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CASSANO JONIO (CS) – Il pm della Dda di Catanzaro, Alessandro Riello, non c’è andato certo giù leggero. Alla fine della sua lunga requisitoria tenuta ieri mattina presso il Tribunale del capoluogo nell’ambito del processo alla ‘ndrangheta della Sibaritide, il magistrato antimafia ha invocato condanne per gli imputati per oltre cento anni complessivi.

Il procedimento scaturì dalla maxi inchiesta del febbraio 2021 denominata “Kossa” (dall’antico nome della città di Cassano), la quale portò all’arresto di affiliati di spicco alla cosca Forastefano, ritenuta egemone nel settore agrumicolo e in quello dei trasporti del territorio.

A capo del sodalizio criminale gli inquirenti individuarono Pasquale Forastefano, 34 anni, alias l’animale, per il quale, non a caso, è stata richiesta la condanna più elevata: 20 anni di reclusione. Per suo fratello Alessandro, la richiesta ammonta a 14 anni di carcere; chiesta, inoltre, la condanna a 16 anni per Domenico Massa, 12 anni per Luca Talarico, 10 anni per Agostino Pignataro, 8 anni per Giseppe Bisantis, Stefano Bevilaqua e Damiano Elia, 4 anni per Nicola Abbruzzese detto Semiasse, 3 anni e 4 mesi per Antonio Antolino e Leonardo Falbo, 2 anni e 6 mesi per Vincenzo Pesce.

Queste le condanne più imponenti sollecitate dalla pubblica accusa, mentre nei confronti degli altri imputati le richieste oscillano dai 2 ai 4 anni. Si tratta, è bene ricordarlo, di coloro che hanno scelto il ricorso al rito abbreviato chiamati a rispondere, a vario titolo, dell’accusa di associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, violenza privata, trasferimento fraudolento di valori, e truffa, tutte ipotesi di reato aggravate dal metodo e dall’agevolazione mafiosa. Le udienze davanti al giudice Antonio Battaglia riprenderanno nei mesi di gennaio, febbraio e marzo prossimi quando si terranno le discussioni della difesa.

«Una famiglia di ‘ndrangheta che aveva l’ossessione del controllo del territorio», così il procuratore capo della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri definì il clan Forastefano durante la conferenza stampa successiva all’operazione: una penetrazione quasi totalizzante nel tessuto sociale ed economico della zona, resa possibile – secondo la ricostruzione degli investigatori – anche dalla pax mafiosa stipulata con gli “zingari”, storici rivali con i quali si sono in passato contrapposti per il controllo criminale. L’operatività della consorteria criminale si sarebbe espressa subentrando direttamente nella gestione delle aziende tramite le proprie imprese di riferimento che, all’occorrenza, risolvevano le trattative sindacali con intimidazioni finalizzate a silenziare i sindacalisti che osavano sollevare obiezioni negli interessi dei lavoratori.

Contestualmente agli arresti fu disposto anche il sequestro preventivo di terreni, fabbricati, quote societarie, imprese individuali e autovetture riconducibili a membri della famiglia Forastefano o ai loro prestanome, per un valore complessivo di oltre dieci milioni di euro.

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