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Donato Bergamini

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COSENZA – Il processo Bergamini scorre lento fra testimonianze per lo più di contorno, almeno fin qui, che si succedono in ordine sparso senza che, dopo ben diciannove udienze, sia ancora emerso nulla di dirimente in relazione agli eventi tragici del 18 novembre 1989. Ieri, però, agli atti del dibattimento ne sono transitate due molto importanti che risalgono al 29 novembre di quell’anno, undici giorni dopo la tragedia di Roseto Capo Spulico.

Sono quelle dei segretari dell’allora motel Agip di Quattromiglia, struttura in cui i calciatori del Cosenza si radunavano alla vigilia delle partite casalinghe. Purtroppo, i ricordi di Emilio Prezioso e Vincenzo Tucci non potevano essere più rinverditi in aula – il primo è deceduto da tempo, l’altro solo di recente – ragion per cui sono state acquisite le dichiarazioni rese da entrambi all’epoca dei fatti.

Si tratta di racconti che offrono una risposta a un quesito centrale della vicenda: prima di uscire dall’albergo per recarsi al cinema “Garden”, e da lì andare poi incontro al suo destino, Bergamini ricevette davvero, intorno alle tre del pomeriggio, una telefonata in camera così come riferisce il suo compagno Michele Padovano? È un tema importantissimo perché, nella ricostruzione degli eventi proposta dall’accusa, quella telefonata sarebbe stata operata dall’attuale imputata, Isabella Internò, per dare al calciatore l’appuntamento fatale nella piazzola sulla Ss 106, cento chilometri più a nord, il luogo dove in seguito troverà la morte.

In chiave colpevolista è un passaggio quasi obbligato, dato che in un’epoca in cui non esistevano cellulari, chat, social network e altri mezzi di comunicazione, quella telefonata rappresenta l’unico punto di contatto possibile fra i carnefici e la vittima, il solo strumento a loro disposizione per poterlo attirare in trappola. Il punto è che, a sentire Tucci e Prezioso, che quel sabato 18 novembre si alternano alla reception, quella telefonata non esiste, non c’è mai stata. Tutte le chiamate, sia in entrata che in uscita dall’albergo, dovevano passare obbligatoriamente dalla hall, il receptionist di turno collegava poi lo spinotto apposito all’interno desiderato e il gioco era fatto.

Quel giorno, però, nessuno di loro riferisce di aver passato la linea nella stanza di Bergamini, il che complica terribilmente le cose. Perché allora Padovano afferma di aver assistito a quella conversazione, durata solo pochi secondi, durante la quale Denis avrebbe detto all’interlocutore solo «Pronto» e «Ciao» prima di riagganciare, salvo poi «rabbuiarsi» all’improvviso? Sarà lui stesso a chiarirlo quando arriverà il suo turno in aula, ma nell’attesa val la pena ricordare che l’ex attaccante della Juve non fa alcun accenno a questa circostanza il 27 novembre del 1989, nove giorni dopo il dramma, quando viene sentito in Procura dall’allora pm Ottavio Abbate.

In quella sede, riferisce solo di un’altra telefonata che Denis fa dalla cabina dell’albergo poco prima di recarsi al cinema, ed è una circostanza confermata da Tucci e che combacia anche con la versione di Isabella, la quale ha sempre sostenuto di essere stata contattata più volte dal suo ex fidanzato per incontrarsi con lui quel pomeriggio.

A dimostrarlo non c’è solo la telefonata fatta dall’albergo, ma anche quelle che partono dal “Garden”, e se riguardo a quest’ultime gli investigatori tagliano corto – «Bergamini non ha mai telefonato dal cinema» – l’altra chiamata, quella effettuata dal motel, la inquadrano nel contesto più ampio della «farsa» inscenata quel giorno dalla Internò. In sintesi, immaginano che la ragazza abbia dato istruzioni a Denis di simulare la chiamata dalla cabina così da avere poi uno strumento in più per dimostrare che era stato lui a cercare lei e non viceversa.

Davvero ingegnoso, ma torniamo a Padovano, anzi ai familiari di Denis, perché sono loro, nei primi anni Duemila, a riferire di aver ricevuto da Michele questa e altre confidenze: la telefonata in camera sì, ma anche il clima di festa che si respirava in casa Internò dopo il funerale di Bergamini, con tanto di vini e pastarelle ordinate per l’occasione.

In seguito il diretto interessato negherà di aver assistito a questa scena surreale, ma dal 2010 in poi, ventuno anni dopo i fatti, introduce il tema della telefonata in camera. Ne parla prima con l’avvocato Eugenio Gallerani, all’epoca difensore di parte civile della famiglia Bergamini, poi nel 2012 con il procuratore Franco Giacomantonio e nel 2017 con il suo successore Eugenio Facciolla. È a partire da questa data che l’argomento decolla, diventando un cardine della presunta macchinazione assassina. Nessuno ne mette in dubbio l’autenticità, e addirittura, sempre dal 2017 in poi, fioriscono le testimonianze a riscontro.

Secondo un altro calciatore – Sergio Galeazzi – Padovano racconta l’episodio della telefonata in camera al resto della squadra, già poche ore dopo la morte di Denis. Anche il massaggiatore Beppe Maltese, l’ultimo teste interpellato due giorni fa, dice di aver raccolto nell’immediatezza quella voce che, fonte Padovano, circolava nello spogliatoio, e di aver chiesto a un impiegato del motel di mostrargli i tabulati delle telefonate che, purtroppo e «stranamente», erano stati già distrutti.

Va da sé che all’epoca non esisteva alcun tabulato, lo ha confermato un altro centralinista interpellato in aula, spiegando come all’epoca non fosse possibile risalire all’identità dei chiamanti né a quella delle persone chiamate; l’unico dato disponibile era solo quello degli scatti per le chiamate in uscita – duecento lire per le urbane, una cifra più consistente per le extraurbane – che venivano conteggiati a fine serata e addebitati ai calciatori.

Nessun tabulato quindi, ma soprattutto nessuna telefonata in camera, a patto di non voler aggiungere anche i poveri Tucci e Prezioso al novero dei presunti cospiratori. Nessuno ha osato tanto, almeno fin qui, e non è un caso che 48 ore fa la loro verità sia entrata nel processo quasi alla chetichella, facendosi largo nel labirinto di testimonianze ambigue che ingolfano questa vicenda e che, probabilmente, risentono dell’inquinamento generato da oltre un decennio di trasmissioni tv, commenti della domenica e pseudo inchieste giornalistiche sul tema. Una verità “silenziosa” quella dei due centralinisti, che stride anche con il clamore di queste ore. Com’è giusto che sia.

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