenza dei dipendenti pubblici è una questione di dignità e di giustizia, ma anche di funzionalità dello Stato stesso.

Conclusioni

Il riscatto della laurea, così com’è oggi strutturato, non è realmente un diritto universale, ma un privilegio per pochi. In un sistema pensionistico moderno, ispirato a criteri di equità e inclusione, non può esserci spazio per discriminazioni basate sulla possibilità economica. È tempo che le istituzioni ascoltino la voce dei lavoratori e adottino misure concrete per correggere questa stortura. Solo così sarà possibile garantire un futuro previdenziale più giusto e sostenibile per tutti, a partire da chi ha scelto di servire lo Stato con competenza e dedizione.

Dario Giannicola (presidente Nazionale ASSAPLI – Associazione Appartenenti alla Polizia Locale Italiana, avvocato)

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