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La diga di Senise

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POTENZA – C’è una storia che è tutta da raccontare qui in Basilicata. Una storia che si nutre di anni e anni di clientele, di enti che sembrano nati più per sistemare personale che per offrire un servizio. E più le clientele crescevano, più si moltiplicavano gli enti regionali e sub regionali, le società partecipate, gli enti di diritto privato controllati, gli enti interregionali e i Consorzi.

Enti spesso con funzioni sovrapposte, che negli anni si sono caricati di debiti, qualcuno è stato messo in dismissione, per qualcun altro si prospetta una liquidazione non senza strascichi gravi su personale e aziende private fornitrici.

Ci sono poi enti nati con un intento positivo, ma che negli anni si sono egualmente trasformati in un enorme problema. E’ il caso dell’Ente irrigazione di Puglia, Lucania e Irpinia (Eipli), un ente nato nel 1947 nell’ottica di una collaborazione tra regioni per la gestione e manutenzione delle opere e come fornitore all’ingrosso di acqua non trattata per uso potabile, irriguo e industriale in Puglia, Basilicata, Calabria e Campania.

Un Ente trasformatosi in uno dei tanti “carrozzoni” che questa regione si tira dietro da anni senza essere capace di mettere definitivamente la parola fine.
L’Ente è di fatto commissariato dal 1979: la gestione clientelare, insieme al mancato pagamento della fornitura idrica da parte di molti dei destinatari, ha fatto crescere i debiti di anno in anno. L’enorme mole debitoria accumulata negli anni ammonta a circa 67 milioni di euro. Così l’Ente è stato condannato dai giudici contabili per danno erariale, è stato soppresso e posto in liquidazione dal 2011.

Eppure i suoi dipendenti – 150 secondo i sindacati – sono ancora lì a prestare ogni giorno servizio: ci sono da gestire sette dighe, «con impianti spesso vetusti e che necessitano interventi».
Una situazione paradossale, una trappola per chi ci si trova coinvolto. «L’ente è in liquidazione – spiegano Sabbatella (Fp Cgil), Bollettino (Cisl Fp) e Rosa (Uil Pa) – e i lavoratori non hanno diritti».

«Abbiamo provato – continuano – a parlarne con la parte politica, siamo andati dall’Ente vigilante, il ministero dell’Agricoltura, abbiamo più volte incontrato la commissaria ma nulla si muove. La “precarietà” all’Eipli riguarda tutti perché, essendo in liquidazione, non c’è progettualità, c’è solo un vivere alla giornata».
Da dieci anni ormai si attende la costituzione della società che dovrebbe occuparsi delle attività attualmente svolte dall’Ente. «Le voci della costituzione della nuova società, di cui pare sia pronto Dpcm e statuto – spiegano i sindacalisti – corrono da anni, ma quando si arriva al “dunque” tutto si ferma. Peccato che questa “indecisione” ricada sui circa centocinquanta dipendenti dell’ente, tra lavoratori a tempo indeterminato e determinato».

«I tempi indeterminati non hanno mai fatto progressioni di carriera e non hanno mai percepito la produttività. I tempi determinati, pur avendo ampiamente superato i 36 mesi, non posso essere stabilizzati perché l’ente è in liquidazione. Per non parlare delle condizioni in cui operano: turni stressanti perché i lavoratori sono pochi e molti stanno andando in pensione, le sette dighe che gestiscono hanno impianti spesso vetusti e che necessitano di interventi».

Una situazione congelata, con ripercussioni continue anche sulle retribuzioni: al momento – spiegano i sindacati – non risulta pervenuta la mensilità di gennaio. Ma il problema non è tanto questo, quanto una questione di prospettiva: «Siamo vicini al baratro. In questa fase così difficile del nostro Paese l’Eipli si trova con un commissario, che ha terminato il suo mandato ed è in prorogatio e un direttore che sta andando in pensione, perché la selezione, dopo una serie di contenziosi e verifiche, non ha dato ancora i suoi esiti».

Di qui l’invito «alla politica, nazionale e regionale» a trovare una veloce soluzione. «Si mettano da parte gli interessi personali – continuano i sindacati – e si trovi una soluzione per questi lavoratori che ci garantiscono, ogni giorno e solo con i propri sacrifici, che arrivi l’acqua nelle nostre case, nei nostri campi e in tutte le unità produttive».

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