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LAMEZIA TERME – La Guardia di finanza ha sequestrato beni per un valore di 1,5 milioni di euro nei confronti dei vertici della cosca Giampà di Lamezia Terme, individuando anche due “prestanome” ed alcuni episodi di estorsione.

Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Catanzaro e riguarda disponibilità finanziarie, beni mobili ed immobili riconducibili alla potente cosca di Lamezia Terme, ma anche a due insospettabili prestanome che finora non erano stati individuati. Si tratta di Tonino Strangis, residente a Feroleto e titolare di una ditta di autobus, e di Francesco Stranges, residente a San Mazzeo di Conflenti e cognato di Vincenzo Bonaddio. Entrambi sono stati raggiunti da un avviso di garanzia.

Le indagini hanno evidenziato una sproporzione tra i redditi dichiarati e i beni posseduti. Tra i beni sequestrati ci sono alcune abitazioni lussuosamente rifinite e riconducibili ad esponenti di spicco della cosca e ai parenti stretti.

Il provvedimento ha portato ad effettuare diverse perquisizioni, mentre è stato notificato anche un avviso di garanzia per una estorsione che sarebbe stata compiuta ai danni di un imprenditore locale.

Tra i beni sequestrati dalla Guardia di finanza diretta dal tenente colonnello Fabio Bianco c’è anche una villa in montagna del capo storico del clan Francesco Giampà “il professore” e del cognato Vincenzo Bonaddio di 58 anni. Sequestrate anche le abitazioni delle famiglie dei due cognati.

Francesco Giampà è in carcere da più di 20 anni e condannato anche all’ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio del poliziotto Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano. Bonaddio dopo l’arresto del cognato ha preso il comando del clan fino all’arresto del 2012 nell’ambito dell’operazione “Medusa”. A Bonaddio sono state inflitte diverse condanne per associazione mafiosa ed estorsioni e anche all’ergastolo (pene non definitive) poiche’ ritenuto uno dei mandanti degli omicidi della guerra di mafia. Una volta confiscati i beni le famiglie dei due boss dovranno pagare il fitto allo Stato per le case in cui abitano rientranti nel sequestro di oggi.

I finanzieri hanno infatti evidenziato che l’esponente del clan aveva messo in piedi un’impresa di costruzioni per costruire una struttura economico-finanziaria che potesse giustificare il suo tenore di vita. Per questo, l’uomo avrebbe imposto ad una persona di affidargli i lavori di edificazione di un fabbricato, a costi nettamente superiori rispetto a quelli di mercato.

Secondo le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale di Catanzaro, con questo episodio è stato contestato il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

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