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Mario Polese

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POTENZA – No ai tatticismi di chi vorrebbe rinviare il nuovo congresso regionale a tempi migliori, per provare a sovvertire i rapporti di forza in campo mantenendo, nel frattempo, il proprio ruolo istituzionale. E poco importa se per qualche mese, non di più, a guidare il Partito democratico sarà un reggente nominato dall’assemblea regionale o un commissario mandato da Roma. 

Rivendica la scelta di dimettersi dalla segreteria regionale del Pd, Mario Polese, dopo l’ultima clamorosa sconfitta alle comunali di Potenza. Ma a un mese dall’annuncio non rinuncia a pungolare l’ormai ex partito-regione, e prova a intestarsi la guida dell’area di fedelissimi dell’ex premier Matteo Renzi, pronta a riprendersi la scena non appena il neo-segretario nazionale Nicola Zingaretti  avrà esaurito il suo ruolo di «transizione». 

Polese non fa espressamente il nome della segretaria provinciale di Potenza, e nemmeno del presidente dell’assemblea regionale Vito Giuzio, che elogia per il passo indietro compiuto. Ma è evidente nelle sue parole il riferimento alla margiottiana Maura Locantore, che nei giorni scorsi ha incontrato i responsabili dei circoli del potentino per definire la richiesta, quella di un commissario che lavori per far ripartire le attività del partito comune per comune, da portare nell’assemblea regionale di questa sera. 

Il giovane consigliere regionale, che nei giorni scorsi è stato a Montecatini assieme a Marcello Pittella, Vito De Filippo e lo stesso Salvatore Margiotta, alla riunione dell’associazione Base riformista di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, non nomina nemmeno lo zingarettiano Vito Santarsiero, che pure nelle scorse settimane aveva spinto per un commissariamento “lungo”. Ma è a lui che si riferisce quando difende anche la decisione di sostenere fino all’ultimo Pittella e la sua aspirazione a un bis come governatore, dopo l’arresto avvenuto proprio in questi giorni, un anno fa. Fino a mettere in dubbio che «scelte diverse» avrebbero potuto realmente portare a un esito diverso dalla clamorosa sconfitta alle regionali.  

Consigliere Polese, è trascorso poco meno di un mese dall’annuncio delle sue dimissioni dalla segreteria regionale del partito, e venerdì scorso ha formalizzato la sua decisione in assemblea regionale davanti a quanti l’hanno sostenuta al congresso di dicembre del 2017. Ne nomino alcuni in ordine sparso: Marcello Pittella, Luca Braia, Salvatore Margiotta, Vito De Filippo, Roberto Cifarelli, Achille Spada, Vincenzo Robortella, Carlo Chiurazzi. Non pensa di aver tradito la loro fiducia?

«Assolutamente no. Sono stato leale con la mia maggioranza fino alla fine senza per questo mortificare il pluralismo. Le elezioni dei due segretari provinciali anche con congressi di rottura e alla fine senza competitors e quella del presidente del partito, che con atto nobile ha scelto di rimettere il suo mandato, sono l’emblema di una intesa mantenuta con coerenza. Questo ovviamente è accaduto anche negli assetti di governo e nelle candidature alle competizioni passate». 

In questi giorni quante volte le è capitato di ripensare a questo anno e mezzo appena trascorso?

«Sempre. E’ stato il periodo più intenso della mia vita per motivi personali e per motivi politici. Sarebbe assurdo dimenticarlo. Ora però si apre una nuova stagione per la mia vita politica e istituzionale. Svolgo il ruolo di vicepresidente del Consiglio. Resto un appassionato iscritto al Pd e ho un rinnovato entusiasmo nei confronti di Base riformista. Sono reduce da un’esperienza a Montecatini che mi ha ridato linfa e vitalità per fare politica sui territori e tra la gente con azioni mirate, e non solo con una opposizione costruttiva, ma anche nell’elaborazione di un nuovo pensiero liberale all’interno delle forze riformiste italiane e lucane». 

Rimpianti?

«Mi dispiace non aver potuto portare a termine quanto previsto nella mozione congressuale in tutti i suoi aspetti. Soprattutto quelli più organizzativi relativi al partito, ma purtroppo le vicende politiche così drammaticamente straordinarie hanno occupato gran parte delle mie giornate con il rincorrersi delle scadenze elettorali e congressuali, circa 10 tornate in 18 mesi. E’ stato quasi impossibile programmare. Certo questo sarebbe potuto essere il momento giusto, ma come ribadito all’atto delle mie dimissioni, credo sia giusto lo facciano altri visto che ritengo chiusa una fase politica». 

Tra gli errori compiuti ce n’è qualcuno che si sente di rivendicare comunque, al di là di calcoli e ragionamenti su carriere politiche e fortune di partito?

«Apparirei più arrogante di quanto mi descrivono (ride ndr) se ritenessi di non aver commesso errori. Ma scherzi a parte credo di aver agito sempre nell’interesse di una comunità politica e mai in dispregio di quelli che sono i valori del Partito democratico. Poi tutti possono sbagliare e sicuramente è successo anche a me. Francamente però non ho ne rimorsi ne particolari rimpianti. Credo di aver agito con estrema coerenza e linearità e sì, non cambierei nulla di quello che ho fatto dal primo giorno da segretario fino all’ultimo». 

Se un lucano tornasse a casa dopo aver trascorso questo periodo nello spazio come gli racconterebbe quello che è accaduto, col centrosinistra sconfitto alle politiche  del 2018, e più di recente alle regionali, per la prima volta in assoluto, alle europee e alle amministrative, che hanno consegnato il capoluogo a un sindaco della Lega?

«Può apparire retorico partire da Trump ed ovviamente in parte ci sono i nostri errori ma davvero se non si comprende quello che è il quadro internazionale si fa fatica a percepire perchè anche a Potenza città abbia vinto la Lega. E’ evidente che la globalizzazione ha creato un mondo in cui molte persone non stanno bene. E quando le persone non stanno bene prediligono la semplificazione di un messaggio autoritario e sovranista, “prima gli italiani”, “prima i lucani”, “prima i potentini” rispetto ad una più articolata e complessa proposta che è quella delle forze liberali e progressiste. La prima appaga nell’immediato come quando a stomaco vuoto si preferisce un lauto pranzo senza pensare al domani mentre la seconda è una dieta che non sazia nell’immediato ma nel tempo con un rinvigorimento complessivo. Io aspetto con ansia questo tempo». 

E a uno dei pochi elettori rimasti fedeli al Pd che direbbe per provare a dare un senso alla sua improvvisa solitudine?

«Non credo siano così pochi i nostri elettori se il Pd è la seconda forza del Paese. Io credo semplicemente che ci sia una ciclicità. Oggi viviamo una fase intermedia, perchè non possiamo nascondere il fatto che Zingaretti sia un segretario di transizione e attendiamo tempi migliori dove su politiche riformiste più radicali e forze fresche potremmo costruire una forza progressista e riformista vincente».

Dopo Polese arriverà il diluvio per i democratici lucani? La sua proposta di un congresso in tempi record pare già archiviata ma senza un accordo sulla scelta di un traghettatore, che potrebbe essere il vicesegretario in carica Carmine Castelgrande, c’è il rischio di un commissariamento da Roma. Se ne riparla del 2020, magari dopo la riunione con gli ex fuoriusciti di Roberto Speranza, o riuscirete a mettervi d’accordo già nell’assemblea regionale di questa sera?

«Non spetta a me dettare la linea politica di questo partito perchè se avessi voluto farlo avrei continuato a fare il segretario regionale, avevo numeri stabili per continuare. L’ho detto con convinzione: si è chiusa una fase politica e si deve aprire un nuovo ciclo. Penso sia inevitabile che se si auspica una nuova stagione gli interpreti debbano essere altri o quantomeno emergere attraverso un nuovo congresso, un meccanismo di partecipazione collettiva e corale, come quello del dicembre del 2017, che è stato l’ultimo vero momento di popolarità dal 2014 ad oggi. E mi rammarica che ci sia chi lo disconosca con la strumentale scusa della sconfitta alle politiche. Potrei ribattere che Polese non era candidato. Ma è davvero sterile disconoscere la bontà delle primarie salvo poi invocarle quando fa più comodo o peggio quando sono funzionali ai propri interessi, spostandosi di qua o di la per sopravvivere politicamente. Tornando a oggi, si trova una soluzione per una persona che possa traghettare il partito fino al congresso? Bene. Non si trova? Sono fiducioso che il partito nazionale possa mandarci una persona super partes che possa guidare il Pd lucano nella migliore maniera fino al congresso, il prima possibile. Un congresso inevitabile, che lo Statuto ci impone e non si trovino cavilli o regolette per non ridare la parola ai nostri elettori e salvaguardare il proprio scranno. Non funziona e si resta soli».

Quindi perché il Centro sinistra è crollato in Basilicata, quali errori sono stati commessi?

«Ha perso per le lotte intestine, perché nonostante gli sforzi non tutti i provvedimenti amministrativi hanno colto nel segno, perché alcune azioni non sono state radicali come dovevano, per non aver saputo comunicare le cose fatte perché siamo più bravi nelle piazze dei comuni dove continuiamo a vincere rispetto a quelle virtuali, per l’assenza del partito negli anni cruciali ed anche per le congiunture nazionali e internazionali».

Non pensa che la storia, quella scritta dai vincitori, consegnerà a Polese e Pittella, non necessariamente in quest’ordine, il classico cerino in mano?

«Non credo che le responsabilità siano di Tizio piuttosto che di Caio. Io mi prendo parte della responsabilità, anche oggettiva, per la funzione che ho svolto. Del resto casi analoghi in Italia sono stati tantissimi in questi anni. E’ un vento che non si ferma con le mani e penso che anche scelte diverse avrebbero prodotto analoghi risultati. Anzi credo che la fiducia di 100.000 lucani sia un dato di non poco conto. Ma tant’è. In ogni caso è chiaro che si apre una fase nuova e vedremo se altri sapranno fare meglio in Italia come in Basilicata».

Il momento più brutto della sua esperienza alla guida del partito è stato il giorno dell’arresto di Pittella, il 6 luglio dell’anno scorso?

«Questo francamente è stato uno dei momenti più brutti da un punto di vista umano e personale prima ancora. Sul piano politico l’arresto di un presidente di Regione per il segretario dello stesso partito è sicuramente un evento straordinariamente drammatico. Anche qui penso di aver mantenuto la barra dritta nonostante le strumentalizzazioni tra chi voleva immediatamente capitalizzare sovvertendo una maggioranza e chi voleva rimangiare una posizione politica espressa pochi giorni prima nonostante quella stessa maggioranza lo avesse eletto presidente del Consiglio regionale. Io credo di essere stato segretario leale nei confronti del mio presidente, ma credo di esserlo stato soprattutto nei confronti dei principi del Partito democratico che vedono nel garantismo un valore essenziale, anche se devo ammettere che questo viene riconosciuto solo per alcuni e non per tutti». 

Annunciando le sue dimissioni ha detto che non si può andare avanti così solo per  preservare un accordo sulla composizione delle liste per il Parlamento in caso di crisi di governo ed elezioni anticipate. Ha aggiunto che era il momento della verità e che sì, era stato garante di un patto che dalle politiche è arrivato alle scorse regionali propiziando l’elezione a Roma e in Consiglio dei suoi principali sottoscrittori. Se n’è già pentito?

«E di cosa dovrei pentirmi, della verità? La mia elezione a segretario regionale come quella di tutti i segretari regionali poneva alla base un accordo di maggioranza. Questo accordo prevedeva in primis l’elezione dei segretari provinciali e del presidente del partito come uomo di garanzia anche per le minoranze. Ovviamente l’accordo si declinava poi nella successiva costruzione di schemi politici organigrammatici che riguardavano la proiezione di candidature. Mi pare del tutto scontato e ovvio. E’ un atto di sincerità che purtroppo oggi è raro, come raro è dimettersi rispetto a chi sceglie di recitare a soggetto in fiction con più protagonisti. La verità è esattamente quella che ho descritto ma non mi vergogno perchè credo stia nelle corde della politica. Anche chi ci ha attaccato in questi mesi lo faceva esattamente perchè rivendicava postazioni maggiori negli organigrammi al di là della retorica su partecipazione, territorio e politiche. La verità è questa ed è il sale della politica e negarlo è un atteggiamento populista che non appartiene a chi sta in un partito di governo».

Renzi di recente ha dichiarato che non ci sono le condizioni per la nascita di un nuovo partito che in tanti gli chiedono, delusi dal ritorno del Pd di Nicola Zingaretti a un linguaggio che sa di vecchia sinistra. Non è che la decisione di Polese di lasciare la presa sul partito è stata determinata, in qualche modo, anche dalla volontà di avere maggiore libertà di movimento se nei prossimi mesi quelle condizioni dovessero avverarsi, e si tornasse a qualcosa di simile allo schema del centrosinistra pre-2007, col Pd – Ds e il giglio magico – Margherita?

«Io resto lealmente nel Pd e credo nei principi e nei valori fondativi ma purtroppo credo che l’esperienza straordinaria di Matteo Renzi non sia replicabile e credo anche che sia stata quella più avanzata sul piano delle riforme per il Pd. Se dovessi chiedermi quali sono stati i motivi per cui questa esperienza si è temporaneamente fermata credo che dopo le europee del 2014 avevamo bisogno di un congresso rifondativo del Partito democratico e conseguentemente dopo il referendum costituzionale sia stato un errore proseguire con il governo Gentiloni che al netto della stima per le persone si è caratterizzato per immobilismo e mancanza di coraggio riformista. Ora bisogna ispirarsi a ciò che accade in Europa, dove le forze progressiste e riformiste sono maggioranza: Pse, Ppe, Alde e Verdi. Forze liberali, progressiste, riformiste e  ambientaliste devono costruire una nuova alternativa che sia di governo e non di testimonianza. Non basta essere contro il sovranismo. Bisogna avere una proposta concreta, credibile ed appassionante. Ci manca la passione oggi».

Durante l’assemblea regionale più d’uno, come Erminio Restaino, ha parlato della necessità di evitare il commissariamento del partito per preservarne l’autonomia, per questo spingono per l’elezione di un segretario reggente. Altri chiedono il commissario per un reale cambio di passo nella gestione del Pd. Polese con chi sta?

«L’ho detto prima e lo ribadisco. Trovo che questa sia una dialettica interna abbastanza irrilevante ai fini della soluzione dei nostri problemi e soprattutto che poco interessa ai lucani. Certo, fa rammarico pensare che non ci si metta d’accordo su una figura lucana che sostanzialmente debba traghettare il partito per qualche mese fino al congresso. Niente di più. Specie perché c’è chi ci sta provando ma di contro c’è chi lavora per rompere, o peggio chi ambirebbe a questo ruolo ma nella impraticabilità del campo preferisce auspicare interventi romani. Io non vedo nulla di così drammatico se il Pd nazionale dovesse mandarci un commissario per qualche mese. A me interessa che questo partito si rigeneri quanto prima con un congresso a 360 gradi. Non possiamo più assistere a circoli governati da segretari eletti con 5 voti o commissari a vita o podestà locali padroni delle tessere da anni».

Non le pare che questo dibattito sull’autonomia del partito a livello regionale strida non poco con l’evidenza di un centrodestra che nell’ultimo anno ha vinto dappertutto, ma senza decidere nulla in assenza del via libera dei vertici della coalizione, a Roma e Milano? Penso alla candidatura di Bardi, per esempio.

«Questo è la riprova di come le sfide interne al Pd e gli eterni litigi non servano a nulla se a non indebolire un centrosinistra che non ha saputo comprendere il tempo attuale. Oggi la politica si fa anche sui social e c’è un forte sentiment di personalizzazione, piaccia o no. Salvini è diventato anche un leader locale, non solo nazionale. Per questo anche a noi serve un Pd forte a livello nazionale ed è questo il motivo perchè il centrodestra vince anche dove prima non arrivava o dove non esistono ne sezioni ne dirigenti locali». 

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