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Renzo Castagnini e Isabella Internò all'epoca dei funerali di Denis Bergamini

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Era il capitano di quel Cosenza che in due anni sfiorò il doppio salto dalla serie C alla A e, trenta e passa anni dopo, Renzo Castagnini è dovuto tornare con la memoria a quella stagione calcistica indimenticabile, esplorandone però il capitolo più triste: la morte del suo compagno di squadra Donato Bergamini.

Lo ha fatto da testimone, convocato anche lui sulla scena del processo contro Isabella Internò, l’ex fidanzata di Denis oggi accusata di omicidio premeditato e volontario. Isabella, la ragazza di Rende che piange disperata davanti alla bara del suo amato e che riceve una carezza di conforto proprio da Castagnini; un gesto immortalato dai fotografi dell’epoca, che segna la vicinanza di un momento lontano e irripetibile. Ieri, infatti, i posti in aula assegnati a entrambi dal destino erano molto più distinti e distanti: sul banco dei testimoni lui, su quello degli imputati lei.

«Non frequentavo Bergamini fuori dal campo di gioco – ha ricordato l’ex centromediano oggi 66enne – e più in generale non frequentavo i calciatori scapoli, essendo già sposato e con una figlia. Sapevo che lui e la Internò erano fidanzati, ma non ho mai parlato con loro di questioni relative al loro rapporto. Li vedevo come due ragazzi giovani che stavano insieme e basta».

Gli inquirenti lo hanno sentito una prima volta nel 1989, a ridosso della tragedia; poi nel 2012 e ancora nel 2017, periodo in cui è stato anche intercettato. Sul dramma di Roseto, però, Castagnini ha sempre avuto ben poco da dire, e ieri non ha fatto eccezione alla regola, tanto da sottrarsi persino alla domanda più ricorrente del processo, quella che il pm Luca Primicerio propone a un po’ tutti i testimoni interpellati: «Che idea si è fatto della morte di Bergamini? Ritiene possibile che si sia suicidato?». Risposta: «Non compete a me farmi un’idea, non mi piace giudicare».

Le “chiacchiere dei giornali” però, quelle neanche lui ha potuto ignorarle. E così, nel 2017 a colloquio con gli investigatori, un’idea al riguardo mostra di essersela fatta, un pensiero che ha rinverdito ieri in aula: «Pensai a una disgrazia, a un gesto spericolato di Denis. Ho in mente un giorno trascorso con lui in piscina e ricordo i suoi tuffi molto temerai dal trampolino. Aveva una grande coordinazione, e lo invidiavo per questo».

Il tuffo in piscina che ritorna, la stessa rappresentazione della tragedia di Roseto fatta dalla Internò che, anche per aver sempre evocato questa immagine ritenuta inverosimile, se non impossibile, si ritrova oggi inchiodata alla croce giudiziaria. Isabella ne parlò nell’immediatezza con Castagnini? Interiorizzò questa suggestione? Un tema tralasciato da accusa e difesa che hanno seguito, invece, copioni paralleli durante i rispettivi esami e controesami.

L’aspetto emotivo in primo piano per Primicerio, ovvero l’ultimo allenamento, il giorno della morte: «Era carico e motivato – ha ribadito Castagnini – e spronava me e i compagni a vincere la partita, il giorno successivo, per tirarci fuori da una classifica non buona».

E poi, il calcioscommesse, argomento sul quale l’attuale direttore sportivo del Palermo, con un trascorso da capo scout della Juventus, ha inteso mettere le cose in chiaro: «Sono nel mondo del calcio da 47 anni, e mai nessuno si è avvicinato a me chiedendomi di alterare il risultato di una partita. Ne vado fiero».

Al riguardo, il pubblico ministero l’ha toccata piano; la difesa, invece, ha usato la scimitarra. Non a caso, l’avvocato Angelo Pugliese gli ha letto le intercettazioni di alcuni suoi compagni di squadra – il portiere Luigi Simoni in primis – che gettano sospetti in materia proprio su di lui.

«Ero in attività mentre due grandi inchieste sul Totonero facevano il loro corso senza che io sia mai stato coinvolto in alcun modo» è stata la risposta più articolata. Per il resto, a domande più esplicite, i suoi “No” secchi e ripetuti sono rimbombati più volte nel silenzio della Corte d’assise. Con le sorelle Brunella e Paola Ricci si è cambiato decisamente argomento. Titolari di un ristorante all’epoca molto frequentato da calciatori e dirigenti del Cosenza – lo “Steak house” di Laurignano – ebbero il privilegio di avere Bergamini a cena, due volte a casa e una nel locale.

Quest’ultimo episodio risale all’inizio di novembre del 1989, e il ricordo che specie una delle due sorelle ha di quella sera è di un Bergamini “pensieroso”, “triste”, “con gli occhi bassi”, quasi “assente”. L’anno precedente una di loro ci è uscita insieme un paio di volte, qualche giro in auto a Commenda, ma poi «ho saputo che era fidanzato e la cosa non è andata avanti».

Giuliana Tampieri, invece, è la donna all’epoca ventitreenne che trascorre con lui la notte del 12 novembre 1989, all’hotel Hilton di Milano dopo la trasferta del Cosenza a Monza. «Lo conoscevo da quando avevo diciotto anni, veniva con il padre a mangiare nella trattoria in cui lavoravo come cameriera. Gli piacevo, ma io non ero interessata a lui. L’ho rivisto anni dopo, a settembre del 1989, quando è venuto a trovarmi un po’ a sorpresa. Qualche mese prima era deceduto il mio fidanzatino dell’epoca e probabilmente lui lo aveva saputo».

Denis la invita in Lombardia e poi trascorre la serata con lei, parlano di argomenti leggeri e “banali” e poi prendono due camere separate. «Non ci ha provato, è stato sempre molto rispettoso. Solo dopo la sua morte ho appreso che aveva una fidanzata a Russi, ma se lo avessi saputo prima non sarei neanche andata a Monza».

Infine, Stefano Benanti, oggi finanziere a Rimini ma in quei giorni talento della giovanile del Cosenza a volte aggregato alla prima squadra. Bergamini lo ricorda come un «combattente in campo», ma poco loquace con lui a differenza di altri come Michele Padovano e Claudio Lombardo. A Benanti, Denis darà un passaggio a casa il giorno prima di morire, un viaggio descritto così dal diretto interessato: «Era più taciturno del solito, non scambiammo neanche una parola». Mezza, invece, la scambia con Isabella dopo il fattaccio, dopo averla incontrata casualmente in città: «Mi ripeté in modo succinto che Denis voleva andarsene dall’Italia, che scese dall’abitacolo e si allontanò dall’auto. Non ricordo se mi disse di aver assistito al suo investimento o se lo perse di vista proprio nell’attimo in cui passò il camion».

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