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I dati Istat sulla lettura dei libri confermano che la Basilicata è l’ultima della classe per quanto riguarda acquisto, possesso e lettura. Sono sempre stato scettico intorno alle statistiche, anche perché mi pongo da sempre problematiche complesse come “cosa” si legge, “in che modo”, con quale metodo e a quale scopo. Una società migliore non è per forza una società che compra più libri, anche perché i libri bisogna leggerli, e poi capirli, anche se il tema del capire è eminentemente filosofico, e non è facile da definire. Condivido però lo sgomento espresso ieri da Paride Leporace intorno ai dati Istat che, pur non essendo un assoluto, sono comunque una traccia indicativa della eccessiva lentezza, apatia, rassegnazione e indifferenza dei lucani. Leggere significa essere curiosi del mondo e delle idee, mentre non leggere significa essere meno curiosi, ovvero convinti che leggere non serva, che se ne possa fare a meno, perché tanto le cose non migliorano, la cultura non serve, leggendo non si diventa più ricchi, e quindi tanto vale pensare al proprio reddito e alla propria famiglia, ovvero al proprio “particulare”. Le cose, invece, non stanno così: curiosità e velocità significano più libertà e più crescita economica; non essere curiosi, invece, significa essere spettatori passivi, uomini senza pensiero, custodi di luoghi comuni e di rassegnazioni aggressive, e quindi motivo di impoverimento sociale ed economico. Si dice: la gente ha altro a cui pensare. Peccato che quell’altro assai spesso lo si pensi male, perché senza cultura anche i problemi si risolvono peggio, magari cercando a destra e a manca “deus ex machina”, salvatori a cui delegare (superstiziosamente) la propria vita. Non voglio ulteriormente girare il coltello nella piaga della totale incapacità della politica di ideare, programmare e realizzare uno straccio di politica culturale, in specie per quanto riguarda la promozione del libro nella larghe fasce deboli e demotivate della società lucana. Ma qualcosa va rivisto. Per esempio mi chiedo: l’assessore alla cultura della Regione Basilicata Rosa Mastrosimone come commenta questi dati Istat? E cosa intende fare per toglierci di dosso questa brutta maglia nera? E ha la Mastrosimone gli strumenti culturali e l’esperienza intellettuale e il carisma politico per affrontare degnamente questa grande questione? A meno che, ma ne dubitiamo, non ci sia un piano occulto per accrescere l’ignoranza in Basilicata, perché la cattiva politica, quasi sempre, nasce e cresce proprio sull’ignoranza diffusa. Io, se fossi al suo posto, avrei avuto, a leggere i dati Istat, un moto di vergogna e di orgoglio, e mi sarei subito messo a pensare qualcosa, a inventarmi delle iniziative (questo, credo, l’avrebbe fatto chiunque). La Mastrosimone, invece, no. Come mai? A cosa pensa tutto il giorno? E cosa ha fatto la Mastrosimone in quest’anno di lavoro alla Regione? Siamo felici che sia diventata assessore regionale, e che abbia coronato dopo mille peripezie e trasmigrazioni il suo sogno personale. Ma adesso? Avrebbero permesso alla Regione Lombardia o del Lazio un simile dilettantismo e una simile apatia in materia di programmazione e di ideazione culturale? Qualcosa va fatto e ripensato, e in fretta. Magari strigliando un po’ quei tanti professori e professoresse di scuola media e delle superiori che insegnano come timbrando il cartellino all’ufficio catasto, e che se ne strafregano di creare momenti culturali extracurriculari nelle loro scuole, come invece accade in tutta Italia. Signora Mastrosimone, con la cultura non si prendono voti, lo sappiamo bene, ma, un po’, almeno, aiuta salvare la faccia. Si muova e pansare qualcosa, la supplichiamo. Non è mai troppo tardi nemmeno per lei.

Andrea Di Consoli

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