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Il Centro Olio Val d'Agri a Viggiano (PZ)

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I pm acquisiscono lo scritto indirizzato a carabinieri e Ministero: al suo interno accuse pesanti per i manager della compagnia

POTENZA – Le prime fuoriuscite di greggio dai serbatoi del Centro olio dell’Eni di Viggiano sarebbero avvenute nel 2012. Ma «per ordini superiori» sono state «nascoste», per non dover fermare la produzione, fino a gennaio di quest’anno, quando un affioramento casuale nelle vasche del depuratore del Consorzio industriale ha portato alla scoperta di almeno 400 tonnellate di greggio colate nel terreno tra l’impianto e la falda acquifera sottostante.

La lettera-testamento dell’ex responsabile del Centro olio di Viggiano morto suicida nel 2013

E’ quanto emerge dalla lettera-testamento indirizzata nel 2013 da un ingegnere 38enne della provincia di Cuneo, Gianluca Griffa, ex responsabile di stabilimento del Centro olio, ai carabinieri di Viggiano e agli ispettori di polizia mineraria (Unmig) del Ministero dello sviluppo economico, poco prima di suicidarsi.
Nelle scorse settimane i pm della Procura di Potenza hanno acquisito il documento nel fascicolo dell’inchiesta, tuttora aperta, sulle attività di Eni in Val d’Agri, per cui avevano disposto di sentire tutti i dipendenti che si sono avvicendati in Basilicata negli ultimi anni, e raccogliere informazioni sulle loro attuali condizioni di salute.
Al suo interno Griffa motiva il gesto compiuto come la conclusione di «vari tentativi falliti di far convergere l’azienda a più miti consigli» sulla gestione dell’impianto di Viggiano, riducendo la produzione se non fermandola del tutto per avviare una serie di verifiche sulle criticità esistenti.
A preoccuparlo, infatti, erano proprio i livelli eccessivi di corrosione dei serbatoi, ma anche le «perdite di processo» di sostanze pericolose utilizzate in una delle due linee di trattamento del gas estratto assieme al greggio, che tornerebbero in circolo senza possibilità di eliminarle e smaltirle regolarmente.
A distanza di 3 anni proprio la presenza di sostanze pericolose tra i reflui inviati in parte al pozzo Costa molina 2, nel comune di Montemurro, per essere reiniettati in profondità, e in parte in vari depuratori sparsi per mezza Italia, è finita al centro dell’inchiesta dei pm di Potenza su un presunto traffico illecito di rifiuti tra altri dirigenti della compagnia e i responsabili degli impianti di smaltimento. Più di recente, inoltre, lo stesso problema ha portato alla sospensione, da parte della Regione, dell’autorizzazione alla reiniezione, in attesa di chiarimenti da parte della società.

I pm acquisiscono lo scritto indirizzato a carabinieri e Ministero: al suo interno accuse pesanti per i manager della compagnia

All’epoca, però, l’ingegnere era convinto che «se fosse emerso il problema all’esterno» sarebbe stato considerato lui l’unico responsabile. Per questo si biasimava per non essere riuscito a convincere i suoi capi, a Viggiano e a Milano, di rallentare le attività, e nella sua lettera arriva a paragonarsi al capitano della Costa Concordia, Francesco Schettino, che davanti al naufragio della sua nave non ha trovato la forza di fare quello che avrebbe dovuto.
Griffa descrive un primo incontro avvenuto in Val d’Agri a febbraio del 2013, alla presenza dei dirigenti locali della compagnia e di altri inviati dalla sede centrale, in cui il suo tentativo di portare «allo scoperto» le questioni esistenti sarebbe stato stoppato bruscamente. Per tutti gli altri, infatti, l’obiettivo era aumentare la produzione, confidando che una volta entrata in funzione la seconda linea di trattamento del gas «i problemi si sarebbero risolti da soli». Poi però aggiunge di non essersi lasciato scoraggiare e di aver imposto «in 2-3 occasioni» ai tecnici che riducessero la portata dell’impianto all’insaputa dei capi. Salvo scoprire che non appena si assentava venivano ripristinate le vecchie impostazioni, per poi sentirsi dire che con le sue preoccupazioni sullo stato dei serbatoi metteva solo «ansia nel sistema». Quindi: ferie forzate; rimozione dall’incarico; e convocazione a Milano con la prospettiva di una «missione all’estero»; dal sapore quantomeno punitivo.
Nella sua lettera il giovane ingegnere annunciava comunque l’intenzione di sfruttare la convocazione nella sede di Eni, il 22 luglio del 2013, per ribadire le sue perplessità sulla situazione di Viggiano. Ma non ha scritto quale sia stata la risposta dei suoi interlocutori, e 4 giorni più tardi ha fatto perdere le sue tracce nei boschi nei dintorni del suo paese.

 

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