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di PIERO QUARTO
MATERA – «La necessità di rivedere l’intero sistema dei 17 Ospedali lucani nella consapevolezza che l’Asm di Matera che aggrega l’ex Asl 4 e 5 è quella che vanta un maggiore disavanzo nei conti e la necessità di limitare queste perdite strutturali che vengono ereditate dal passato».
Il consigliere regionale del Pd Giuseppe Dalessandro affronta a tutto campo i temi d’attualità politica che riguardano Matera e la sua provincia in un’ottica più complessiva. Dalle proteste mai sopite per i pericoli dell’Ospedale di Tinchi alle emergenze del lavoro e del territorio di cui la Regione dovrà occuparsi a settembre alla ripresa dell’attività politica, fino ai problemi politici interni al Partito Democratico che hanno prodotto soprattutto a Matera una situazione di oggettiva difficoltà la cui prospettiva, in vista dei congressi, sarà tutta da definire.
Dalessandro affronta tutti quanti questi argomenti, dando una linea di interpretazione delle prossime scadenze regionali e politiche ed indicando anche alcune necessità sulle quali puntare nelle future scelte politiche regionali.

Come mai la sanità lucana non riesce a trovare, soprattutto sul fronte di Tinchi, una sua via d’uscita che accontenti le popolazioni e preservi le esigenze strutturali della Regione?
«E’ indubbio che il fermento che anima quel mondo risente del clima e delle scelte imposte dal governo nazionale il quale non si è limitato a stabilire i tagli che pure sono consistenti. Il governo ha indicato con chiarezza quali sono i settori in cui incidere, pena il commissariamento.
Che il sistema sanitario lucano vada rivisitato nel suo complesso credo sia una necessità inderogabile. In una piccola regione come la nostra diventa insostenibile mantenere tutte quelle strutture ospedaliere».

Da cosa nasce però il caso Tinchi?
«Ritengo che sia stato eccessivamente enfatizzato e direi strumentalizzato, perchè non esiste un caso specifico ma la necessità di non considerare tutti i nosocomi come ospedali per acuti e quindi pensare a interventi di riconversione che assegnino un ruolo specialistico a quell’ospedale. Nessuno ha detto di chiudere Tinchi, ma sul fatto di individuare servizi sanitari che diano più dignità alla struttura stessa attraverso una serie di interventi specialistici credo sia opinione condivisa.
Tinchi ha un ospedale che necessita di essere riempito di contenuti di qualità».
Come mai Matera continua a soffrire di una strana sindrome rispetto alle scelte regionali e si sente spesso trascurata e dimenticata?
«Questa sindrome è curata ad arte da chi non ha a cuore il territorio. La nostra è una regione molto piccola e non esiste un problema di Matera o della provincia di Matera. Dobbiamo lavorare tutti insieme in ottica generale affinché ogni territorio possa essere attraente.
Su Matera ci sono stati una serie di malintesi. Per i Piot non si era compreso che l’importo assegnato era una prima anticipazione del 54 per cento. Per i bandi industriali bisogna tener conto che la graduatoria riguarda le manifestazioni di interesse e che al momento della verifica dei progetti esecutivi la graduatoria subirà delle modifiche. Anche su questo comunque c’è un impegno a cercare altre risorse per almeno altri 30 milioni di euro».

Che ne pensa invece dell’investimento di Geogastock di cui si sta tanto parlando?
«E’ un progetto che può dare opportunità al territorio e la Regione non può farsi sfuggire l’occasione di un investimento da 150 milioni di euro. La Basilicata si appresta a rendere un grande servizio al Paese perchè i depositi dovranno contenere 800 milioni di metri cubi di gas, che rappresentano il 20 per cento della riserva nazionale. Credo che i 3 milioni di euro che saranno sborsati ai tre Comuni coinvolti come compensazione ambientale non siano proporzionali all’ennesimo sacrificio che ci viene chiesto. La Regione dovrà cimentarsi per guadagnare una compensazione adeguata e non escludo che si possa chiedere una parte del gas che viene stoccato da distribuire alle aziende della Valbasento a prezzi ribassati».
A Matera però le ultime vicende descrivono un partito diverso in cui sembrano quasi esserci delle “bande armate” contrapposte?
«Nel partito non ci sono le “bande armate” ma ci sono gruppi di potere e questo potrebbe anche andar bene se fosse finalizzato a risolvere i problemi della gente. Spesso però non è così perchè il potere viene utilizzato per consolidare il potere stesso, e quindi bisogna fare in modo che la politica si riappropri del suo ruolo».

Verso i congressi qual è il futuro nel Pd, basterà l’unificazione ventilata da più parti della mozione Bersani?
«Non è più un problema di mozione e di unificazione di mozioni. Nel partito necessita riappropriarsi della capacità di indignarsi di fronte a fatti che a volte travalicano i confini dell’etica e della morale. L’unificazione risulterà vana se non è finalizzata a condividere un progetto comune che metta al primo posto l’interesse collettivo. Oggi chi chiama in causa Roberto Speranza è ingeneroso perché a lui abbiamo consegnato un partito che è ancora allo stato embrionale, al cui interno vi sono culture e storie diverse che stentano ad aggregarsi su temi importanti e sui problemi della società di oggi. Si è preferito fare prove di forza per conquistare potere e postazioni e il tesseramento fatto proprio con queste finalità vanifica gli sforzi di chi vuole costruire un partito.In questo contesto Speranza ha fatto miracoli».

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