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Il porto di Bari

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Altre sette condanne che si aggiungono alle 22 già comminate in appello, un nuovo colpo è stato inferto al clan Capriati. Ieri, il Tribunale di Bari ha emesso le sentenze di primo grado, le pene vanno dai 13 mesi ai sette anni, due le assoluzioni. Il processo scaturisce dall’operazione della polizia che avrebbe svelato come la cosca criminale di Bari Vecchia riuscisse a controllare il porto barese.

Nell’indagine vengono ipotizzati, a vario titolo, i reati di estorsioni nei confronti di alcuni commercianti, falso e truffa ai danni della società «Ariete» che gestiva i servizi nel porto del capoluogo pugliese e traffico di droga. In particolare i giudici hanno condannato Sabino Capriati, figlio del boss Filippo, alla pena di 13 mesi e al pagamento di 500 euro di multa per truffa, per essersi in «più occasioni assentato dal luogo di lavoro».

Assolti coloro che secondo l’accusa lo avevano aiutato, «perché il fatto non costituisce reato». Stando alle indagini della polizia, coordinate dal pm Fabio Buquicchio, il clan aveva assunto di fatto il controllo del servizio di assistenza e viabilità all’interno del porto di Bari, potendo contare su dipendenti compiacenti. Tra gli imputati condannati c’è un ex funzionario dell’Agenzia delle Entrate, Emanuele Pastoressa (1 anno e 10 mesi di reclusione), accusato di truffa per aver prospettato una verifica fiscale ad un imprenditore se non avesse pagato 50 mila euro al clan.

La condanna più alta, a 7 anni, per reati di droga con esclusione dell’aggravante mafiosa, è stata inflitta nei confronti di Mario Ferrante. Oltre lui altri tre imputati sono stati condannati per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti: Carmelo Recchia (4 anni e 7 mesi), Vito Antonio Cutrofo (4 anni) e Fabio Colasante (1 anno e 4 mesi).

L’unica donna imputata, Nunzia Loseto, è stata condannata alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione per estorsione a un commerciante. I giudici hanno inoltre condannato Sabino Capriati al risarcimento danni nei confronti della cooperativa Ariete e dell’Autorità portuale.

Nell’ambito dello stesso procedimento sono già stati condannati in appello con il rito abbreviato altri 22 imputati, tra i quali il boss Filippo Capriati (20 anni di reclusione), padre di Sabino, e suo fratello Pietro (10 anni e 8 mesi), nipoti dello storico capo clan Antonio.

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